sabato 6 ottobre 2012


Sento ancora le voci, il profumo dei fiori, la frenesia della gente che sale ed esce dai buses per andare a lavoro, la voce dell'uomo della metro che parte come un disco rotto, la musica, i profumi dei fast food che a lungo andare ti fa venire la nausea, le risate della gente, il tintinnio delle posate da lavare e dei bicchieri da asciugare, il suono del lift, la stanchezza delle braccia e delle gambe a fine giornata, il preludio di quelle nottate libere, solo mie, tutte da inventare. Il calore degli abbracci, l'asfalto dei marciapiedi sotto i piedi che mi dirigevano verso casa mentre la vita scorre velocemente come una bomba ad orologeria che sta per esplodere. Lo scroscio delle acque del Tamigi che si ripete ad un ritmo costante suonando una dolce melodia che ti pervade i sentieri più nascosti dell’anima, la libertà degli artisti di strada che vivono di un cappello capovolto sul ciglio delle strade, nelle stazioni delle metro o in grandi piazze, le luci di una città che non dorme mai. Il rintocco del Big Ben, le file di turisti al London Eye, i flash delle macchine fotografiche, il sorriso dei commercianti a Portobello Road, le tinte glamour dei capelli ed il look trasgressivo di chi percorre le strade di Camden Town.

Il 26 luglio 2012 avevo un biglietto di sola andata, destinazione Londra. “Posso tornare quando voglio” ripetevo alla mia famiglia ed ai miei amici che ancora una volta mi vedevano andar via. Sì perché ogni tanto ho bisogno di far prendere aria al cervello, di ritagliarmi uno spazio tutto mio, di andare altrove alla ricerca di qualcosa di entusiasmante che possa riempire il mio spirito come fosse un bicchier d’acqua che trabocca, di esperienze nuove ed esilaranti, di contesti in cui tu possa sentirti te stessa senza aver bisogno di giustificare agli altri quello che hai deciso di essere. Ecco perché nel 2009 decisi di partire per Varsavia dopo aver vinto una borsa Erasmus all’università della durata di 10 mesi, i più incredibili e divertenti della mia vita. Ma quel 26 luglio 2012 era diverso. Avevo la stessa ansia, la stessa lucidità negli occhi, la voce tremante. Non ero pienamente consapevole di ciò che stavo facendo, né perché lo stavo facendo, l’unica cosa che sapevo era che avevo un biglietto di sola andata per Londra e che costi quel costi non potevo perdere quest’occasione, dovevo partire, dovevo andare via, ancora una volta. Non ero la stessa ragazza del 2009, adesso mi guardavo allo specchio e mi vedevo una donna, che trasportava il peso di una valigia carica di sogni ed aspettative che si sarebbero forse realizzate o forse frantumate, ma che aveva bisogno ancora una volta di porsi nuda e fragile come un fiore appena sbocciato di fronte le infinite possibilità che la vita ci pone, senza rimanere ancorata ad un contesto mediocre, troppo schematico, riluttante che sino ad allora le era stato offerto, ma che sentiva stretto come se ti imponessero di indossare un paio di scarpe di tre numeri inferiori al tuo e ti costringessero a correre. Non potevo correre con un paio di stivali più piccoli di tre numeri rispetto il mio, i piedi a lungo andare avrebbero sanguinato.
Quella mattina sapevo soltanto che quella era la strada giusta da seguire, ma piangevo, non so perché lo facevo. Nostalgia o forse paura. La paura dell’ignoto o più probabilmente la paura che in mia assenza quella vita in cui faticosamente avevo cercato di ritagliarmi un piccolo spazio per poter sopravvivere mi sarebbe sfuggita di mano, che le persone mi avrebbero rimosso dalle loro menti, perché in fondo basta poco, una folata di vento e tutto continua a scorrere anche senza di te, come l’ennesima farfalla che dopo 24 ore di vita smette di battere le sue ali per far spazio ad un’altra farfalla, ad un’altra, e ad un’altra ancora. Quanto è atroce pensare che in fondo siamo tutti di passaggio.

