giovedì 29 novembre 2012

Voce del verbo amare.

C'è stato un tempo in cui davo valenza ai pronomi personali soggetto partendo dal basso. Essi, voi, noi, egli, tu, io. Anche i verbi coniugavo in questo modo. C'è stato un tempo in cui guardavo loro a cui mi rivolgevo con il voi pensando a ciò che noi potevamo diventare. C'è stato un tempo in cui mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo se non con te al mio fianco. A loro parlavo di te, di "lui", senza mai accennare a me. Parlavo di me solo quando dovevo coniugare qualche verbo, come amare. Siamo poi diventati noi. Un noi che mi bastava. Ho sempre pensato che fosse il noi a rendere felici. Ma in quel noi c'eri solo tu, io non c'ero quasi mai. Ecco perchè quando sei andato via mi hai lasciato con le ginocchia sbucciate e le scarpe infangate come chi monta per la prima volta in sella ad una bicicletta e casca. Perchè tu sei andato via e hai portato noi via con te, dove io non sono mai esistita sebbene avessi la pretesa di parlare di un noi dove io c'ero solo nel momento in cui mi si chiedeva di coniugare il verbo amare. Ma in questo noi c'eri solo tu. Le tue passioni sono diventate le nostre passioni, i tuoi desideri sono diventati i nostri, il tuo amore è diventato solo il mio e basta. Un noi pieno di te ma che di me non aveva niente. Ma un noi sono due persone, e se c'eri solo tu era dunque un "tu" e non aveva a che fare anche con me. Per questo quando mi hai voltato le spalle hai portato via con te anche i bei ricordi, lasciandomi solo amarezze confuse come una melma aggrovigliata che non ho saputo o voluto ordinare, sentendomi come in uno spazio dalle pareti bianche senza finestre e porte chiuse a chiave, in uno spazio che apparteneva a nessuno. In uno spazio in cui mi sono ritrovata ad essere nessuno.
E' stato solo poco dopo che ho compreso che in quel noi c'era una mia reale mancanza ed una tua finta presenza. Allora ad una finta presenza ho preferito una reale mancanza. Ho preferito l'autenticità sebbene fosse amara e disgraziata, ad una finzione in cui finti erano diventati addirittura i sorrisi. Ho preferito me stessa. Allora mentre prima partivo da essi, da voi per arrivare al noi che ritornava inesorabilmente sempre ad egli e al tu senza mai menzionare "io", ho cominciato dall'alto, dal primo pronome personale soggetto e spesso ci sono rimasta. Ho cominciato da me, per poi scendere al tu, ad egli, al voi e ad essi senza mai più parlare di un noi. Ho cercato altre volte di costruire un noi senza mai riuscirci abbastanza. Mentre prima parlavo di me solo per coniugare il verbo amare, da allora non l'ho più fatto se non per riferirmi a cose o stati d'animo che mi appartenessero. Perchè noi è fatto da un "io" ed un "tu", ma adesso questo io mi sembra già abbastanza. C'è stato un tempo in cui pensavo che solo un noi rendesse felici, adesso credo che sia l'io a doverlo essere anzitutto per pensare di poter costruire un noi, e se non ci riuscirò mai pazienza. Sono partita da me, ho cominciato a coniugare i verbi dalla prima persona e se dovessi mai pensare di dover costruire un noi adesso so che dovrò esserci anch'io. Ma se non dovessi riuscirci io con le mie paure, le mie ansie, le mie paranoie, le mie passioni, le mie idee, le mie parole, i miei sogni nel cassetto, le mie vittorie e le mie sconfitte, siamo già abbastanza, non sono sola, anzi potrei quasi parlare di un noi. Ma se mai lo dovessi costruire farò più attenzione nel coniugare il verbo amare in prima persona ma sono certa di farlo con la stessa estrema intensità di sempre, pretendendo che sia io ad amare ma che a farlo sia anche tu, perchè sono un "io" ed un "tu" a costruire un "noi", un noi che trabocca di amore, un amore nostro in senso pieno, da cui è possibile che se ne esca con le ginocchia sbucciate e le scarpe infangate, ma allora non sarà esatto dire che non ci sarà nessuno, ci sarò io, e ricomincerò, senza te, senza noi, ma con me. Comincerò da lì, dove ha inizio la coniugazione, quella coniugazione che senza la prima persona è incompleta, non ha senso.

Principi azzurri e cavalli bianchi o uomini alla guida di utilitarie?

E' molto più probabile scartare un Kinder Bueno e leggere la scritta "Hai vinto!" che trovare quello che per l'opinione comune è oramai definito "Principe Azzurro".
Perchè poi azzurro se il colore dell'amore è il rosso?
Il principe azzurro è quell'entità misteriosa che abbiamo cominciato ad apprezzare guardando i cartoni animati della Disney, quando da bambini ci leggevano le fiabe che finivano sempre con "...e vissero felici e contenti". Ma lo scrittore non ha continuato a raccontare la routine quotidiana, cosa la principessa avrà poi effettivamente vissuto con il suo principe arrivato sul suo immancabile cavallo bianco (perchè poi bianco? esistono anche cavalli neri e marroni). Non lo racconta perchè sta scrivendo una fiaba. Generalmente il destinatario di una fiaba è un bambino ed i bambini vanno protetti. Dunque lo scrittore pensa che sia giusto lasciare immaginare ad un bambino che i due sposi vivranno per sempre felici e contenti. Un bambino ha bisogno di credere che esista l'amore eterno, che nella vita sia possibile incontrare quel principe azzurro che rapirà la principessa portandola via sul suo cavallo bianco, che sia possibile vivere per sempre felici e contenti.
Ma noi no, il tempo oramai non ci protegge più. Lasciate tra la polvere le fiabe e le nostre vecchie videocassette, ci affanneremo con molta più ostinazione nella ricerca della scritta "Hai vinto" scartando una confezione di Kinder Bueno che nella ricerca del fantomatico principe azzurro, che qualcuno dotato di spirito ironico o di inguaribile cinismo ha fatto diventare omosessuale.
Lo scrittore termina il suo racconto fiabesco con la formulazione alquanto vaga e generica del "...e vissero felici e contenti", un po' come quando rispondiamo alla domanda "Come stai?" con un altrettanto generico "Tutto bene, grazie", senza soffermarci troppo sui dettagli, perchè non ci va di spiegare che siamo stressati per il nostro lavoro, che gli impegni ci sovraccaricano, che non abbiamo abbastanza tempo da dedicare a parenti ed amici, che il nostro uomo sembra distante, che avremmo bisogno di una vacanza.
Ma se lo scrittore avesse minimamente immaginato che con la creazione del principe azzurro in sella ad un cavallo bianco avrebbe contribuito ad inculcare l'idea della ricerca dell'uomo e della donna perfetta, creando per molti quasi un alibi per la loro insoddisfazione sentimentale, avrebbe di certo optato per una formula meno vaga. Perchè molti vivono ancora in un mondo parallelo quanto irrealistico, fatto di principi coraggiosi e donzelle da salvare, di fatine che con la loro bacchetta magica sono pronte a realizzare i nostri sogni e di streghe cattive che per buon senso dovrebbero essere sconfitte, proprio come nelle fiabe. Noi donne specialmente siamo nell'ostinata ricerca di un uomo che sia bello, simpatico, intelligente, brillante, coraggioso e pronto a qualsiasi cosa pur di renderci felici. Un uomo che sia comprensibile, il nostro medico, avvocato, psicologo, la nostra musa ispiratrice, la nostra spalla su cui piangere e la mano da stringere per l'eccessiva contentezza. Vogliamo forse un cane o un'entità robotica rigidamente programmata. Perchè un uomo può essere tendenzialmente fedele, comprensivo, brillante, intelligente, simpatico, ma non è detto che lo sia sempre. Si soffermerà a guardare una bella donna che passeggia ma questo non significherà che vorrà tradirti o che non ti ami abbastanza. Talvolta fingerà di ascoltarti ma non è detto che non ti comprenda, avrà soltanto avuto una cattiva giornata o sarà sovraccaricato da mille pensieri che non vorrà esprimere perchè forse vorrà dare spazio ai tuoi. Non è un cane, un robot, bensì un uomo, che non è perfetto, commette errori di tanto in tanto, ma è questo a renderlo umano. Quindi forse lo scrittore avrebbe dovuto aggiungere al finale rituale del "E vissero per sempre felici e contenti..." che in realtà quella felicità durò poco, sino a che i due sposi non vennero catapultati nella vita reale. 
Ma noi che crediamo ancora in quell'uomo misterioso vestito di azzurro, che in sella ad un cavallo bianco possa rapirci, possiamo decidere di vivere nell'illusione, come solo a cinque anni si può fare e continuare a sognare ad occhi aperti in un mondo parallelo quanto irrealistico, fatto di principi e principesse, di cavalli bianchi, di streghe cattive che alla fine vengono sconfitte, di fatine che con la loro bacchetta magica trasformano in realtà i nostri sogni. Oppure possiamo ridimensionare il tutto interpretando in modo non necessariamente cinico, ma quanto meno realistico, ciò che una fiaba vorrà raccontarci. Possiamo cominciare a capire che il nostro principe azzurro non riusciremo a riconoscerlo tra la folla perchè vestito d'azzurro, solo perchè monta un cavallo bianco con cui sarà pronto a portarci lontano. Non sarà necessariamente un bell'imbusto dai capelli biondi, occhi azzurri, ed un portamento regale. Potrà indossare un paio di jeans e scarpe da tennis, potrà non essere altissimo nè avere un portamento regale, ma sarà il suo sguardo, le sue parole, il suo sorriso ad incanalarsi nel suo e nel nostro silenzio sulle strade del nostro cuore sino ad accendersi, provando quasi la sensazione che il nostro cuore stia per scoppiare. Non monterà di certo su un cavallo bianco, ma magari avrà un'utilitaria che dovrà ancora finire di pagare. Saremo felici e contenti perchè quello sarà il nostro principe azzurro, ma dovremmo esser consapevoli che quella felicità potrebbe non accompagnarci per un'intera vita. Dovremmo esser consci del fatto che potremmo vivere insieme felici e contenti, ma anche tristi e tormentati. Dovremmo esser consapevoli, senza attribuire tale considerazione ad un becero cinismo, che l'amore può finire, che potrà indurci a sputare sangue intriso da delusione, tradimento e tante lacrime, ma non per questo dovremmo rinnegare un amore che sebbene sia finito è stato comunque vissuto. E' stato vissuto con un'utilitaria, un mutuo da pagare, impegni, mattine in cui ti alzavi col magone perchè quell'uomo accanto a te non riuscivi più capirlo, perchè intanto la fiaba si stava a poco a poco dissolvendo e tu con lei. Ma questa è la vita e anche le vite più straordinarie finiscono. Anche l'amore è un pezzo di vita che se siamo fortunati, caparbi, se accettiamo talvolta di chinarci a compromessi scendendo dal nostro piedistallo, se riusciamo a praticare il perdono come l'arte di soli pochi eletti, potrà durare a lungo o forse per sempre. Altrimenti anche l'amore finisce. Ma quell'uomo che avrà acceso il nostro cuore sino a farlo scoppiare sarà per sempre il nostro principe azzurro, come lo sarà chi verrà dopo di lui riaccendo una luce che sembrava oramai spenta ed impossibile da riaccendere. E vissero per sempre felici e contenti, ma anche straziati, tormentati, tristi, inappagati, con il desiderio di capovolgere tutto e ricominciare da capo, vissero svegliandosi la mattina con il sorriso sulle labbra, ma il giorno seguente con l'angoscia di doversi dire addio, ed il giorno seguente con il desiderio invece di ricominciare a rimettere al loro posto i cocci rotti o semplicemente di gettarli via. Vissero felici e contenti con l'idea di costruire una famiglia da Mulino Bianco ma che di bianco aveva solo le tende del soggiorno della loro dimora che pian piano da nido sicuro diventava a poco a poco la prigione delle loro anime. Non si può vivere per sempre felici e contenti. Si vive con tutto ciò che la vita ci riserverà, saranno gioie, soddisfazioni, vittorie, ma d'altronde sono sensazioni che potremmo assaporare con maggiore intensità soltanto provando anche dolori, delusioni, sconfitte, amare, logoranti.
Ma ad un bambino questo lo si omette. Sarà la vita, brusca ma reale, triste ma anche incredibilmente gioiosa ed affascinante, ad insegnarglielo. Allora forse capirà che quanti più Kinder Bueno scarterà, quanta più probabilità ci sarà di trovare la scritta "Hai vinto". 

martedì 27 novembre 2012

Un cuore, dove tutto inizia e tutto muore.

