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martedì 12 maggio 2015

Una sequenza di numeri

Sveglia. Corri. Doccia. Vestiti. Infila la giacca mentre con l'altro braccio mantieni una tazza di caffè la cui metà scorrerà probabilmente nel lavandino perché è bollente e tu sei in ritardo. Raggiungi la stazione o in alternativa mettiti alla guida. Auto, motorino o bicicletta non ha importanza. Lavori. Pausa pranzo. Chiudi. Torna a casa. Fai una corsa. Ceni. Guardi la televisione o un film. Ti rifai la doccia. Rimetti la testa sul cuscino.

Ho tentato di immaginare un seguito a questa sequenza. Ma la verità è che, nella stragrande maggioranza dei casi, il continuo di questa storia sarà scritto ripercorrendo ogni singolo passaggio.

Ci penso, ogni tanto, a dove sia finita quella persona che non si sarebbe accontentata di stendere il suo telo su di una striscia di sabbia, che avrebbe voluto conoscerne tante prima di capire quale fosse la più appropriata. Che fosse stata stretta o immensa, rocciosa o di sabbia sottile, lontana o vicina. Ci sarebbe stato il mare comunque. Generoso di natura, perché infinito.

Esistono persone che ad un certo punto lasciano tutto e si orientano ascoltando il vento che soffia. Quelli che vanno e al loro ritorno non dovranno raccontare del lavoro e del loro stipendio, ma solo di ciò che hanno visto, servendo questo abbastanza per nutrirli. Di entusiasmo e di gioia di vivere.

E lo so che qualcuno ci ha pensato pur credendo fosse una scelta difficile. Seguiamo schemi prefissati che ci riducono ad essere un numero in una sequenza infinita ma sempre uguale, dove la ricerca di una casa, di un lavoro, di un salario più alto arriva ad essere l'obiettivo, ma mai quello finale. Una sorta di predestinazione a tutte quelle abitudini che ad un certo punto diremo di odiare, ma le seguiremo a menadito comunque, senza fiatare.

Perché qualcuno un giorno ha deciso che una vita normale necessitava della connivenza di questi fattori, ponendo scadenze con dati anagrafici alla mano.

Allora diventeremo tutti numeri, schiavi di una sequenza di azioni. Ci convinceremo sia l'unica soluzione possibile e impareremo a dire che va sempre tutto bene, perché  l'importante é essere felici.

Per esempio, amare rende felici. Ma si sa, l'amore ha tante forme ma nessuno schema.

Beato chi l'ha capito. Peccato per tutti gli altri cui non resta nient'altro se non l'immaginazione.

mercoledì 25 marzo 2015

Una corsa dietro l'angolo

E così, senza che l'avessi progettato, ho cambiato le mie abitudini.
Sveglia molto presto, corsa per prendere il treno impigliando le braccia tra i fili degli auricolari mentre tento di infilare nelle tasche del cappotto tutto ciò che considero sia prioritario, nonostante ci impieghi puntualmente quindici minuti per afferrare qualcosa, facendo cascare tutte le altre. Posto accanto al finestrino, per aspettare quell'edificio che spunta in lontananza e che mi dice che sono arrivata, sempre nel momento in cui avrei voluto continuare la lettura del mio libro.

Condivido lo stress di uno ufficio ed un caffè, che non è come quello che prepara mia madre, ma è buono lo stesso. L'aroma mi penetra nelle narici e mi sveglia dal mio consueto assopimento mattutino. 
Ho abbandonato l'insana abitudine di procrastinare alla notte tutto ciò che non potevo fare di giorno, come rassettare, fare lavatrici, anche dedicarmi a me stessa. Adesso lo faccio dopo il lavoro, quando il sole non è alto, ma ancora emana luce, calando pian piano, rendendo il cielo rosa  e i primi fiori che sbocciano ancora più evidenti agli occhi dei passanti.

Ho preso l'abitudine di correre almeno un'ora al giorno, senza cianfrusaglie nelle tasche del cappotto, fili di auricolari che si intrecciano e borse pesanti. Lontana dai clacson, dalla frenesia della gente che spinge per prendere posto in un vagone, da quella parte di me che credeva di essere pigra e che non aveva mai ammesso che in realtà il non prendersi cura di sé costruendosi l'alibi del non aver tempo è la più alta forma di egoismo verso se stessi. Quando il sole sta per tramontare, le madri rincasano, i bambini tornano da scuola. Accanto al fiume, che riflette il rosa del cielo, pur essendo ancora coperto da un manto di foglie ingiallite.