Quella mattina la sveglia suona alle 4.30. Alle 5 ero pronta per partire. Destinazione Roma Ciampino. Alle 10.05 l’aereo decolla e alle undici circa, orario inglese, il mio aereo atterra. Quella mattina del 26 luglio, uggiosa a tratti ma con qualche spiraglio di sole che filtrava attraverso le nuvole, sarebbe cominciato tutto. Non avevo la minima idea di cosa mi sarebbe accaduto in una città così grande e sconosciuta, di chi avrei incontrato, che lavoro avrei trovato per “sopravvivere” in una città dove anche fumare costa tremendamente troppo. Avrei potuto smettere sì, ma credetemi, l’idea non mi ha mai minimamente neanche sfiorato. Una come me, pronta alle sfide, abituata a cambiare e a dipingere la propria vita delle tinte più intense, avrebbe dovuto essere entusiasta e invece no, non lo ero, almeno all’inizio. Pensavo di aver fatto un passo troppo lungo e di non poter tornare più indietro. Pensavo che le persone in Italia mi avrebbero dimenticato. Che bizzarra ossessione, eppure l’ho pensato. 
Ci pensavo spesso e meditavo sul fatto che chi non ci sarebbe stato al mio ritorno non meritava la mia attenzione, che forse non contava abbastanza, non fino in fondo, che aveva forse contato per un lasso temporale sufficiente da dover essere spazzato via, perché la vita è così. Le persone sono così. Giungono nella nostra vita per sopperire a dei bisogni, per insegnarci o trasmetterci qualcosa. Quando questo avviene per alcuni è tempo di andare e non è detto che ritornino. Lo si deve volere, ma questo talvolta non basta. I rapporti sono come le nuvole che si scompongono per poi ricompattarsi, ma talvolta accade che alcune scompaiono spazzate via dal vento perché non c’é più spazio per loro, ma sempre per dar vita a qualcosa di nuovo.

Alla fine avrò pulito 1500 bicchieri e posate, ne avrò rotto una decina, versato parmigiano sui pantaloni di un perfetto English gentleman, a
pparecchiato e sparecchiato, preso ordinazioni, pulito cessi.. ho incontrato gente folle che mi ha regalato un cartello stradale come ricordo e ci ha inciso il mio nome, ho conosciuto persone che mi hanno fatto sorridere al solo pensiero della loro presenza, ho incontrato tante persone che sono state di passaggio e sono andate via, alcune senza nemmeno avvisarmi che sarebbero scomparse così di punto in bianco, ho conosciuto persone speciali, belle, profonde ma anche perfetti idioti. Ho vissuto esperienze assurde. Ho avuto tanti soldi e sono rimasta anche con 50 penny in tasca per giorni eppure, sebbene lo dicessi, non ho mai pensato di mollare per questo. Mi sono fatta voler bene, o anche detestare forse. Ho cercato e ho trovato. Ho riso, tanto, troppo, ho pianto anche, ma forse meno. Mi sono sentita una leonessa ma anche un coniglio. Mi svegliavo ogni mattina con la consapevolezza che tutto poteva cambiare da un momento all'altro e ho imparato cosa significa vivere alla giornata e apprezzare il valore di ogni singolo giorno, facendoti bastare anche quel poco che hai. Mi sono sentita sola in momenti in cui avrei voluto parlare con qualcuno e non potevo e mi sono sentita circondata di troppe persone in momenti in cui avrei voluto starmene da sola. Ho bevuto sangria preparata in un secchio del mocho e mangiato roba da far crepare il fegato. Ma il bello di tutto questo è che io mi sono trovata soltanto in una delle tante città d'Europa, che sebbene sia fantastica, in realtà siamo noi a renderla straordinaria o meno, con tutto quello che riusciamo a crearci dentro. E' forse questo il segreto di tutto, non smettere mai di creare, di inventare e di sperare che qualcosa cambi.. perchè la verità è che niente cambia, ma cambiamo noi, sempre.

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