Con il cuore faccio qualsiasi cosa. Rido, mi emoziono, parlo con il cuore. Riesco a piangere con il cuore, è come se avessi dei tubicini immaginari che dal cuore conducono agli occhi da cui escono lacrime che nascono dal cuore ed in cui spesso ci rimangono senza mai solcare il viso. Mi innervosisco, urlo con il cuore. Delle urla che dallo stomaco passano al cuore per fuoriuscire dalla bocca, urla che spesso resteranno mute, fermandosi al cuore. Riesco persino a respirare con il cuore. Vado sempre dove il cuore avrà deciso di condurmi. Faccio domande a cui do risposte che nascono dal cuore. Vivo con il cuore, o meglio, vivo di cuore. E' come se riuscissi ad annullare tutti gli altri organi o parti del mio corpo, è come se tutto venisse conglomerato in quel muscolo dalle dimensioni di un pugno, che da' avvio ad una danza di pensieri, ricordi, esperienze, delusioni, sconfitte, fallimenti, amori andati o semplicemente passeggeri, persone che restano, persone che decidono di andare, speranze lucenti o dalle tinte opache, passioni che hanno voglia di esplodere ma che restano mute, sorde, dentro quel muscolo in cui sembra che tutto inizi e tutto finisce, una melma aggrovigliata che spesso confonde amicizie con amori, grandi passioni con beceri obiettivi, piccoli fallimenti in battaglia con una sconfitta dell'intera guerra. Lascio che tutto nasca da lì ed in quel groviglio di danze confuse lascio che lì tutto muoia. Ma vivo di un cuore che scoppia, che è gonfio, che è stanco, un cuore che spesso farebbe a pugni con se stesso. Un cuore che vuol prendersi la sua parte e lasciare che anche le altre parti del corpo fungano a qualcosa. Un cuore troppo pieno ma appesantito. E' come se tutte le sensazioni, dalle più dolci a quelle più amare, venissero incanalate in quel muscolo dalle dimensioni di un pugno che tutto in fondo non riesce a sopportare. Allora a volte batte a fatica. Ecco perchè quando rido o quando piango, quando vinco o quando perdo, quando urlo o resto in silenzio, quando ricordo o smetto di sperare, congiungo le mie mani al petto. E' come se volessi far combaciare il battito del cuore con la veemente cascata dei miei pensieri ed il respiro come un dolce fruscio di vento che porta via con se le foglie ingiallite, come se volessi che tutto compenetrasse lì, in quel muscolo, dove tutto inizia e tutto muore.
Dovrei forse far funzionare anche il cervello e dare la giusta collocazione ad ogni cosa. 

I ricordi dovrebbero andare nel polmone destro, le speranze in quello sinistro. I polmoni permettono la respirazione, senza il respiro si muore. E si muore anche senza ricordi e speranze. Perchè il ricordo è la base da cui partire per proiettarci verso un futuro che sarà sempre troppo incerto, le speranze fungeranno da molla, da trampolino, senza le quali sarebbe impossibile tuffarci nel mare dell'incertezza. Ricordi che in certi momenti ci annebbieranno, in altri ci faranno sorridere, in altri ancora star male. Speranze che talvolta cesseranno di brillare per assumere tinte opache, sino quasi ad annullarsi. Ma i ricordi sono l'unica cosa che il tempo non può cambiare, se ne stanno lì e puoi disporne quando vuoi e per quanto tempo tu lo desideri. Nessuno te li toccherà, e nel rispolverarli alimenteranno le tue speranze. I ricordi saranno parte del tuo respiro quando vorrai mollare, quando sarai stanco, ma ti ricorderai di tutte quelle volte che avresti voluto farlo e non l'hai fatto, non hai mollato, ce l'hai fatta, sarai andato avanti comunque. Non avrai smesso di sperare grazie ad un ricordo vitale quando un respiro.
I rimpianti andranno nell'intestino, espulsi come scorie dal nostro organismo, perchè non dovremmo averne. La vita è fatta di scelte e talvolta dinanzi ad un bivio una sola sarà la strada che potremo intraprendere, e l'unico modo per non avere rimpianti, per non pensare mai a cosa sarebbe successo se fossimo andati dritto invece di svoltare a destra, è scegliere nel silenzio della stanza dei nostri pensieri, avendo come sottofondo solo il nostro respiro ed il battito del nostro cuore, senza lasciare che niente e nessuno condizioni il nostro tragitto. Così i rimpianti saranno scorie da riporre nell'intestino per essere dopo poco espulse.
Le esperienze che abbiamo vissuto, i posti che abbiamo visitato, le persone che avremo conosciuto e saranno giunte nella nostra vita per insegnarci qualcosa o per scaraventarci bruscamente sull'asfalto, quelle grazie alle quali saremo diventati donne o uomini, dal cuore risaliranno attraverso la gola e attraversando il naso finiranno agli occhi. Dovranno essere i nostri occhi, che ci permetteranno di osservare tutto ciò che ci circonda in modo più responsabile e sempre più consapevole. 
Le delusioni, le sconfitte, i fallimenti di un lavoro, di un amore, di un amicizia saranno invece i nostri piedi su cui dovremmo reggerci. Senza di loro saremo piccoli uomini o piccole donne che avranno imparato poco dalla vita. Tanto più le delusioni saranno dolorose, più le sconfitte forti, più i fallimenti logoranti, quanto più la pianta dei nostri piedi sarà larga ed in grado di reggerci, reggere noi che diverremo intanto sempre più robusti, perchè impareremo a perdere con la stessa umiltà e scaltrezza che utilizzeremo per vincere. Vittorie che saranno nate dai piedi per raggiungere addirittura il cervello.
Al cuore dovremmo lasciare l'amore e le passioni. E' il loro posto d'altronde. Ma non c'è spazio per la vergogna di amare, nè di coltivare passioni evitando che restino mute e pure sorde. Non ci sarà spazio per la vergogna nelle orecchie correndo il rischio di diventare sordi, nemmeno sulla lingua perchè potremmo divenire muti, negli occhi ci sono le esperienze ed è impossibile pensare di diventar ciechi. Allora la vergogna dove va? La vergogna non esiste. E' una creazione del cervello perchè stanco di non far nulla per il sovraccarico di lavoro del cuore, ha avuto bisogno di inventarsi qualcosa. Ma ora che ogni parte del corpo svolge le sue funzioni, non ce sarà più bisogno. 
Ma dubito che questa congeniale sistemazione possa durare. Dubito di non riuscire più a portare la mani al petto come se volessi far combaciare il battito del cuore con la veemente cascata dei miei pensieri ed il respiro come un dolce fruscio di vento che porta via con se le foglie ingiallite, come se volessi che tutto compenetrasse lì, in quel muscolo, dove tutto inizia e tutto muore, quel muscolo per cui in fondo vivo.

domenica 25 novembre 2012

L'arte di aspettare.

Il punto non è quanto tempo si aspetta, ma chi o cosa si sta aspettando. 
Per un caffè servito al tavolo saremmo capaci di attendere massimo una decina di minuti, forse anche quindici se siamo in dolce compagnia. 
Alla solita amica ritardataria saremo in grado di aspettarla anche per trenta minuti, o addittura un'ora, perchè con quel suo tono pacato e gentile ti rifilerà una montagna di scuse a cui non riuscirai a non sorridere, del tipo "Ho fatto tardi perchè il gatto andava in giro con le mie mutande..." " Ho fatto tardi perchè non usciva l'acqua calda e sai che non riesco a fare docce fredde..." " Ho fatto tardi perchè mi si è rotta l'unghia, sai quanto ci ero affezionata, ho dovuto seppellirla nella pianta sul davanzale e mi sono chiusa nel mio logorante dolore. "
Ai professori all'università saremo capaci di aspettarli ore, a volte intere giornate nonostante le nostre attese si rivelino talvolta vane.
Ma la sua telefonata, il suo messaggio, il suo sguardo, il suo respiro che si confonde col fruscio delle foglie d'autunno, la sua risata, il suo modo di prenderci per mano o accarezzarci quando siamo stanchi, confusi, nervosi, assetati dal desiderio di esprimere a qualcuno ciò che proviamo, tutto questo saremo capaci di aspettarlo per troppe ore, troppi giorni, troppe settimane, troppi mesi. Talvolta lo aspetteremo in eterno senza nemmeno accorgercene, nonostante il nostro passare per altri sorrisi ed altri sguardi, ma che non saranno il suo modo di sorridere, il suo modo esclusivo di guardarti. Un modo che non si può spiegare ma che evidentemente è in grado di utilizzare solo lui. Quel modo di guardarti che ti penetra come se steste facendo l'amore, quel modo di sorriderti che comporta la stessa sua smorfia sul tuo viso senza che tu possa provare a gestirla, quel modo di accarezzarti come se stesse toccando un tesoro raro, nel dettaglio, con premura ed attenzione. Quel modo di amare lui nel silenzio quotidiano pur incrociando altri sguardi, pur toccando altre labbra. Quel modo di avere impresso il suo viso nella mente, cercandolo talvolta tra la gente incrociata per strada. Quel sorriso che ci illumina, ci colora, in fondo ci devasta.
Per tutto questo esclusivismo non vale quanto si aspetta. Potremmo aspettare giorni, settimane, mesi, addirittura anni. Quando si aspetta qualcosa è come se decidessimo a priori quanto tempo siamo disposti ad aspettare, superato il quale andremo via, perchè il nostro tempo sarà più prezioso di quel caffè, di quell'amica forse, e sicuramente anche del professore la cui attesa sarà vana. Ma quanto diventa prezioso il nostro tempo quando si tratta di aspettare l'unico sguardo che ci penetra senza necessariamente toglierci i vestiti, l'unico sorriso che ci fa assumere quella stessa smorfia sul viso che non riusciremo a controllare, che ci dona luce, colore, un innato senso di libertà, quelle parole che risuonano come un'incantevole poesia nella nostra mente al suono della sveglia e prima di addormentarci? Quanto vale il nostro tempo di fronte quel suo essere incredibilmente lui o lei, che ci fa palpitare il cuore quasi come se stesse scoppiando per il troppo amore, che ci devasta e ci tormenta come l'incessante suono di tamburi? Quanto vale il nostro tempo se stiamo aspettando di sentirci pienamente a contatto con ciò che vogliamo essere, con ciò che siamo, paure comprese, se stiamo aspettando di colorarci di tinte che non avremo mai visto, se stiamo aspettando di sentirci in quel modo, felici e leggeri? Non c'è un tempo di attesa. In questo caso varrà ciò che stai aspettando non quanto lo farai, nè da quanto tu lo stia già facendo nè quanto ancora dovrai aspettare.



sabato 24 novembre 2012

Siamo tutti sostituibili?

