sabato 18 giugno 2016

L'ho chiamato semplicemente amore

Ogni volta che apro il frigorifero impiego circa una decina di minuti nel decidere se sia meglio consumare i cibi di prossima scadenza o quelli che invece desidererei maggiormente.
Lo faccio, tutte le volte, nonostante sappia benissimo sin dal principio quale sarà la mia scelta.
Perchè sceglieró sempre i primi a discapito dei secondi.

La considero una scelta obbligata ma intelligente. Non mi piace gettare via il cibo, mi dico. E con ogni probabilità, la volta successiva mangeró i secondi, che però al giro successivo saranno diventati come quelli per cui avevo optato la volta precedente. Quasi avariati.

L'altro giorno, mentre pensavo al mio modo di scegliere 'intelligentemente' cosa mettere nello stomaco, ho pensato che per una volta avrei potuto contravvenire alle regole.
Cosí, oltre a sentirmi meglio, mi sono saziata di più.
Una volta ogni tanto. Non capita quasi mai, ho pensato.
Ed è stato in quel momento che ho realizzato quanto riuscissi ad adottare questa modalità di scelta anche per tutto il resto, preferendo, quasi sempre, situazioni su cui attacco un adesivo con sù scritto 'da consumarsi preferibilmente entro il ...' a quelle che mi lasciano con il fiato sospeso ed il cuore in gola perchè si disperdono nell'universo come residui di esplosioni stellari che non riuscirai mai a toccare, ma a guardarne la scia da lontano, forse, molto tempo dopo, quando non esistono già più.
Preferendo, spesso, le vite degli altri. Pensando sia giusto cosí. Pensando che in fondo, possa trasformarsi anche nella propria.

Ma da quando ho gustato ció che preferivo nel momento esatto in cui non desideravo altro, disinteressandomi delle scadenze sovrapposte sulla confezione, ho capito che farò sempre cosí.
E non significa contravvenire alle regole.
Nè scegliere in modo poco intelligente.
Ma nutrire e cacciar fuori da ogni poro della propria pelle il rispetto per se stessi, per quello in cui si crede, per ció che in fondo si vuole.

Perchè non esistono regole che ti impongono quando scegliere qualcosa che ci sta a cuore, nè quale sia il modo più intelligente per dargli una forma.
E non esistono mali che ti perseguiteranno, se non il rancore di non averlo fatto.

Gli ho voluto dare un nome.
A questo modo di decidere e a quello che con questo poi si diventa.
A quello che si prova nel farlo.
Gli ho dato un nome banale.
L'ho chiamato semplicemente amore.
Qualsiasi sia la forma, la sostanza, il volto, il profumo ed il colore che gli si voglia attribuire.
Perché non ha scadenze contro le quali si possa combattere, né tempi, illusori, che possano farci credere che finisca, né regole da imporre se non quella che nessuna possa essere così forte rispetto il desiderio di gettarle all'aria.

Perché esistono infinite strade.
Ma sempre una che non riuscirai a non imboccare, anche quando sentirai di averla invece smarrita.

domenica 12 giugno 2016

Spalle sul mondo

Pensavo che il mondo si dividesse in due categorie: quelli che svestendosi di qualsiasi rimorso si sdraiano con la schiena nuda sulle possibilità del mondo, lasciandosele scorrere lungo tutto il corpo e dilatandosi, insieme a loro, ad ogni loro cenno di espansione. E quelli che inghiottono rimpianti, lasciando che questi annichiliscano l'anima rendendo sempre più freddo il pavimento ruvido su cui si sono imposti di rimanere.

Gli uni e gli altri.
Diversi nel loro approccio alla vita, ma simili nei loro desideri.

Ma è stato proprio quando ho constatato ambedue le dimensioni, quella che mi vedeva con la schiena nuda a fare a cazzotti col mondo purchè su di essa fosse dipinta anche solo una fetta dell'universo che immaginavo, e quella che invece mi vedeva ricurva ad accettare ogni cosa mi si presentasse, che ho invece scoperto l'esistenza di un'altra.
Una di quelle che si pone in bilico tra l'accettarsi e l'accettare.
Che rinuncia alle mezze misure per crearne di proprie, soltanto per sè.
Una di quelle che comprendere è una virtù, il perderle di vista un atto di vigliaccheria, verso se stessi.

La immagino come una spiaggia deserta.
O come un campo di girasoli su cui batte forte il sole.
Come quei luoghi in cui riconosci che non puoi prenderti tutto, ma solo quanto basta.
E se non ti basta non è che te lo fai bastare, ma ti approprierai di quello che ti spetta, lasciando il resto al caso.
Farai come chi, sdraiato con la schiena sul mondo, farà di quest'ultima una cartina, i cui contorni saranno disegnati da volti e da emozioni. Da circostanze e da bivi dinanzi i quali scegliere. Da strade da percorrere e da possibilità, colte o cedute.
Perchè alla fine non sarà importante quanto sia scritto lungo tutto il tuo corpo, ma con quanta passione tu abbia voluto dipingere tutto ciò che il tuo corpo racconta.
Ed è cosí che, ad un certo punto, saprai anche dire basta. Perchè ti sarai riempito di cosí tanta bellezza che non ci sarà più nulla da aggiungere, anche quando avresti immaginato contorni diversi da quelli raffigurati.

