domenica 30 dicembre 2012

Dove tutti dicono grazie.

"Cosa ci fai a Londra?" domandai distrattamente attendendo la classica risposta vaga che invece stranamente quella volta non ebbi.
" Volevo intraprendere una nuova esperienza, diversa da un'altra passata, in una metropoli cementificata dove le persone non fanno che correre, dove avrei potuto condurre una vita smodata, avrei potuto guadagnare qualche soldo da stringere nel palmo di una mano annusandone di tanto in tanto il profumo, sin quando mi sono accorta che il mio essere così estrema in fondo mi ha sporcato al punto da avvertire ancora una volta l'esigenza di ripulirmi."
"Perchè parli in questo modo? Di che esperienza passata parli?"
"Africa. Kenya per l'esattezza. Prima di allora non credevo che un Paese come quello potesse insegnarmi quasi tutto quello che attualmente conosco sulla vita. Prima di allora non credevo esistesse un posto nel mondo che potesse rappresentare allo stesso tempo vita e morte, disperazione ed allegria, in un connubio impensabile eppure possibile. Me lo ha insegnato l'Africa, nelle sue mille contraddizioni che si annullano in un'unica sconcertante verità, l'essere umano nella sua essenza, nella sua primordialità. Giuro che un uomo così non l'avevo mai visto, perchè in Occidente, qui a Londra come al mio Paese, in questo mondo dove le mie gambe hanno ricondotto il mio corpo ma non la mia mente nè il mio cuore, io l'essere umano non l'avevo mai incontrato. Ho incrociato solo maschere che hanno stratificato l'anima, in nome di un'apparenza da salvare a tutti i costi, sino a farci dimenticare chi siamo, da dove veniamo, cosa cerchiamo. Ma l'Africa è anche un'arma a doppio taglio, almeno per me ha rappresentato questo. Il mio corpo balzava dal letto ogni mattina, da sola, credendo di potercela fare, ma quando calava la notte avrei voluto altre dieci, cento, mille di me stessa perchè non era mai abbastanza. Ci sono state nottate in cui non riuscivo a prender sonno per un senso di colpa che mi ero cucita addosso, che quasi avrei vomitato per la sua cospicua consistenza, credendo che il mio corpo sempre più magro non sarebbe riuscito a contenerlo. Non so se sai cosa significa scappare per un senso di colpa che non esiste, che ti rende impotente, ma che nonostante tutto senti che un po' in fondo ti appartiene. " 
Ebbi soltanto il coraggio di sussurrare " So forse cosa intendi, pur non avendo vissuto la tua stessa esperienza", poi completamente immersa nei fiumi delle sue parole lasciai che continuasse il suo racconto.
" Allora sono scappata. Sono prima tornata a casa poi non avendo un titolo di studio adeguato sono venuta qui in cerca di fortuna. Sono fuggita da un senso di colpa che solo adesso, col tempo, ho capito quanto fosse fittizio, solo ora capisco che forse non sono mai tornata, ma credo di essere rimasta lì, seduta in un angolo della baracca ad ascoltare storie, ad osservare volti che parlano di un mondo che non immaginavo, talvolta penso ancora di camminare lungo strade che di una strada non hanno nulla, eppure ti guidano, perchè è la terra che sembra muovere i tuoi passi come ad invitarti a scoprire, a sapere. Percorsi tratteggiati di immondizia e calpestati da scarpe rotte e tanti, troppi piedi nudi, mentre il sudore scivola sui corpi ed il dolore ti imbarazza per la sua cruda dignità, dove fa da cornice un cielo che sembra avvolgerti, così vicino da poterlo toccare, ove le stelle sembrano restare lì in attesa di essere afferrate, quasi come se la natura avesse scelto di guardare a questo mondo, a questa gente da una posizione ravvicinata, quasi a volerli abbracciare tutti nella loro miseria, nella loro precarietà. 