Esistono quelli che sostituiscono e i sostituiti. Gli stronzi e gli illusi. Quelli che siederanno sul loro piedistallo guardando tutti come fossero passanti e chi sarà troppo basso per salirci. Quelli che avranno la presunzione di pensare di cavarsela con un fugace come stai senza ascoltare la risposta, di pensare che due battute, una risata e una notte di sesso significhi vivere qualcuno e chi invece vivrà qualcuno nel silenzio quotidiano, comprendendo cosa ci sia dietro un sorriso, una lacrima e che dietro quella convenzionale risposta del tutto bene alla domanda come stai ci sarà altro, che non avrà l'invadenza di chiedere, ma che scoprirà pian piano, quando sarà il momento. Le due categorie non si invertiranno mai. O sei quello che sostituisce, o sei il sostituito. Sarà come un' etichetta alle confezioni di cibo che riporremo in frigo. Perchè chi sostituisce è raro che venga sostituito, sarà scaltro, orgoglioso, furbo, stronzo abbastanza dal non trovarsi mai nella circostanza per farlo. O forse si è trovato, sì una volta, quando avrà deciso di sostituire da quel momento chiunque gli fosse capitato sotto banco, dalla sgualdrina di quartiere, alla vergine immacolata, dal diavolo tentatore, all'angelo più bello mai sceso su questa Terra, perdendo sia il dolce che l'amaro. Per alcuni è diventato addirittura un fattore genetico oramai.
Per chi sostituisce siamo tutti uguali. In fondo abbiamo tutti un naso, due occhi e una bocca. Siamo semplicemente dei corpi. Sarà dunque facile sostituire un corpo con un altro, è una questione di pesi e misure. Sarà semplice sostituire un culo sodo con un altro culo ancora più sodo, il mondo ne è pieno.
Chi verrà invece sostituito è raro che deciderà di sostituire e quando lo farà di sua spontanea volontà soffrirà molto più della presunta vittima di turno, tanto dal riuscire a farlo solo poche volte nella sua vita. Oppure potrà farlo perchè costretto, quasi per scrollarsi di dosso l'etichetta da vittima ferita ed abbandonata, per l'esigenza di adattarsi, di andare avanti. Ma non gli attribuirà l'appellativo di sostituzione, bensì di incontro. Un incontro di anime dove non servirà un culo sodo, un incontro dove non sarà certo la carnosità delle labbra, la lunghezza del naso, il colore degli occhi a fare la differenza. Si tratta di incontri di anime dove a fare la differenza sarà un dettaglio, il modo di sistemarti i capelli, quel tuo modo di sorridere arricciando il naso, la smorfia del volto quando sei particolarmente imbarazzata, lo sguardo verso l'alto quando sarai perplessa, il modo di morderti il labbro quando sarai nervosa. A fare la differenza saranno i pensieri che riuscirai ad esprimere in modo così avvolgente da non lasciare nessuna voglia all'altro di mandarti via, perchè nelle lenzuola calde ed avvolgenti della scia dei tuoi pensieri si è al sicuro, si sta bene. Ma chi sostituisce cosa ne può sapere. Cosa ne possono sapere loro di anime ed incontri se sono capaci di vedere solo corpi da sostituire. E se la sgallettata del turno successivo al vostro vi farà notare che invece lei non sarà sostituita lasciatela parlare. E' possibile che rimanga, sarà una questione di tempo e soprattutto di circostanze. Ma i rapporti, quelli imperniati sull'autenticità, non si ossidano con il tempo, nè esistono distanze che possano comprometterli. Non si misurano in base alle circostanze che fortuitamente saranno capitate. Ecco perchè non saremo sorprese di rivedere la sgallettata scendere a farci compagnia nel girone dantesco dei sostituibili, offrendole una spalla su cui piangere perchè in fondo oramai in quel girone ci saremo fatte le ossa.
Ti sarai sentita tante volte solo un corpo, una pedina nelle mani dell'altro che il timore di essere sostituita sarà come un fardello che ti tormenterà ogni volta che si instaurerà un nuovo rapporto dove spesso vi appenderete al collo la stessa ed immancabile targhetta dei sostituibili proprio a causa delle vostre paranoie, delle vostre paure, dell'ansia che da un momento all'altro potreste essere sostituiti, al punto da indurre inconsapevolmente a tutto questo che temiamo ma a cui ad ogni modo tendiamo masochisticamente.
Ma alla fine chi avrà ragione? E' proprio vero che in fondo siamo tutti così tristemente sostituibili?Forse sì, in fondo tutti lo fanno e chi non sarà in grado di farlo sarà un'eccezione. Ma forse quelle eccezioni avranno veramente capito cosa significhi vivere qualcuno, perchè loro non sostituiscono corpi ma incontrano anime, e le anime, anche per un sol semplice dettaglio, sono tutte così diverse che sarà impossibile soppiantarle ad altre. Queste eccezioni saranno tormentate dall'idea di non poter mai uscire dal girone dei sostituibili, di non potersi mai scrollare di dosso quell'etichetta che li rende timorosi ed infelici al pensiero di non poter mai essere l'anima frutto di un incontro di qualcheduno che sceglierà di restarci accanto per il nostro modo di sorridere ad una battuta arricciando il naso, per le idee che esprimeremo avvolgendo l'altro in un lenzuolo caldo ed accogliente, ma in fondo saranno fortunate, perchè riusciranno a vivere tutto, sperimenteranno tutte le gradazioni di colori, dalle tinte più scure a quelle opache a quelle incredibilmente lucenti. Perchè soffriranno di più, ma riusciranno ad amare in un modo ad altri sconosciuto, si porranno in fondo a qualcosa al punto da non poterci più uscire o riuscirci a fatica, come se il cuore volesse scoppiarti mentre ripeti che da quel momento comincerai a sostituire tutti come pedine anche tu, come fanno sempre con te. No, non lo dire, perchè non ci riuscirai. Tu sei un'anima abituata ad incontri, le sostituzioni non fanno per te, sebbene qualcuno dall'alto del suo piedistallo ti abbia trattato come fossi un corpo, tu che soffri sei un'anima, un'anima piena, bella, un'anima che trabocca e dovrai riconoscertelo, dovrai farlo per te, per dare dignità alle paure che porti come segni sul tuo corpo, per dare valore a ciò che sei senza trasformarti in un prodotto corporeo, vuoto, che fingerai di essere ma che per tua fortuna non sarai mai. Un'anima entra dentro al punto che scacciarla significherebbe togliere un pezzo di te, piccolo o grande che sia. E anche quei pezzi amari, poco lucenti, saturi, quelli che in fondo ti tormenteranno, anche quelli dovranno fare parte di te.
L'idea della sostituibilità appartiene a chi non ha mai vissuto in pieno le persone che avrà incontrato, perchè un incontro non ci sarà in fondo mai stato sebbene le loro spalle si siano qualche volta toccate, non gli è mai entrata dentro, non gli è mai interessato andare oltre un sorriso, uno sguardo, una parola, un silenzio, anche quando ti abbia dato la sensazione di farlo. Appartiene a chi sul suo piedistallo guarda tutti come fossero passanti da cui sarà così abituato a non scendere che quando di rado gli capiterà a qualche passante pesterà addirittura i piedi senza nemmeno chiedergli scusa. Queste persone saranno in grado di sostituire chiunque, ma non ditemi che è normale, è da folli. Un culo sodo con un altro culo sodo si può sostituire, una terza di reggiseno si può sostituire o con addirittura una quarta, un naso a becco con un naso aquilino, quello sì si può sostituire. Una sagoma può essere sostituita, ma le anime no, quelle non si sostituiscono. Allora perchè le persone lo fanno? Lo fa chi teme la solitudine, perchè in fondo è un corpo vuoto che avrà bisogno di essere riscaldato, perchè un'anima calda ed avvolgente nè la possiede nè sarà in grado di offrirla.


venerdì 23 novembre 2012

Come se avessimo tutta la vita davanti.

Apriamo gli occhi al mattino come se avessimo tutta la vita davanti.
Facciamo colazione, beviamo il nostro caffè con poco zucchero, ci prepariamo per una nuova giornata come se avessimo tutta la vita davanti. Ci incantiamo nell'immaginare una nostra possibile vita, fatta di progetti, sogni, passioni, come se avessimo tutta la vita davanti. 
Addirittura saremo anche capaci di amare come se avessimo tutta la vita davanti, allora che importa se un giorno amiamo di meno, un altro giorno di più, abbiamo tutta la vita per farlo. Trattiamo le persone come se avessimo tutta la vita davanti, allora che importa se per giorni, settimane, non faremo avvertire all'altro la nostra presenza, c'è una vita davanti per farlo. Ci esprimiamo a singhiozzo, perchè in un'intera vita dinanzi a noi potremmo sempre farlo, allora pronunciamo una parola alla volta, che senso ha dire tutto ciò che coltiviamo dentro tutto insieme, può darsi che dopo non sapremmo più cos'altro dire, allora è meglio che qualche parola ce la conserviamo.
E lavoriamo nello stesso modo, come se quel posto di lavoro ci sarà per un'intera vita. 
Ogni gesto più semplice verrà compiuto come se avessimo sempre una vita davanti, dal sorseggiare un caffè che potremmo sempre bere tante volte, dal visitare un posto nuovo in cui potremmo sempre riandare. 
Un modus operandi che spinge tendenzialmente a rimandare, un modus operandi che procrastina un'intera vita ad un momento futuro, dalla data indefinita, ma non importa, perchè saremo sempre convinti che in fondo abbiamo una vita davanti. 
Ma la verità è che non si prospetterà alcuna possibile vita dinanzi a noi se non gettiamo le basi per costruirla. Non si passa improvvisamente dal niente al tutto, o meglio, è anche possibile, ma sono le eccezioni che la vita ogni tanto regala. Generalmente nella vita si avanza gradatamente. Abbiamo dunque spesso la presunzione di pensare di avere una vita davanti per coltivare un'amicizia, una passione, realizzare progetti, anche per amare. Una vita che quasi pretendiamo come ci fosse dovuta. 
Ma la verità è che questo tempo ci inganna e ci trasforma. Oggi non è mai uguale a domani nè a ieri.
Ma l'unico modo per prenderci gioco di questo tempo ingannevole che tutto cambia è pensare di non avere una vita davanti, di non esserne mai certi abbastanza, così da cominciare ad operare nella convinzione di non poter più rimandare, perchè non c'è più tempo.  Allora prendi il tuo sogno e fa' qualsiasi cosa per realizzarlo, anche ciò che ti sembrerà impossibile, niente è troppo folle nè impossibile per un sognatore che ha deciso di mettere le ali al proprio sogno, perchè nel momento in cui tu abbia deciso di fargli spiccare il volo sei già a metà strada della corsa. I progetti, i programmi, le passioni di domani fa' che divengano le passioni, i progetti, i programmi di oggi, di questa vita che non si pone nè dietro nè davanti a te, ma esattamente al tuo fianco. Fa' che le persone a te care avvertano la tua presenza, con un invito, una telefonata, un dolce pensiero, un sorriso, una parola o un abbraccio di conforto, perchè domani potrebbe essere tardi. Dobbiamo essere presenti nella vita degli altri perchè rischiamo di spendere il nostro tempo a progettare un abbraccio, una parola, un gesto da concretizzare in un momento futuro in cui non ce ne sarà più bisogno, avendolo inconsapevolmente negato proprio quando ce ne era bisogno, quando eravamo intenti a dire "C'è una vita davanti per farlo!" Sì, ma non serviva in quella vita davanti, serviva esattamente mentre lo dicevi. Domani anche quel caffè potrebbe non avere più lo stesso sapore.
Domani quelle parole potrebbero non avere più senso, domani potremmo partorirne altre, allora è bene pronunciarle tutte insieme, perchè per le parole dette a singhiozzo potrebbe non esserci più tempo, per pronunciarle, per ascoltarle.
Non abbiamo una vita davanti neanche per amare. Sì perchè il tempo anche l'amore trasforma. Allora forse il segreto è amare come se avessimo la certezza che il giorno seguente il nostro amore scomparisse. Dobbiamo dare ogni giorno tutta la nostra cura, la nostra devozione, il nostro amore a quel qualcuno che ci è di fianco. Domani potremmo non amare più o potremmo non esser più amati perchè quando abbiamo dedicato il nostro tempo a rimandare quell'amore pensando che avessimo una vita davanti per scoppiare come fuochi d'artificio, era proprio in quel momento che quella persona aveva bisogno del nostro amore, quell'amore che avremo negato a noi e all'altro per paura, per pigrizia, perchè in fondo "c'è sempre tempo". L'amore non ha tempo, paura nè è pigro. L'amore non si rimanda, non è stagionale. Allora se il cuore ti scoppia lascialo fare, lascia che quell'amore si trasformi nel tempo ma non per qualcosa che avresti potuto fare e che non hai fatto, inghiottito nel tunnel del rimpianto. Ama. Non hai una vita davanti, hai questa vita, questa giornata, questo singolo minuto per farlo. Ama. E ama anche qualcuno che non si aspetta che tu possa amare. Ama anche se ti sentirai dire che sei pazzo, perchè significa che sei sulla strada giusta. I pazzi sono capaci di grandi cose, e anche di grandi amori, che anche se non ricambiati, serviranno a riempire te stesso, perchè l'amore serve soprattutto a questo. L'amore ci riempie. L'essere contraccambiati ci rasserena ma non lo saremo mai abbastanza. L'amore deve essere soprattutto nostro, perchè quando siamo pieni d'amore avremo una strepitosa follia creativa, metteremo ali ai nostri sogni, smetteremo di progettare e cominceremo ad agire, saremo così accecati che una vita davanti a noi non riusciremo nemmeno a vederla. 
Vivremo oggi con la stessa intensità di ieri come se domani non dovesse arrivare mai.
Svegliati!Perchè quando vivi pensando che ci sia una vita davanti, pensi di vivere, ma in realtà non lo stai facendo!

giovedì 22 novembre 2012

Bellezza.

