mercoledì 19 dicembre 2012

Come lancette di un orologio.

La regola è la seguente.
Quando vorrai Marco, lui non ti cercherà, ma lo farà tempo dopo, quando tu avrai smesso di cercarlo e vorrai intanto Mattia, che a sua volta non ti cercherà, forse lo farà, ma quando avrai smesso di cercare anche lui. E' una regola imprescindibile che vale per entrambe i sessi, come quella del due più due che come risultato darà il quattro. Insomma, non si scappa, inutile illudersi.
Quando ho incamerato questa regola mi sono chiesta se fosse possibile spiegarne la ragione, se fosse insomma dimostrabile come un teorema di matematica, cercando di risolverlo dandomi dell'incostante, dell'eterna insoddisfatta, di una che non fa a tempo a desiderare qualcosa che quando lo ottiene lo guarderà come fosse già qualcosa di tremendamente vecchio, al punto da partorire nuovi desideri, aventi sempre tutti lo stesso immancabile destino. Ma poi ho appreso che questa spiegazione non poggiava su criteri di matrice universale, perchè in fondo se fosse così significherebbe che è un mondo di incostanti e di eterni insoddisfatti. Può anche darsi, ma col tempo ho raggiunto una tesi più adeguata, una che forse fa sentire tutti un po' meno colpevoli. Non si tratta di qualità personali bensì fisiologiche, un qualcosa che attiene a tutti, da cui non si scappa, che non si può frenare, un qualcosa di cui non si ha nemmeno la benché minima percezione: è una questione di tempi. Sì, una questione di tempi, ove ognuno ha i propri ed è complicato scovare due corpi che abbiano stessi tempi, due anime perfettamente sincronizzate. E' complicato comprendere se le lancette dell'altro sono più avanti, indietro o in linea con le nostre, ed è ancor più difficile mettersi a tempo con l'altro, spostare le nostre lancette per conformarle a quelle dell'altro o fare in modo che lo faccia anche l'altro per rendere il lavoro più semplice e collaborativo. Troppo spesso capita di appurare che le lancette dell'altro non siano perfettamente in linea con le nostre e, senza nemmeno capire se siano avanti o indietro rispetto le nostre, abbandoneremo il campo, nell'ostinata ricerca di qualcuno che nutra invece i nostri stessi tempi, ma anche quando lo incontreremo potrà capitare di non accorgersene ed abbandoneremo il campo lo stesso, perchè la verità è che oggi si parla troppo poco, si ascolta e ci si guarda ancor meno, non sappiamo più aspettare. E' forse questa la verità più orribile fra tutte. Avremo la presunzione di voler capire stando ore incollati con gli occhi su di uno schermo, uno schermo che vorrà fungere da occhi, ma che occhi non saranno. Alcuni si nasconderanno addirittura dietro il raccapricciante nonché puerile tentativo dell'addescamento da "social network", facendosi bastare un futile commento, un "mi piace" ad una fotografia, fiumi di chiacchiere prive di consistenza, non contemplando più la freschezza di parole pronunciate dal vivo, davanti una tazza di thea, un caffè, una sana risata. Allora le nostre lancette scorreranno così, fino a quando il nostro tempo sarà tristemente scaduto, attribuendo la colpa al fato, a quel tempo che inesorabilmente scorre, ma mai puntando il dito su di noi, noi che non sappiamo più ascoltare nè parlare, noi che non sappiamo più guardarci nè aspettare l'altro ma paradossalmente attendiamo che chi o ciò che desideriamo ci giunga come la manna dal cielo. Ma statene certi che non succederà. La vita non regala niente, talvolta è doveroso strappare alla vita ciò che desideriamo. Talvolta è doveroso fermare le lancette e aspettare l'altro se lo desideriamo ardentemente. Si dice che talvolta occorra "rischiare", ma credo non sia il termine più adatto. Si rischia gettandosi con il paracadute, da un ponte, da un automobile in corsa, ma non si rischia niente semplicemente esprimendosi. Il nostro non sarà di certo un tentativo di vincere il tempo, il tempo non si vince, ma potremmo cominciare una danza che ci vedrà pian piano a pieno ritmo, facendo apparire quel tempo meno inesorabile, meno distruttivo. Allora non vinceremo forse il tempo, ma avremo vinto qualcosa forse di molto più importante: la nostra dignità, il nostro essere pienamente così come si è dando voce ai nostri desideri, avremo vinto in fondo una vita. Non sto dicendo di aspettare Mattia nè Marco finchè le nostre ossa non si saranno consumate, ma sto dicendo che forse è opportuno parlare, ascoltare, muovere un passo, guardarsi negli occhi, capire e soltanto dopo agire di conseguenza, abbandonando il campo o restandoci, allineando le nostre lancette. Dobbiamo forse abbandonare l'idea del tutto e subito, del tutti fuori o tutti dentro, danzare col tempo, dobbiamo riprenderci quello si era, essere meno futili, semplici e banali perchè la vita, quella vera, in fondo non lo è mai. E l'obiettivo del gioco, per sfidare le rigide regole matematiche che ci vengono propinate, sarà in fondo proprio questo: vincere una vita sentendoci padroni del nostro tempo.

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