Dopo questa esperienza mi sono lanciata in quest'altra, totalmente opposta. Ho creduto mi piacesse, ma spesso quando sono seduta in autobus guardo fuori dal finestrino e mi accorgo che quel Paese ha cambiato i miei occhi, a tal punto da immaginare l'Africa con i suoi paesaggi incontaminati ovunque mi trovi, al punto da pensare che è proprio lì, in quel Paese bistrattato e disgraziato, in quel Paese dove trovi occhi riconoscenti del nulla, dove talvolta dovevo indossare vestiti sporchi e spiegazzati per l'ansia di far presto, di risolvere tante situazioni, dove il dolore è oramai routine, è proprio lì che ho toccato l'apice della felicità, perchè nel dare tutta me stessa all'altro riempivo gradatamente anche me stessa, non mi sono mai sentita così impotente ma mai così piena. Qui invece mi accorgo di aver sporcato il mio spirito per l'esigenza di dover sperimentare qualcosa che in fondo mi sono imposta semplicemente per dimenticare i ventri gonfi, i volti straziati, una sofferenza che portata così dignitosamente non avevo mai visto. Mi volevo sporcare e ci sono riuscita. Ma tra un po' penso di ripartire, perchè ogni volta che mi sporco sento poi l'esigenza di ripulirmi, e nella mia Africa non mi sono mai sentita sporca, nonostante i cattivi odori, nonostante il sudore che grondava dalla mia fronte, mai, nemmeno un istante. Volevo dimenticare ma oramai fa parte di me. Volevo rimuovere il dolore che ha la forma dei ventri gonfi di centinaia di bambini denutriti, un odore acre che ti inonda le narici non appena varchi l'uscio di una baracca e che si mescola a quello delle fogne e ti rimane addosso, dentro, a ricordarti ciò che hai visto, come un invito a non dimenticare, nonostante ti farebbe comodo. Il dolore può avere un peso, quello dei bambini che ho sollevato tra le braccia, che ho stretto al mio petto e dei quali cercavo di immaginare un futuro difficile da intravedere. Può avere un colore, quello rosso della terra che alla stregua di tante madri che ho conosciuto non ha cibo per nutrire i figli partoriti, nè più lacrime da versare per dissetarli. E poi a fare da contrappeso a tutto questo c'è una gioia che scoppia all'improvviso, per nulla. Un'allegria che contagia per la sua semplicità. L'Africa ti insegna il piacere per le piccole cose, minuscole, insignificanti, che sono in grado di strappare ad un adulto o ad un bambino il sorriso più radioso in cui tu ti sia mai imbattuto. Lì dicono tutti sempre "grazie", come spesso fai tu, ecco perchè credo che l'Africa entrerebbe dentro anche te. All'inizio quel grazie mi innervosiva. Pensavo tra me e me perchè mai dovessero ringraziare non avendo un bel niente, poi ho capito che lì, dicono grazie per la vita, per un cuore che batte seppure a fatica, per l'ossigeno contaminato dai cattivi odori che nonostante tutto alberga nei loro polmoni, perchè lì, non hanno niente ma pensano che quel niente sia tutto ciò che basti per ringraziare di essere ancora vivi. Un modo di fare che da noi si è perso, offuscati da uno sterile materialismo che ha poco a che vedere con la vita vera. Ecco perchè credo di tornare. Tornare a ripulirmi, alla vita vera, quella vita che dimentichiamo di possedere ma che esiste. Non pensavo di averne il coraggio prima di partire, ma questa esperienza ha cambiato la mia mente, i miei occhi, il mio cuore, me stessa. Pensavo di non essere pronta ed in effetti non lo ero, non si è mai pronti quando si è così giovani ad affrontare la vita nella sua cruda realtà, ma poi ti ci abitui, diventi più forte, e capirai di non riuscire più a farne a meno, capirai che il tuo viaggio sarà a tua insaputa di sola andata. "
Rimasi nel silenzio di quella stanza ad ascoltare il suo racconto non so per quanto tempo. Non riuscii a risponderle in modo appropriato tanta la passione che mi aveva trasmesso nel suo minuzioso e dettagliato racconto. Pensai soltanto che anche dietro un'apparenza frivola a tratti si nasconde una storia, perchè in fondo ognuno ne possiede una. Basta solo rendersi piccoli ogni tanto e stare in silenzio ad ascoltare stralci di vita che era quasi come se avessi vissuto anch'io in prima persona, quasi come se attraverso il suo racconto mi fossi "ripulita", come sempre diceva, anche io, mentre ad occhi aperti sognavo quel posto nel mondo in cui c'è vita nella morte e morte in una vita, in cui si sperimenta quell'equilibrio sinallagmatico, quel dare ed avere avendo solo se stessi a disposizione.

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