Bellezza non sono i capelli lunghi, le gambe magre, la pelle abbronzata e i denti perfetti. 
Bellezza è il viso di chi ha pianto e ora sorride, bellezza è la cicatrice sul ginocchio fin da quando sei caduta da bambina, bellezza sono le occhiaie quando l’amore non ti fa dormire, bellezza è l’espressione sulla faccia quando suona la sveglia la mattina, è il trucco colato quando esci dalla doccia. 
E' l
a risata quando fai una battuta che capisci solo tu. 


Bellezza è incrociare il suo sguardo e smettere di capire, è il tuo sguardo quando vedi lui, quando cominci a balbettare nel parlare di lui, è quando al suo pensiero nonostante le lancette comincino a scorrere veloci è come se il tempo si fosse fermato. Bellezza è quando abbracci il cuscino pensando a lui durante la notte, è la faccia rassegnata al tuo risveglio quando comprendi che lui accanto a te non c'è. E' quando fai seguire ad un "mi manchi" un "vengo da te", è quando rimani in silenzio lasciando che sia il tuo cuore a parlare.


Bellezza è quando piangi per le tue paranoie, sono le rughe segnate dal tempo. 


Bellezza è quando sproni un amico a realizzare i suoi obiettivi, è quando gli inculchi l'entusiasmo giusto per coltivare le passioni che da sempre tiene nascoste. Bellezza è quando ridi insieme ad un amico per qualche follia vissuta insieme, per le assurde battute che capirete solo voi. Bellezza è una carezza, un abbraccio, quella parola che arriva nel momento in cui ci sentiamo perduti. 


Bellezza è un'imperfezione, un difetto che dona un'aurea di ineguagliabile unicità. E' un modo di mangiare, di sorridere ad una battuta, è un particolare sguardo in cui è possibile cogliere una luce differente dalle altre. Bellezza è quel modo di camminare, come se stessimo saltellando, ondeggiando, sculettando, quel diverso modo di muovere il bacino. Bellezza è un modo di pronunciare vocali e consonanti. Bellezza sono quelle manie che abbiamo solo noi, quel modo di sistemarci i capelli, di sollevarci gli occhiali con l'indice, di morderci il labbro quando siamo nervosi, di alzare lo sguardo quando siamo perplessi. 


Bellezza è un dettaglio. Un dettaglio che sembra niente eppure è tutto, perchè è quel dettaglio che ci rende speciali, unici, diversi agli occhi degli altri. Senza quel dettaglio non saremo capaci di distinguerci.


Non un difetto o un pregio, ma un semplice dettaglio, come un neo sulla guancia, una voglia, un tatuaggio, un brufolo sulla fronte, un capello bianco spuntato all'improvviso, latente ma a tratti visibile.

Bellezza sono i ricordi che rendono lucidi i tuoi occhi, sono le emozioni che riempiono il cuore, le esperienze che ti renderanno un uomo o una donna.
Bellezza sono le nostre idee che prenderanno forma, è la voce di chi non si arrende, sensazioni che riusciremo ad esprimere come se stessimo recitando la più melodiosa delle poesie mai recitate. Bellezza è tutto quello che proviamo dentro e si manifesta al di fuori. Bellezza sono i segni che la vita ci lascia addosso, i pugni e le carezze che i ricordi ci lasciano. Bellezza è lasciarsi vivere. 

mercoledì 21 novembre 2012

Generazione 1000 euro ... Magari!

Siamo una generazione caotica, una generazione con poche idee ma confuse o con tante idee ma consapevoli di non poterle realizzare tutte, perchè siamo figli di un panettiere, di un insegnante, di persone che la mattina si alzano, prendono il loro caffè e vanno a lavorare. I nostri genitori svolgono un lavoro come un altro. Non siamo figli di politici, di chi ricopre alte cariche ammanigliato ad uomini della malavita organizzata, nè possediamo la cittadinanza Vaticana. Siamo persone normali. Siamo figli di una società che ci rende assuefatti, che ci vuole sordi, ciechi e pure muti. Siamo la generazione di mille euro al mese se ci va di lusso. Siamo quella generazione che conseguirà una laurea che verrà incorniciata in attesa di colloqui di lavoro, di master e stage sottopagati, di estenuanti concorsi, alcuni dei quali necessiteranno di quella che comunemente si definisce "raccomandazione", specchio di quella società in cui si avanza per "grazia ricevuta", da chi non ci è dato saperlo, ma possiamo vagamente immaginarlo.
Siamo quella generazione a cui sono rimaste solo parole e ricordi, perchè in fondo forse già tutto è stato vissuto: gli anni venti e gli anni trenta sono passati da un pezzo, così come le guerre mondiali, il boom di scoperte scientifiche e tecnologiche, lo spirito rivoluzionario del sessantotto, gli anni novanta. Forse è stato già fatto tutto e a noi tocca reinventarci, tra parole e ricordi. Allora ci improvvisiamo dj, fotografi e scrittori, perchè sembra che oggi vada di moda. Ma la verità è che siamo una generazione disillusa al punto tale da pensare che tutto in fondo sia "normale". E' questa la più grande tristezza, quella rassegnazione che inonda i nostri occhi al pensiero del "futuro". Una sconfitta per noi, una vittoria per chi in fondo ha lavorato una vita per questo risultato, per ottenere giovani disillusi, stanchi, sordi, muti e pure ciechi. Ma cosa c'è di tanto normale nel pensare che il nostro Bel Paese non possa offrirci un lavoro ed una stabilità al punto da emigrare? Cosa c'è di tanto normale nello studiare tanti anni, attaccare la laurea al frigo come una lista della spesa e aspettare, aspettare che ci venga una crisi di nervi, aspettare "la grazie ricevuta" sempre se arriva, aspettare di finire a fare qualche lavoretto che non si addice agli studi conseguiti per 500 euro al mese, mentre intanto figli di politici avranno la poltrona già bella riscaldata dai loro padri pur avendo faticato nel prendersi un diploma, mentre intanto donne che avranno riscaldato anima e corpo di qualche attempato ai vertici del potere siederanno a riscaldare la poltrona tra chi ci deve governare ed assicurare un futuro, loro che alla nostra età invece già prendono la pensione? Cosa c'è di normale nel sentirsi dire, come persone normali, che non è mai abbastanza, mai abbastanza gli studi nè le lingue che conosciamo?
E' questa una società che ci demotiva, che ci fa pensare follemente di non poter coltivare le nostre passioni, che ci fa crescere come prodotti già stanchi al punto da non poter pretendere, da non poter essere "choosy".
Ma cosa c'è di male nell'esserlo? Anzi, dopo aver studiato tanti anni, pagato tasse dall'importo sempre più elevato nonostante si tratti di università pubbliche, lo Stato ce lo deve. Non siamo noi, gente normale, gente che fa sacrifici, persone che ogni mattina si alzano costretti ad accantonare sogni e aspirazioni nel cassetto solo perchè dicono ci sia la crisi, a non dover essere choosy. Noi choosy pretendiamo di esserlo. Sono quelle persone che passano in Parlamento come fosse un circolo per anziani, una salumeria, un posto qualunque, a non dover essere choosy, a non dover pretendere di starci per "grazia ricevuta" da un genitore, un nonno, un amante. Sono quei giovani che non danno alcun esempio, eppure ricoprono gradi alti nella nostra società perchè figlio di uno che sogna la Padania come la fantasiosa isola di Atlantide, o perchè subrette o con grandi doti di "intrattenimento", a non dover essere choosy. Ma non noi, noi che c'entriamo? Questa società ci ha reso così stanchi, disillusi, rassegnati, costretti alla sordità, al mutismo e alla cecità che tutto oramai per noi è normale e non c'è modo per invertire il punto di vista. Ci inghiottono di parole, le uniche a cui possiamo appigliarci. C'è crisi, sì. La crisi. La crisi che c'era tanti anni fa, che c'è oggi, e ci sarà sempre, perchè come recita un detto "Chi è causa del suo male pianga se stesso", ma ai presunti fautori di questa crisi, genta messa sulle poltrone non a riscaldarle giocando con l'i-pad, piangere ancora non li vedo.
E' questa una denuncia che non vuole portare a nessun risultato. Sono riflessioni, la rivoluzione non si fa davanti ad uno schermo seduti sulla propria sedia. Ma il punto è che forse se proprio si deve sferrare un colpo a questa società rigonfia di marcio, dobbiamo cominciare a capire che questa società marcia non ci può togliere sogni, passioni, aspirazioni, aspettative, facendole cadere nel tunnel dell'irrealizzabile e del pretestuoso, trasformandoci in burattini i cui fili per noi saranno ingestibili, manichini costretti a chinarsi a questa società sporca, vecchia, malandata, in cui sono rimaste solo tanti ricordi e parole, costretti a dire sempre sì, ad adeguarci al mercato, a quei settori del "mercato" ai margini del confine come fossimo prodotti usciti difettati, nonostante curricula troppo pieni per gente seduta in poltrona che fa del niente una professione degna di nota. No. Questo dobbiamo imparare a dire senza paura, no!
 Allora un uomo, di grande spessore culturale ed umano, un giorno ha detto : "Siate affamati, siate folli ", io aggiungo "Siate choosy!"

martedì 20 novembre 2012

L'amore ai tempi di facebook.