Riuscirai a fermarti, ma lo farai per te stesso.
E per quella voglia matta di non annichilirti lasciando che le tue guance restino schiacchiate su di un pavimento freddo.
Ma per incidere su di te altre storie.
Altre strade.
Altri paesaggi.
Altri volti.
Altre emozioni.
Per cercare altri corpi, forse, che sapranno sdraiarsi con te, dando le spalle a quel mondo in cui avevi sempre immaginato ci fossero soltanto due possibilità: espandersi con forza e passione o guardare dal basso.
Per poi scoprire o lasciarti insegnare che talvolta bisogna anche alzarsi ed andare.
Il bilico tra l'accettare e l'accettarsi consiste proprio in questo: avere occhi profondi da poter cogliere tutto, e spalle possenti abbastanza da poterti voltare e disegnare altre vie.

giovedì 2 giugno 2016

La vita é cosí: una serie infinita di calcoli in cui non esistono risultati perfetti


Molto spesso mi sono imposta delle scadenze al termine delle quali tiravo delle somme.
Questo lo facevo, e tuttora lo faccio, per capire se stia proseguendo nella direzione giusta, dove per giusto non pongo come condizione una serie di equazioni che diano tutte lo stesso risultato, ma numeri messi lì, anche a caso, che nel loro continuo addizionarsi e sottrarsi, moltiplicandosi per poi dividersi, diano un risultato modesto, che possa essere solo il primo di tanti altri.
Come mattone su mattone, un passo dopo l'altro.

Ci sono stati dei momenti in cui il sottrarre mi sembrava la strada più comoda da seguire.
Altri in cui quest'azione proseguiva in modo inarrestabile e non ero io a gestirla.
Momenti in cui invece ho aggiunto numeri aspettando si moltiplicassero con altri.
Momenti in cui questo è accaduto, altri in cui ho capito che l'attesa doveva essere colmata da altro prima che questo accadesse.
Momenti in cui pensavo di condividere, e invece poi ci hanno diviso.

Ma se oggi dovessi dare un nome a tutto questo, non ce ne sarebbe uno appropriato.

Nè momenti, né lezioni di vita.

Perché i momenti fanno pensare a qualcosa di temporaneo, a quegli scatoloni chiusi con il nastro adesivo perché sono fragilissimi e non vogliamo toccarli, né tanto meno aprirli. 
Quelle bolle di sapone in cui soffiamo pochi istanti dopo averle create per annusarne solo il profumo nell'aria, che man mano sfuma, che odora già di passato.
Ed invece questi si collocano in una dimensione senza tempo ed in scatoloni rigidi e tutti aperti, in cui non si annusa la puzza di stantio delle soffitte in cui si nascondono cianfrusaglie inutilizzate.
Sono come numeri che nel loro continuo addizionarsi e sottrarsi, moltiplicandosi per poi dividersi, non abbiano ancora portato ad un risultato esatto e definitivo, nonostante sembri tutto già accaduto.

Nè lezioni di vita, perché tutte le volte che pensavo di aver appreso la lezione, scoprivo che ci sarebbe stato ancora tanto altro da imparare o che, forse, non sarei mai riuscita ad imparare una sola pagina a menadito. 

Ma se c'è una cosa che ho imparato man mano che i momenti si susseguivano e che ricevevo pagelle al termine di ogni lezione, è che non si deve necessariamente dare un nome alle cose, perché non tutte le emozioni, gli attimi, le esperienze ed i bagagli che ci portiamo dietro ne hanno bisogno.

Perché esistono cose che possono avere un metro di paragone, di cui si possono descrivere i contorni, indicare le gradazioni di colori, per cui addirittura immaginare un suono o un profumo.
Ed altre che invece nascono così, prive di connotazione.
E non attendono che tu ne possa trovare una.
Si addizionano perché tu possa credere nella loro esistenza.
Si sottraggono perché tu non possa pensare di poterle possedere per sempre.
Si moltiplicano perché tu possa crederci.
Si dividono, come strade.

Perché la vita é cosí: una serie infinita di calcoli in cui non esistono risultati perfetti.
Una serie infinita di tappe in cui ciascuna sarà come un ponte per l'altra.
Quella in cui non ti sentirai forse mai arrivato abbastanza, fin quando non ti volti e contando i passi che ti separano da dove sei a dove hai cominciato, capisci l'unica cosa che conta: ne è valsa la pena.


Antonia Di Lorenzo - autrice del romanzo Quando torni? disponibile in versione cartacea ed ebook su Amazon, ITunes, Kobo, Scribd, Smashwords, Barnes&Noble e Lulu.