Vi svelo un segreto.
Lo sapete perchè i nostri nonni si sono amati sin dal primo giorno sino alla fine dei loro giorni? Lo sapete perchè hanno giurato una reciproca devozione? Lo sapete perchè non hanno mai litigato o semplicemente solo per l'essenziale senza mai prendersi le fatidiche "pause di riflessione"? Perchè il nonno e la nonna non avevano facebook. Sembra una banalità ma se ci pensate esistono molte coppie oramai sature che si appigliano a tutto pur di innescare discussioni che alla fine sono prive di ogni concreto fondamento.
Sarà capitato anche al nonno di uscire una sera con gli amici, di incontrare qualche bella signora, o magari una sua vecchia fiamma, senza che però succedesse niente. A fine serata tornava a casa e non aveva bisogno di dare tante spiegazioni o nel caso in cui la nonna gliele chiedesse se le faceva bastare, senza indagare ulteriormente. Oggi invece il nostro "lui" esce per una serata tra amici, si reca in un posto dove è possibile incontrare belle ragazze o magari qualche sua vecchia fiamma che saluta, ma niente di più. Torna a casa e subisce un interrogatorio di quarto grado da parte nostra, del tipo : " Dove sei stato amore?" "Sono andato in un pub, quello dove siamo stati anche l'altra volta. " "Ti sei divertito?" "Si, mi sono divertito." Ecco già al suono di questa risposta il tono della nostra indagine diviene più aspra. Perchè noi ci possiamo divertire, possiamo fare follie con le nostre amiche scapestrate, ma il nostro fidanzato no. Lui non si può divertire. Perchè se si diverte significa che qualcosa non quadra, significa che forse c'è lo zampino di un'altra donna nella sua serata all'insegna del divertimento più sfrenato. Allora la domanda che gli porremo sarà: "Chi c'era?"  E quel pover uomo sarà costretto ad elencare tutti i presenti come se fossero giocatori di una squadra di calcio. E per evitare malintesi quel pover uomo, spinto da un insolito slancio di sincerità dirà : "Amore c'era anche Eleonora, sai la mia ex. Ci siamo salutati. Niente di rilevante. " Ecco. Noi rimarremo zitte, faremo finta che quella frase non l'abbia mai pronunciata e andremo a letto. In fondo, si sono soltanto salutati, niente di rilevante. Ma ecco che il mattino seguente, apriremo facebook e saremo curiose di vedere le immancabili fotografie scattate la sera precedente.
"Amore come mai sei più rosso del solito in volto, mica hai bevuto troppo?"
"Ma no, amore, solo una birra. Te l'ho detto è stata una serata tranquilla."
"Amore e chi sono tutte queste persone? Non mi avevi detto che c'erano anche loro."
"Ma no, amore, ero stanco e mi sono limitato a dirti solo qualche nome. Tutto qui."
Ecco che all'improvviso giunge come la manna dal cielo il pretesto per innescare quella discussione dai toni feroci, inevitabile quanto inutile. Per cosa? Per un signore di nome "Tag". Che razza di nome è questo. "Ciao sono Antonia e tu?" "Ciao, piacere Tag". Sembra quasi un nomignolo di uno dei romanzi di Federico Moccia. Eppure questo signore dal nomignolo ridicolo è inopportuno, invadente e anche particolarmente malefico. Perchè svelerà tutto quello che quel pover uomo avrebbe voluto nascondere non perchè poco sincero, ma proprio per evitare incomprensioni che presto si sarebbero trasformate in feroci o addirittura sanguinarie discussioni. Un tag. Una foto. Il nostro uomo. I suoi amici. Lei. La sua ex.
"Amore, vieni un attimo."
"Cosa c'è?"
E noi con la faccia già di un rosso rabbioso: "Meno male che vi eravate soltanto salutati. Che ci fai nella foto con lei?"
Magari quella è una di quelle fotografie scattate per caso. Dove magari presi dall'ebbrezza dell'alcool non ci si ricorda nemmeno come e perchè sia stata scattata. Una di quelle foto dove ognuno che passa ci si può intrufolare, giusto per far numero. Magari quella povera donna della sua ex che per noi sarà classificata con gli epiteti più graziosi ed eleganti mai sentiti, sarà passata per caso e si sarà intrufolata in quello scatto per poi andare via. Ma il signor Tag non perdona. I fatti sono questi. Quindi ci lamenteremo per l'intera giornata o anche di più di quanto il nostro uomo sia bugiardo e bastardo e pronunceremo quella frase banale: "Se mi menti su questo, puoi mentirmi su qualsiasi cosa. Basta. Ho bisogno di tempo. Sono ferita."
E perchè non parlare anche della comitiva dei signori "Mi piace". Gente tranquilla, onesta, dei lavoratori senza pretese. Pure contro di loro ci scaglieremo: "Perchè hai messo mi piace alla foto di quella TR***, STR****, ZOC****, ..." ed altri epiteti molto carini che attribuiremo a quella povera donna all'oscuro di tutto.
Voglio dire. Il nonno e la nonna non erano più buoni, più onesti, più rispettosi. Forse sì. A quei tempi si amava diversamente, con maggiore devozione, con più semplicità, con maggior senso del sacrificio che oggigiorno manca. Ma la nonna e il nonno in certe circostanze si saranno trovati allo stesso modo. Solo che non c'era facebook a svelare in tempi record ogni minimo dettaglio. Il signor Tag e la comitiva dei signori "Mi piace" ancora non erano nati, e si stava più tranquilli. Ci si fidava senza dover necessariamente aprire le indagini e scrivere il nome del nostro partner in cima alla lista degli indagati.
Se ci pensate, il nonno e la nonna si sono amati, sacrificati, si sono promessi eterna devozione, anche perchè a quei tempi questo maledettissimo social network non esisteva. E forse si viveva meglio nell'essenzialità, nelle parole non dette per paura di ferire, nella fiducia incontestabile dell'altro.

lunedì 19 novembre 2012

Ricordi.

Ricordi. Ricordi di una spiaggia assolata, delle onde del mare, di acque salate. Ricordi di una notte di estate dove il freddo ed il rumore delle onde che con la loro veemenza si scaraventano sulle pareti impervie di alti scogli ci facevano compagnia. Ricordi di un saluto che poteva essere un addio o semplicemente un arrivederci. Ricordi di una vita che temevamo nascesse. Ricordi di una vita che è nata e temevamo finisse troppo presto. Ricordi di una città veloce, di un dolce risveglio, di giornate in cui dovevamo trovare il coraggio di ripartire da zero. Ricordi di una vita cominciata da zero e portata all'estremo. Ricordi di persone incontrate per caso, di risate che riempivano il cuore e la mente, di parole che hanno messo in discussione noi stessi. Ricordi di abbracci che nel silenzio raccontavano tutto. Ricordi di momenti che poi sono diventati niente. Ricordi di come eravamo e cosa siamo diventati. Ricordi di amori spazzati via come conchiglie sulla riva del mare. Ricordi di dolci attese ed estenuanti rimpianti. Ricordi di incredibili passioni ardenti come un focolare che speravi non si spegnesse mai. Ricordi di focolari che spenti con la rapidità di fiammiferi hanno lasciato il vuoto come ombre che nell'oscurità della notte si fa fatica ad individuare. Ricordi di un respiro affannato e di tregue che ti hanno permesso di ripartire. Ricordi di una vita triste, desolata ed amara. Ricordi di una vita intensa, passionale, felice. Ricordi di una fatica che non pesava mai abbastanza. Ricordi di fallimenti e di amare sconfitte. Ricordi di fallimenti che ci hanno spronato a partire da capo, con una valigia che pesava troppo per poi alleggerirsi strada facendo. Ricordi di persone belle, profonde, quanto rischiose. Ricordi di persone che ti hanno ricordato che la vita non è tutto qui.Ricordi di persone brutte, tremende quanto banalmente ridicole. Ricordi di persone destinate sin dal principio a diventare un tuo ricordo. Ricordi di persone per cui saresti stata tu un ricordo. Un ricordo amaro o incredibilmente dolce. Ricordi di serate spese a scrivere per timore di parlare troppo. Serate spese a scrivere nell'ostinato tentativo di scorgere un senso quando invece un senso non c'era perchè era già tutto racchiuso lì in quello che scrivevi. Ricordi come uno schizzo di pioggia che in mare aperto genera cerchi concentrici sempre più larghi. Ricordi.
I ricordi sono l'unica cosa che non cambiano mai, che ci offuscano la mente, che ci conducono in un'altra dimensione come un viaggio con un biglietto di sola andata. E' per questo che siamo così legati ai ricordi, perchè loro saranno sempre lì, in quella zona del cuore, in quel settore del nostro cervello, a ricordarci di quanto eravamo felici o tremendamente tristi. A ricordarci di persone che sono passate nella nostra vita a donarci un messaggio di speranza e di passioni da coltivare, o passate solo per darci uno schiaffo e scaraventarci sull'asfalto, a ricordarci di quanto la vita possa essere a tratti anche brusca e fredda come quell'asfalto su cui saremo stati gettati. Quei ricordi saranno lì, senza mutare mai, nonostante il tempo scorra inesorabilmente. I ricordi sono l'unica cosa che il tempo non potrà cambiare. Perchè sono un passato che è entrato dentro la scatola dei nostri pensieri e che abbiamo accuratamente sigillato per evitare che il nostro tempo ce li porti via. E ci fanno ridere a crepapelle, sorridere come un bambino, ci fanno sentire leggeri. Oppure ci faranno sentire stanchi, tristi, come chi ha dovuto archiviare un altro pezzo di vita che non avrebbe voluto accantonare, ma purtroppo ha dovuto farlo e cominciare da zero consapevole di quanto questo nuovo pezzo iniziato si tramuterà anch'esso in un altro ricordo. Oppure ci faranno sentire sbagliati, come sbagliate erano le persone che ricorderemo e che ogni volta ci ricorderanno il peso di un fallimento che trascineremo sino a che non ci sarà qualcuno o qualcosa che ci ricorderà di quanto valga la pena fallire per poi vincere. Una vittoria sudata ed inaspettata che ci renderà più belli perchè non smetteremo mai di credere che tutto sia ancora possibile. Ricordi a cui nel bene e nel male rimarremo ancorati perchè senza quei ricordi saremo niente. E non perchè si debba vivere di soli ricordi, ma il ricordo spiega ciò che siamo stati, da dove siamo partiti, cosa siamo diventati ed anche dove siamo diretti. Perchè il ricordo è un passato che incamereremo nel profondo della nostra anima con ferite aperte o rimarginate o con inesauribili sorrisi, ma è anche la base su cui poter costruire il nostro futuro.
Siamo carne, anima e ricordi.

domenica 18 novembre 2012

Parole al vento.

Ogni volta che parlo con un uomo, parlo con l'uomo onesto, che non hai mai tradito la sua donna, che piuttosto ha preferito lasciarla, perchè l'onestà è fondamentale. Parlo con quell'uomo che ha amato sino alla venerazione la sua donna. Ogni volta che parlo con un uomo, parlo con quell'uomo "diverso" che ad accuse velate che offendono l'intera categoria si sentirà colpito, perchè lui in fondo non è così ed io non posso permettermi illazioni nè sguardi minatori che lo mettono alla gogna ancor prima di vederlo in azione.
Parlo sempre con l'eccezione che conferma la regola, al punto da essermi chiesta quante probabilità ci siano di incontrare invece la regola in persona e quante eccezioni effettivamente ci siano in giro al punto da pensare che sia opportuno operare un'inversione etichettando le eccezioni come regole e viceversa.
Parlo sempre con l'uomo giusto, di buon senso, maturo e razionale abbastanza, colui che non abbandonerebbe mai nessuno in modo brusco, colui che ha desiderio di restare accanto a qualcuno che vorrebbe amare sino alla venerazione. Parlo sempre con quell'uomo che sa ascoltare, che sa percepire i tuoi pensieri, che nel silenzio trova le risposte, in uno sguardo la luce che man mano lo condurrà verso la strada giusta. Parlo sempre con l'uomo perfetto. Con quell'uomo che sembra sia caduto dal cielo. Talvolta me ne sono meravigliata al punto da sospettare che mi stesse spiando da mesi, per conoscere ogni parte di me, sino ad ogni minuziosissimo dettaglio.
Frottole. Parole. Bugie. Chiamatele come volete. Perchè quell'uomo ti farà notare come il tuo sguardo sia di chi vorrà punire qualcuno solo perchè appartiene alla categoria maschile, solo perchè quelle parole le hai già sentite, solo perchè ogni volta quelle parole non hanno mai trovato oggettivo riscontro nei fatti. Ti farà sentire colpevole perchè non capirai che lui invece è diverso dagli altri. Ma la verità è che quando vorrai dare a lui e soprattutto a te una possibilità tutto si ripeterà come un copione già visto. Parole portate via dal vento come il suono di un flauto che pian piano riuscirai ad ascoltare sempre meno sino a percepirne solo l'eco per poi scomparire. Una diversità osannata eppure non dimostrata in nessuno dei suoi atteggiamenti, nemmeno in piccoli gesti quotidiani, neppure lo sguardo a lungo andare ti sembrerà così radioso.
Se è vero che siamo ciò che facciamo e non ciò che diciamo vedo tanti manichini che parlano, che elencano a chiunque i loro pregi, che si proclamano l'eccezione che conferma la regola, che fanno auto-propaganda sino allo sfinimento, ma tutte quelle parole si bloccheranno come un gettito d'acqua che farà fatica ad uscire anche da un piccolo tubicino, quando le cose dovrebbero essere semplici. Anche le aspettative più banali resteranno irrealizzate, intrise da una malinconica delusione e rassegnazione nel constatare che invece sono tutti banalmente uguali. Ma allora il punto forse non è auto-proclamarsi diversi, ma definirsi per ciò che si è. Definirsi come un uomo che ha amato sino alla venerazione ma che qualche volta non ha saputo reggere il ruolo da amante modello e purtroppo ha anche tradito. Definirsi come chi non è sempre stato onesto con se stesso e soprattutto con gli altri. Definirsi come chi non è forse maturo e giusto abbastanza, come chi sa restare ma quando non ha voglia di farlo abbandona, e spesso lo fa nei modi più bruschi in cui lo si possa fare. Definirsi nè diverso nè uguale agli altri, ma semplicemente per quello che si è: un essere umano, e gli essere umani non sono perfetti, gli esseri umani commettono errori. E forse noi donne sapremo cogliere la bellezza in quell'imperfezione che si paleserà a noi in maniera sincera, come chi non ha bisogno di nascondere niente, come chi non ha bisogno di inghiottirci il cervello di lunghi e banali presentazioni mostrando l'archetipo dell'uomo perfetto che in realtà non esiste. Sapremmo amare quell'imperferzione perchè la diversità che ci attirerà sarà proprio in quei difetti di chi non avrà avuto paura di mostrarli. O a limite, capiremo che la nostra ricerca non è ancora finita e andremo avanti. Perchè spesso ci accontentiamo pur di non restare soli in questa tormentata ricerca della perfezione e lealtà che forse è un'utopia. Accettiamo come normali atteggiamenti che invece ci fanno star male, nonostante ci sforziamo a trovare una giustificazione. No, non c'è. Basta nel giustificare sempre tutto. Basta nel considerare come normali parole o gesti che ci conducono alla perplessità, sino a contestare il nostro modo di fare, a mettere in discussione persino noi stessi. Non dobbiamo accontentarci, nè arrestare la ricerca solo perchè dobbiamo farci andar bene quello che abbiamo trovato. No. Ciò che hai trovato dovrà andar bene per te come tu dovrai andar bene per ciò che hai trovato. E' questo il risultato giusto della tua ricerca. In caso contrario, prendi la tua torcia e cerca altrove, senza mai arrenderti, anche quando la tua ricerca sembrerà fallimentare, soprattutto in quel momento non dovrai fermarti, perchè sarà allora che troverai qualcosa per cui varrà la pena di accendere la torcia e andare a fondo.

sabato 17 novembre 2012

L'amica dell'uomo.

Mi sento spesso l'amica degli uomini. Quella con cui gli uomini si raccontano, colei a cui chiedono consigli sulle proprie donne o per altre ragioni. Colei a cui si possono fare battute volgari seguite da una risata piuttosto che da una critica. Colei con cui puoi bere sino alla nausea o mangiare cioccolata sino alla comparsa di quel fastidiosissimo brufolo sulla fronte. Colei che ascolta i pensieri altrui per poi smascherarne solo una piccola parte dei suoi che restano ingarbugliati come un gomitolo di lana nella zona più intima e segreta del suo cuore, perchè quelle rare volte che ne ha consentito l'accesso ha visto uomini scappare via a gambe levate quasi come se stesse svelando il più atroce dei crimini mai commessi, allora si trattiene, fin quando le è possibile. Poi scoppia e al suo energico manifestarsi nuda senza barriere vedrà persone allontanarsi. Saranno sempre poche quelle che decideranno di restare. Allora forse questo ruolo da amica dell'uomo è quello che più mi si addice perchè così non scappa nessuno. Ci sarà nei momenti di gioia, di vittorie sudate, di attesi ed estenuanti traguardi. Ci sarà nei momenti di profonda delusione, di amare sconfitte, di lacrime che non smetteranno di scorrere al punto da farmi scoppiare, al punto da riuscire a farlo senza la paura che possa scappare. Ci sarà nel silenzio dinanzi ad un film dove l'unico rumore sarà quello dei pop corn sgranocchiati. Ci sarà in delle grasse risate in occasioni folli ed incredibilmente assurde.
Essere amica degli uomini non comporta implicazioni sentimentali ecco perchè il rischio di fuga si assottiglia. Lo metterai in chiaro dal principio che non dovrete mai vedervi sotto un diverso punto di vista. Ma laddove dovesse succedere vi sentirete colpevoli, come gli autori dei più efferati crimini. Quel patto di amicizia è stato violato, sebbene l'abbiate fatto inconsapevolmente, come qualcosa che man mano si accendeva in ogni gesto quotidiano, tra un sorriso e una lacrima, tra una parola e l'altra, mentre si sgranocchiavano pop corn in religioso silenzio dinanzi ad un film. Allora per non perdere tutto questo farete finta di niente. Per non sentirci soli saremmo in grado di fare qualsiasi cosa, anche amare in silenzio, rendendo mute urla che comprimeremo sino al tormento, bistrattando una parte di noi che nel fingere che non esista diventerà la nostra seconda vita, quella che nessuno a parte noi conoscerà. Perchè sebbene questo ci spinga al tormento, preferiamo un equilibrio precario, che vede tutti dentro e nessuno fuori, avere una metà piuttosto che niente. Dovremmo digerire di vedere quell'uomo che chiamiamo amico con una, con un'altra e un'altra ancora, dando consigli su come corteggiare una, un'altra e ancora un'altra. L'amica dell'uomo è oramai uno stereotipo e sebbene il ruolo possa assumere connotati diversi c'è una cosa che è comune: tendenzialmente l'amica dell'uomo è sola. A dire dell'uomo sarà la donna perfetta, quella donna forte abbastanza da mettere un uomo k.o., testarda, coraggiosa ma brillante, una donna estremamente coinvolgente di cui non si può non rimanere affascinati. Eppure quella donna è sola ed il pensiero di essere l'amica e la sorella che tutti vorrebbero le conferma la paura di non trovare mai braccia che possano offrirle un calore diverso da quello che si trasmette ad una sorella o ad un'amica.
Ma la verità è che abbiamo scelto di essere soli già nel momento in cui abbiamo assunto il ruolo dell'amica degli uomini. Quella ragazza modello, quella ragazza brillante che ha sempre il consiglio giusto a portata di mano, colei che è in grado di capire ogni suo singolo gesto. Ad un certo punto in un momento auto-celebrativo ti sentirai addirittura la donna giusta per quell'uomo, perchè in fondo altre al suo fianco come te non potrebbe averne. Ma la verità è che nonostante ti ricordi quanto sia bella, speciale, piena di vita, straordinaria in ciò che pensi e riesci a realizzare, sarai solo la sua amica. E quella lista dei pregi che ti si elencherà ogni volta diventerà per te un amaro contentino che comincerai a disprezzare, perchè in fondo è faticoso reggere il ruolo da amica modello, pronta ad offrirti una spalla, un rene o un polmone all'occorrenza, rimuovendo il pensiero che quell'amica modello è anzitutto una donna. E le donne si amano, soprattutto se a dire di quell'uomo saranno belle, brillanti e forti abbastanza, incredibilmente straordinarie da comprendere ogni singolo gesto. Quel ruolo che un tempo ti piaceva ma che poi avrai cominciato a sentir stretto. Quel ruolo che ti calza a pennello, che hai scelto quando vedevi cader giù come birilli quegli uomini con cui credevi di costruire un rapporto diverso, quel ruolo che credevi ti permettesse di non sentirti sola ed in effetti non lo sarai, mai. Non lo sarai eppure ti ci sentirai.
Ma nonostante tutto ti sarai convinta che questo è l'unico ruolo che ti si addice e forse va bene così.

venerdì 16 novembre 2012

Una metropolitana. Tante vite.

Un uomo sulla cinquantina. Una ragazza presumibilmente ventenne. Una donna anziana. Un ragazzo di colore con un borsone contenente merce di poco valore da vendere per sopravvivere.
Una metropolitana, uno dei massimi centri di aggregazione sociale, che vede ogni giorno e a qualsiasi ora entrare ed uscire persone dai vagoni, ciascuno con una propria storia da raccontare. Tante vite che si riuniscono in un piccolo spazio chiuso, per pochi minuti o un'intera tratta.
Un uomo sulla cinquantina intento a leggere il suo libro. Una ragazza presumibilmente ventenne che tenta sbuffando di sfogliare il manuale del suo prossimo esame. Una donna anziana con lo sguardo di chi torna dall'ennesimo accertamento ospedaliero ed intanto pensa a ciò che dovrà cucinare per il pranzo, per la cena ed anche per il giorno successivo, come fanno generalmente tutte le donne di una certa età. Un ragazzo di colore con gli occhi tristi che custodisce gelosamente un borsone contenente oggetti inutili e di scarso valore, ma che è la fonte della sua sussistenza. Successivamente entra una donna dalla folta capigliatura e dalla carnagione scura, indossando una camicia ed una minigonna che risalta le sue curve sinuose. Il volto totalmente plastificato, tipico di quelle donne che restano ancorate ad un tempo che però inesorabilmente scorre. Quelle donne che diventano di plastica perchè fanno fatica ad accettare che intanto la vita scorre, le rughe si moltiplicano e loro magari non avranno fatto niente di quello che sognavano in gioventù. Donne di plastica che saranno finte, che inganneranno gli occhi degli altri tranne di quelli più esperti, ma di certo non inganneranno il tempo. Quelle rughe potranno essere rimosse dal viso, ma dall'anima no, con quelle dovranno farci sempre i conti. 
Una donna ad ogni modo curata e dal bell'aspetto al punto da destare l'attenzione di tutti. In particolar modo dell'anziana donna che sarà stata invidiosa delle sue gambe e dell'uomo sulla cinquantina che tra una pagina e l'altra del suo libro alzava lo sguardo che inevitabilmente cadeva sulle gambe ed il fondoschiena della donna.
Quell'uomo di colore sedutomi accanto osservava il mio pacchetto appena comprato di Fruittella, che maneggiavo nervosamente mentre intanto tentavo nell'eroica impresa di sciogliere il groviglio di pensieri che porto sempre con me come chi porta a passeggio il suo cane. Fissa così tanto il pacchetto che scartatane una decido di offrirgliene una per poi regalargli l'intero pacchetto. Perchè quel pacchetto di Fruittella sarà stato anche un anti-stress per me, un modo dolce per digerire i pensieri, ma per quell'uomo dagli occhi tristi sarà stato un modo per capire che in fondo non è solo un mendicante, ma un uomo normale a cui gli si può offrire una caramella o più di una. Quegli occhi non erano meno tristi, ma sicuramente riconoscenti. Perchè il punto è che se facessimo anche solo un gesto al giorno di "solidarietà" verso un'altra persona, saremo tutti più felici. Perchè non è solo il cuore dell'altro a riempirsi di riconoscenza, ma anche il nostro. Ma purtroppo la nostra noncuranza verso chi ci è accanto e l'esagerata avidità ci rende protagonisti o spettatori di gesti impietosi, oltremodo imbarazzanti, come la sfrontatezza di una donna sulla quarantina che occupa un posto sul vagone per la nipote ventenne impedendo ad un signore anziano munito di bastone di sedersi, quasi come a dimostrare che l'educazione si è probabilmente fermata ai nostri nonni, e che se noi giovani difettiamo di educazione, di senso di solidarietà e rispetto è forse perchè abbiamo avuto pessimi insegnanti e pochi buoni esempi o addirittura nessuno. Se fossimo in grado di fare un buon gesto verso anche una sola persona ogni giorno, regaleremmo un sorriso a qualcuno e anche a noi stessi. Invece accecati dal menefreghismo spesso siamo in grado di offrire solo una lacrima. Una lacrima che potrà anche non solcare necessariamente il viso. Effettivamente quell'anziano con il bastone non l'ho visto piangere, ma ho immaginato che fosse il suo cuore a versare lacrime.
Una metropolitana in cui ascolti racconti di ogni tipo o semplicemente immagini pensieri. Non è stato difficile immaginare il pensiero di quell'uomo sulla cinquantina alla vista di quella donna dal viso plastificato, a lui sconosciuto perchè in effetti era di spalle e forse ha preferito immaginarla così.
Un groviglio di vite assuefatte o esageratamente stimolanti. Vite regolari o particolarmente folli. Vite felici o vite tristi. La metropolitana è il rumore o il silenzio di tutte queste vite, di parole raccontate, di pensieri immaginati tra il cigolio delle rotaie che ricorda che il vagone ci aspetta.

mercoledì 14 novembre 2012

Tu sei esattamente dietro la paura.

Viviamo di due chiacchiere davanti ad un caffè e di quattro passi.
Viviamo di se e ma, di magari, di forse, di non so.
Viviamo di approssimazioni perchè il definirci ci fa paura. 
Allora preferiamo due chiacchiere e quattro passi davanti ad un caffè di un bar del centro o di periferia perchè quello è l'unico modo che conosciamo per approcciarci a qualcuno. E' un modo che sterilizza un equilibrio precario che non comporta alcun rischio, perchè potremmo dire in ogni momento che in fondo era solo un caffè, si trattava solo di due chiacchiere e quattro passi. Siamo in qualcosa da cui potremmo uscire in ogni momento e senza troppe complicazioni, perchè siamo dentro ma non fino in fondo.
Abbiamo timore di raccontare certezze, a noi quanto agli altri. Allora riempiamo le frasi di ma, di se, di forse e può darsi e alla domanda di qualcheduno che avrà capito che il nostro è un vano tentativo di nascondere verità che fingiamo non esistano rispondiamo "Non so". 
Approssimiamo qualsiasi cosa. Approssimiamo un impegno importante, un dolce appuntamento, intere relazioni. Intere relazioni vissute approssimativamente fra se, ma, magari, può darsi e non so. Relazioni così approssimative che finiscono per donarci poco eppure quando finiscono saremo delusi. Una delusione che scaturirà più che dalla rottura, forse proprio dall'avere un'idea approssimativa dell'altro che finisce per proiettarsi su di noi. Approssimiamo anche noi stessi. Non siamo mai in grado di dare risposte esaustive, di restare in silenzio per qualche minuto ad ascoltarci, ad assaporare la profondità di quelle verità che fingiamo di non conoscere ma che in realtà pullulano dentro di noi come fossero urla che rimbombando in delle fitte caverne generano echi dall'insolita intensità. Non siamo mai in grado di mandare all'aria le due chiacchiere e i quattro passi e decidere di farne qualcuno in più se è quello che sentiamo veramente. Non siamo in grado di definirci per paura di rischiare tuffi nel vuoto che possano scaraventarci sull'asfalto. Non siamo in grado di non ragionare per approssimazioni, perchè forse l'esperienza ci ricorda che quando abbiamo rischiato tutto in un lavoro, in un'amicizia, in un passo giudicato importante, in un amore che credevamo eterno, tutto è stato considerato da altri approssimativo. Allora forse abbiamo cominciato a farlo anche noi. Abbiamo cominciato ad essere gli unici conoscitori del nostro stato, dei nostri pensieri ed anche delle nostre passioni. Abbiamo imparato a rispondere alla domanda "come stai" semplicemente con un "tutto bene, grazie", nonostante talvolta in quel tutto ci sia niente, in quel bene ci sia male, in quel grazie ci sia "a nessuno importa". Ma l'interlocutore spesso se lo farà bastare. Spesso sarà uno come tanti che vive di approssimazioni. Allora ad un disinteressato ciao, come stai, non può che aspettarsi un disimpegnato tutto bene grazie, perchè in fondo sebbene vorresti urlargli la verità probabilmente non riuscirebbe a comprenderla.
Ma vivere di approssimazioni ci rende piccoli pezzi che spesso non riusciranno a coordinarsi. Ci rende asettici ed indefiniti. Quindi forse prima di continuare a vivere nell'approssimazione di noi e dell'altro, tra sogni e passioni che restano muti, tra le due chiacchiere ed i quattro passi che racconteranno di un numero indecifrato di se, ma, magari e può darsi, dovremmo fermarci e capire cosa rischieremo nel definirci troppo. La verità è che l'unico rischio è di apparire completamente noi stessi, con la nostra fragile nudità che ci imbarazzerà, che ci renderà più esposti al rischio di delusioni forse, ma quella fragilità così nuda e così umana sarà vera, e quel rischio potrebbe condurci tanto ad una delusione quanto invece ad una vittoria. Se non ci mettiamo in discussione, se non diamo aria ai nostri pensieri, se non facciamo scoppiare il nostro cuore come palloncini, non lo sapremo mai. E rimarremmo lì, in quel bar del centro a fare quattro chiacchiere, a fingere di star bene nonostante il proferire di parole rigidamente programmate ma non sentite, ma perchè? Per paura. Paura di cosa? Di soffrire, di star male, di rimanere delusi? No, questo è secondario. Abbiamo paura della paura stessa. E' questo il più grande paradosso. Paura di quanta paura faccia l'essere messi nudi e fragili dinanzi al nostro essere. Ma che senso ha aver timore di qualcosa che fa parte oramai di noi e che non possiamo scacciare? Paura di amare, paura di restare in silenzio e che sia il nostro cuore a parlare a qualcuno, paura di fare progetti che temiamo siano avventati o semplicemente troppo grandi per noi. Paura di un tuffo nel vuoto. Paura di mettere in discussione una vita che ci sta stretta. Paura di capovolgere i piani e ricominciare da capo. Paura. Ma tu dove sei? Tu sei esattamente dietro la paura. Perchè sebbene la paura ti si anteporrà fingendo che tutto quello che temi non esista, in realtà sarà sempre con te, come cartoni sigillati messi in un angolo ad aspettare. Ed in questo conflitto tra ciò che c'è in quei cartoni e ciò che ti impedisce di aprirli prima o poi dovrai decidere sul da farsi, cosa vuoi scacciare. Ma il punto è che quello che hai depositato in quei cartoni sigillati non potrà mai essere scacciato, sebbene te ne convincerai, quei cartoni saranno sempre lì a reclamare la loro apertura. Ma la paura sì, quella la si può scacciare. Allora vinta la paura, scaraventata sull'asfalto, pestata per far sì che non possa più prendere il sopravvento, ci sarai tu con il tuo amore, il tuo cuore che batte, i tuoi grandi progetti, la tua incantevole passione.
Scacciata la perfida nemica rimani tu. Dopo di che, vola!

martedì 13 novembre 2012

Tra un inizio e una fine c'è una vita.

Si dice che ciascuno abbia una sola vita.
Ognuno di noi nasce. Cresce. Da bambino diventa adolescente. Da adolescente diventa ragazzo. Da ragazzo diventa adulto sino a diventare anziano per poi spegnersi.
Ognuno di noi ha una sola vita, per questa si invita a non sprecarla.
Ma il lungo processo che dalla nascita porta alla morte io non la chiamo vita, ma esistenza.
L'esistenza è unica, le vite possono essere tante come non esserci affatto.
Viviamo ogni volta che siamo posti dinanzi ad un nuovo inizio. Un inizio che sarà come una nascita. Tutto inizia con la rottura delle acque che sarà come quel qualcosa che decideremo di rompere o che si romperà non per nostra volontà. Quel che conta è che oramai qualcosa si sarà rotto. Si rompe un legame di amicizia, un amore, un rapporto lavorativo. Si rompono gli schemi in cui ci saremo quotidianamente imprigionati. Si rompono idee, sogni spazzati via dall'alta marea, programmi che d'un tratto perderanno la loro stabilità. Anche la speranza, anche quella si rompe. Allora quando si rompe tutto questo ci sarà l'esigenza di ripartire da zero, cominciare da un punto di partenza diverso dal precedente. Dovremo iniziare una nuova vita. Dovremo rinascere. Non sarà facile. Le nascite sono belle ma dolorose, accompagnate da strilli quasi ancestrali e continue spinte. Talvolta nonostante gli sforzi faticheremo ad uscire. Ma il tutto si calmerà con la voce dell'ostetrica che dirà "E' nato". Ce l'abbiamo fatta. Siamo nati. Avremo un nuovo amico, un nuovo lavoro, un nuovo amore. Ci saremo liberati dalla routine che quotidianamente ci rendeva schiavi. Siamo finalmente anime libere che hanno riconquistato passione e speranza. Allora cavalcheremo l'onda, quell'onda che ci terrà al riparo dalle intemperie, quella stessa onda che talvolta ci farà cadere.
Ma quando cadiamo e riusciamo a ricavalcare la stessa onda che ci aveva condotto sul fondale o anche una diversa, viviamo. Anche questa rappresenta una nuova vita.
Come è vita il fallimento. Spesso capita di attribuire al fallimento un'accezione negativa, ma non è sempre così. Spesso ci sono cose o persone che ci ricordano quanto siamo stati bravi o quanto invece abbiamo fallito. Ma nel momento stesso in cui falliamo sottovalutiamo che intanto abbiamo vinto una cosa importante: una nuova vita. Perchè non è esatto dire che ad una fine seguirà un inizio, è la fine ad essere allo stesso tempo un inizio. Ma spesso non ce ne accorgiamo perchè troppo chiusi nel dolore per quella fine che speravamo non arrivasse mai. Ed invece nel frattempo, quando pensavamo di aver solo fallito, in realtà stavamo vincendo. Stavamo vincendo una nuova vita. Una delle poche o delle tante altre da includere nella nostra esistenza. Non si può conteggiare a priori quanti inizi e quante fini avremo, quante volte saremmo costretti a morire per poi rinascere. C'è chi lo fa di continuo senza accontentarsi mai. C'è chi lo fa solo se messo alle strette. C'è chi addirittura non l'ha mai fatto. Non ha mai sofferto, nè gioito abbastanza. Non ha mai avuto delusioni, fallimenti, nè appaganti vittorie. Ha vissuto passivamente ciò che per strada gli capitava come preda di eventi di cui non si è mai domandato il come ed il perchè. Esiste, ma non vive.
Allora forse la cosa importante non è quante vite riusciremo ad inserire il quel lungo processo chiamato esistenza, ma il modo in cui lo faremo. Dovremmo cercare di riempire sempre ogni spazio vuoto, di far coincidere ogni fine con un nuovo inizio. Così avremo vite, non intervallate mai da sterili esistenze. Cicli da raccontare, cicli che comporranno un pezzo di noi. 
Ed ogni ciclo, anche quello apparentemente insignificante, servirà a spiegare quello seguente.
Perchè tra un inizio e una fine si comporrà una vita.

lunedì 12 novembre 2012

Elogio a chi resta e lascia andar via.

" C'era una volta un musicista. Era pallido in volto, emaciato, longilineo, dall'aspetto trasandato. Non gli importava cosa la gente potesse dire della sua apparenza, ma gli interessava soltanto colpire per il suo talento. Suonava il violino, l'unica fonte di sollievo. Era come se il vibrare di quelle corde lo trasportasse in una dimensione irreale. D'un tratto il suo volto diveniva di un improvviso rossore. Al suono di quello strumento era come se il suo essere trasandato, uomo di strada e dal destino incerto non importasse più a nessuno. In piedi, in posizione eretta, al vibrare di quelle corde incantava chiunque si trovasse a passare, in una stazione, su un marciapiede, in un qualche angolo di strada. Quel suono era così dolce, intenso, magnetico che non poteva far altro che attrarre i passanti. Alla fine avrebbe guardato il cappello capovolto e avrebbe contato solo pochi spiccioli, o qualcosa in più. Tutto dipendeva dalla giornata. Ma a lui non importava. Interessava soltanto sentirsi come solo il suono del suo violino lo faceva sentire, anche in una fredda e piovosa giornata dove raro era il passaggio di qualcheduno che per spirito di solidarietà avrebbe onorato il suo talento con qualche misero spicciolo. Lui ed il suo violino erano una cosa sola. Quell'uomo non avrebbe mai immaginato la sua vita senza il suo violino che portava sempre con sé. Lo abbracciava durante la notte, soprattutto quelle più fredde quando l'involucro del cartone in cui si trovava a passare la notte non bastava a causa del freddo così pungente da perforargli le ossa, eppure quel violino gli emanava calore. 
Ma una mattina si svegliò e non trovò più accanto il suo violino. Lo cercò ovunque ma sembrava quasi essersi dissolto. Quel giorno il suo volto appariva ancor più pallido del solito. Quanta tristezza in quegli occhi. Quanta rabbia mista a dolore vomitò. Quel violino, l'unica fonte del suo sollievo, quel violino che lo aiutava a superare le nottate più fredde, quel violino con cui componeva le melodie più dolci e poetiche mai sentite, quel violino che era fonte del suo sostentamento, non c'era più. E mentre vomitava dolore si sentiva niente. 
Quell'uomo adesso era solo, con lo sguardo perso nel vuoto. Ma d'un tratto decise di asciugare le lacrime che scorrevano sul suo volto e con la dignità di chi sa cosa significa perdere tutto e ricominciare da capo decise di andare comunque incontro alla folla, pur essendo sprovvisto del suo strumento.
Si dice che quel giorno sia avvenuto qualcosa di straordinario. Lui che non aveva mai proferito parola se non al suo violino cominciò a recitare poesie. E si dice che ancora lo faccia racimolando qualche misero spicciolo perchè con il suono delle sue parole riesce ad attirare comunque i passanti. Quelle poesie sono come urla di dolore verso un passato che non può più tornare. Poesie intrise di una vena malinconica che racconta di un amore e di una passione che sebbene non ci possano più essere, nel cuore scalpitano e sono ancora vivi come il primo giorno. Poesie che raccontano di un uomo che nonostante tutto ha avuto voglia di ricominciare da capo non avendo niente, se non se stesso. E si dice che oggi sia ancora lì ad incantare i passanti. "

Lasciar andare è la cosa più dolorosa che un uomo possa fare. Eppure in certi momenti è chiamato a farlo. Sarà la presenza fisica a mancarci più di tutto. Talvolta ci ostiniamo a conservare le cose a cui teniamo in uno scrigno per evitare che queste si lascino trasportare dalla forza del vento, andando via da noi. Ma spesso capita che certe cose non possono essere custodite perchè scopriremo, aprendo lo scrigno, che intanto si sono seccate, mancando di quella lucentezza che le rendeva speciali ai nostri occhi. Forse se non fossimo stati così egoisti, se avessimo lasciato che quelle cose fossero trascinate dalla forza del vento, quella lucentezza non l'avrebbero persa e noi le avremmo ricordate per sempre così. Perchè era ricordarle in quel modo che le rendeva così speciali ai nostri occhi al punto da volerle preservare a tutti i costi e vomitare dolore per la loro assenza. C'è un momento in cui l'uomo deve dimostrare la sua capacità di amare. C'è un momento in cui l'uomo è chiamato ad essere tale. C'è un momento in cui non dovrai dimostrare di essere forte agli altri, ma maturo abbastanza per te stesso. C'è un momento in cui dovrai lasciar andare piangendo lacrime amare, avvertendo una mancanza che a tratti ti renderà vuoto. Non si parla di fare la cosa giusta. E' sempre ingiusta una mancanza, ingiusto il dolore che vomiteremo, ingiuste quelle lacrime che ci solcheranno il viso. Ma sarà umano. 
Allora come quel musicista ha cominciato a recitare poesie mantenendo il dolce ricordo del suo violino nel cuore, così dovremmo fare anche noi. Ricominciare dal niente per ricostruire tutto, ammettendo che quella mancanza non sparirà mai, albergherà sempre dentro di noi. Ciò che per amore, devozione, premura riusciremo a lasciare andar via resterà con noi e forse grazie alla sua lucentezza mantenuta, grazie al fatto che non si sia seccata, ritornerà. 
Sarà il tempo a dircelo. Quel tempo che apparirà come una scatola vuota all'inizio, ma che andando avanti si riempirà di risposte a quelle domande che inizialmente sembravano tormentarci come un disco rotto.
Quel tempo che attutirà la mancanza lasciandone sempre l'alone, come il violino per quell'uomo. 
Ma quel ricordo, così intenso e nitido, ci regalerà sempre un sorriso. Quel ricordo sarà come una bella nota tra tante insignificanti o addirittura stonate. E dovremmo solo ricordarci di quanto siamo stati fortunati ad ascoltare il suono di quella nota, che riesce a renderci vivi anche solo con il suo ricordo. E' questo il senso dell'eternità, forse.

sabato 10 novembre 2012

Una fotografia. Un posto nel mondo.

Questa foto non è soltanto una foto. 
Se fosse così vedremmo solo due piccioni "beccarsi" su una ringhiera. La Torre Eiffel sullo sfondo. 
Ma come tutti i prodotti di un artista, che sia un film, una danza, una canzone, un romanzo, anche una semplice fotografia, racconta qualcosa che va al di là di due piccioni che si beccano su una ringhiera parigina e la Torre Eiffel sullo sfondo. E' il trionfo di un'unione perfetta.
Racconta di quanto sia bella la semplicità di un gesto. Di quanta bellezza ci si in due corpi che si uniscono come se tutto il resto non contasse. E' come se i piccioni rappresentassero due amanti che si sono cercati a lungo per poi ritrovarsi su di un'insolita ringhiera. Racconta di due amanti a cui è bastato avvicinarsi per fermare il tempo che inesorabilmente scorre. Eppure la loro unione è così ferma, così voluta, così semplice, così genuina, che è come se il tempo si fosse fermato. Il tempo in uno scatto si è fermato.
Racconta di un piccione dalle piume bianche ed uno dalle piume più scure che nonostante la diversità si dicono con una vicinanza quasi simbiotica nonostante manchi la perfetta unione dei corpi quanto siano stati fortunati a ritrovarsi, e quanta voglia abbiano di amarsi. C'è un punto nel mondo in cui qualcuno incontra qualcun'altro e si assiste al ritrovamento di due anime perdute, diverse ma così vicine, che non potranno fare a meno di godere della loro bellezza riflessa nella luce e nello sguardo dell'altro. Esiste un posto nel mondo dove due anime perdute si incontreranno e capiranno il perchè si siano sempre sentiti persi e sbagliati per chi giungeva nella loro vita per poi andar via girando le spalle. Lo capiranno nel momento in cui si guarderanno negli occhi perchè avvertiranno una sensazione di pace e di pienezza. Allora si uniranno, in un bacio, in una carezza o in un semplice sguardo. Si beccheranno come questi due piccioni, trovandosi esattamente sotto la Torre Eiffel, nella città più romantica al mondo. Ma non l'hanno fatto apposta. Questa non è una perfezione voluta e studiata nel dettaglio. Questa perfezione è venuta così, spontaneamente. In questa foto non c'è la Torre Eiffel e lì un angolo come un minuzioso dettaglio due piccioni che si baciano, ma ci sono due piccioni che si baciano e la Torre Eiffel che fa semplicemente da cornice a quest'unione. 
C'è un posto nel mondo in cui due anime si ritroveranno in una sincronia, in una complicità quasi imbarazzante, in un'unione così perfetta da sembrare studiata. 
Quelle anime perdute sono perfette e lo sono al punto tale da rendere perfetto lo scatto, perfetta la collocazione, perfetti i colori di quella che in fondo è semplicemente una fotografia. 
C'è un posto nel mondo che aspetta l'incontro di due anime perfette. E quando queste si incontreranno si troveranno nella città più romantica al mondo, in una posizione perfetta, esattamente sotto la Torre Eiffel, pur trovandosi altrove. Perchè la perfezione è data da quei corpi che si uniscono, in maniera dolce, candida, genuina, nemmeno troppo vicini, per paura di scoprirsi troppo. Saranno sempre lì, in quel posto del mondo, in quel posto perfetto, che sarà solo una perfetta cornice a quell'unione perfetta che da sola sarebbe già bastata, che renderà solo più scenografico il ritrovamento di due anime perdute che insieme raggiungeranno la perfezione.
Lì, in quel posto nel mondo, gli orologi si fermeranno per dar tempo a due anime perdute di ritrovarsi per poi unirsi in quell'immacolata perfezione.

venerdì 9 novembre 2012

Le stazioni.

Io le stazioni le detesto. Detesto le rotaie che con il loro cigolio è quasi come se ti dicessero "Sono arrivato". Quel cigolio che ti ricorda che devi salire se non vuoi perderlo. Detesto quei tanti o pochi vagoni messi insieme come se uno non bastasse a far salire tutti. Detesto il tabellone che segna gli unici orari in cui puoi partire. Come se avessi sempre delle scadenze da rispettare che riducono la tua libertà di agire.
Detesto quando il treno fa ritardo. E' come quando stai aspettando qualcosa da tanto, troppo tempo, e sei impaziente. Non ce la fai più a sostenere questa lunga attesa.
Detesto quelle lunghe attese alle stazioni, tra la folla che si lamenta, ascoltando le voci di chi lamentandosi dell'inefficienza del servizio non opta mai per un mezzo alternativo.
Detesto quelle corse per salire su un treno in partenza. E' come se dovessi sempre correre, gareggiare con qualcun'altro per ottenere ciò che vuoi, senza mai darti il tempo necessario per capire se veramente ti va di salire sul treno diretto a Roma, o preferisci andare a Torino.
Detesto quando le porte ti si chiudono in faccia una volta che sei arrivata ad un passo dal salire sul vagone, con il fiatone, con il cuore che oramai ti è arrivato in gola. Come quando la vita ti chiude le porte in faccia nonostante gli sforzi profusi e tu non puoi far niente per fare in modo che questo non accada, se non rimboccarti le maniche e sperare in tempi migliori, recitando in mente quel famoso detto che ti dice sempre tua madre "Ogni impedimento è giovamento". Lo fai per dovere verso te stessa, nonostante gli occhi lucidi e l'anima che si svuoterà in un sol colpo alla chiusura di quelle porte.
Detesto aspettare il treno successivo. Non sai mai quando arriverà e potresti rischiare di dormire addirittura in stazione.
Detesto i treni in partenza, anche quelli che arrivano. C'è un ricambio di gente che sale e scende da quei vagoni, persone che saranno come numeri, senza volti, senza un nome, che tu per la fretta non ricorderai, perchè tutti salgono e scendono dai vagoni velocemente, strusciando le loro spalle con le tue senza nemmeno guardarti in faccia e chiederti scusa. Come quando le persone decidono di entrare nella tua vita velocemente e con la stessa rapidità decidono di uscirci, come quando se ne vanno girandoti le spalle e dopo qualche tempo avrai difficoltà a ricordare persino il loro volto.
Le stazioni sono tristi.
Le stazioni vedono gente andare via e non tornare più indietro.
Le stazioni vedono gente salutarsi e proseguire su due diversi binari, paralleli, che non si incontreranno mai.
Le stazioni possono essere il peggior centro degli addii.
Ti piazzano il Mc Donald's, Spizzico, negozietti vari in cui poter acquistare souvenir del posto solo per distoglierti dai pensieri. Ti farai un giro tra i negozi nell'attesa, mangerai un panino ipercalorico, oblitererai il tuo biglietto e salirai su quel treno. Salirai su quel treno che ti porterà altrove. Ti condurrà a casa o in un altro posto. Non penserai che intanto stai dicendo addio ad un'altra parte di te.
Ci penserai solo quando avrai sistemato il bagaglio, quando ti sarai seduta cominciando a guardare fuori dal finestrino tutto quello che stai lasciando, che ti passa dinanzi agli occhi velocemente, senza aver tempo di soffermarti sui dettagli. Il treno in corsa te lo impedisce. Lì penserai che il giro per i negozi ed il panino ipercalorico che hai mangiato nell'attesa sono serviti a distrarti ma tu, in quella triste stazione, stavi dicendo addio a qualcosa. Ogni giorno c'è un treno che parte ed un altro che arriva. Ogni giorno è giusto per poter prendere un treno e dire addio a qualcosa, a qualcuno, ad un pezzo di noi. Gli addii sono dolorosi anche quando li vogliamo per il nostro bene, perchè archiviano una parte di noi oramai passata che non potrà più tornare. Alcuni dicono che l'importante sia prendere il treno giusto. Come si fa? Chi ci dice se un treno sia giusto? Nessuno. Dovremmo fidarci del nostro istinto. E più la strada sembrerà tortuosa, più il vociare di chi intanto ci critica sarà intenso, più significa che stiamo facendo la cosa giusta. Prendi quel treno. Te ne accorgerai solo così se sarà quello giusto o meno. Potrai sempre scendere dopo sole poche fermate. Ma se il tuo cuore, una volta sul treno, ti dirà di proseguire, arriva fino in fondo e vai anche oltre. Scendi solo quando si ferma al capolinea e se lo riterrai opportuno sali su un altro treno, e ancora un altro. Prendi tutti i treni che vuoi, tutti quelli che ti porteranno dove hai scelto di andare per creare un pezzo di te. Ricorda che ogni volta che salirai su quel treno stai dicendo addio ad una parte di te, ma allo stesso tempo ne stai creando un'altra. Magari più piccola, o forse ancora più grande. Ma alla fine di tutto, tra treni persi, treni presi in corsa col fiatone, attese lunghe ed estenuanti, persone che salgono e scendono incuranti di te o ostruendoti il passaggio, ti sarai creata. Ogni addio sarà un pezzo di te che se ne va, un altro pezzo che comporrai. Alla fine sarai tu.