Ogni tanto mi fermo su di una panchina per prendere fiato, mentre gli uomini del quartiere passeggiano con i propri cani ed i ragazzini giocano a calcetto in un campetto poco distante, riuscendone ad udire gli stramazzi. 

Ed è proprio l'altro giorno che ponendo lo sguardo in alto, perdendomi tra il rosa, il rosso e l'arancione di un cielo incredibilmente terso, ho realizzato quanto in fondo mi sia costata tutta questa normalità, ma quanto, in fondo, tutta quella vita precedente mi sia stata cara al punto da non farmi mai perdere l'entusiasmo e la voglia di proseguire, non essendomi mai lasciata andare al pensiero del non-ce-la-farò-mai. 

Ed è quella vita, che a tratti mi sembrava così ostinata nel suo tentativo di imporsi nonostante cercassi di scacciarla, quella che oggi sembra quasi appartenere ad un'altra persona tanto mi sembri distante, quella fatta di volti di plastica, di occhi che ogni tanto vorrei incrociare anche solo per capire se ne sia valsa la pena, di parole catturate dal vento e rese concimi per gli uccelli, di gesti che hai compiuto solo tu e che rifaresti, milioni di volte, perché giusti ora come allora, quella vita, proprio quella, mi ha  insegnato che le abitudini si distruggono, tutte.

Lo farai tu da sola, o sarà il tempo a farlo al tuo posto. 
E non è sempre detto che le precedenti siano state migliori o peggiori, ti abbiano resa una persona più o meno felice di quelle che seguiranno. 
Saranno uguali, nel momento della loro creazione, perché combaceranno esattamente al momento di vita e a quell'inevitabile passaggio di crescita, o piuttosto, a quello che sei diventata grazie a quelle che c'erano prima.

Ma c'è un'abitudine che è sempre attuale e non vorrò perdere mai: il dedicarmi a me stessa, sotto qualsiasi forma. 

Che significhi correre sotto un cielo rosa, leggere un libro accanto ai finestrini appannati di un vecchio vagone, smettere di pensare a come sarebbe andata a finire perchè se non inizia è già finita e decidere una nuova partenza. La tua.

domenica 14 settembre 2014

Dietro l'angolo.

Impiego dieci minuti da casa mia al lavoro. Se cammino a passo svelto anche meno. 
Generalmente mi accendo una sigaretta che spengo sempre nella stessa stradina prima di svoltare l'angolo.
Sembra quasi una prassi consolidata: corro in strada, accendo una sigaretta, la fumo e la spengo esattamente lì. Se le avessi raccolte, una ad una, ciascuna racconterebbe di una giornata diversa. Quelle spente con la voglia di sentire il rumore del mare o il profumo del caffè bollente che ti sveglia di buon mattino, o quelle spente con il sorriso sulla labbra nonostante gli schizzi di pioggia che con un leggero tic toc bagnano le spalle. Quelle spente sperando di arrivare a casa presto ad abbracciare il tuo cuscino, oppure alzando gli occhi al cielo sentendomi una leonessa.

Da qualche giorno però la collezione di cicche di sigaretta in quell'angolo di strada sembra essersi arrestata.
L'altro giorno ho acceso una sigaretta esattamente come faccio sempre e solo quando ho preso le chiavi di casa mi sono resa conto di avercela ancora tra le dita e l'ho gettata via. E' successo quella sera, ed anche quella successiva, ed anche la seguente.

E' che ero stata trascinata così tanto da certi pensieri che avevo dimenticato le mie abitudini.Camminavo per inerzia e all'angolo non mi sono fermata, probabilmente non avrò nemmeno realizzato dove fossi e dove stessi andando.

Se raccogliessi tutte quelle cicche probabilmente non ci sarebbero quelle che raccontano invece di giornate in cui si è risucchiati in un vortice di pensieri senza fondo e di stati d'animo anomali. Quelle in cui fai esattamente il contrario di quello che pensi e dici esattamente il contrario di quello che invece faresti. Quelle in cui ti senti in un bilico creato soltanto da te perché forse l'altro nemmeno ci pensa. Quelle in cui cominci la tua battaglia giornaliera per sentirti diversa in luoghi dove invece basta essere uguale agli altri. Quelle in cui il silenzio ti consuma e dentro di te fa più rumore di un centinaio di stoviglie. Quelle in cui senti di dover cambiare qualcosa e aspetti il momento giusto per farlo ma non sai se sia già arrivato, forse mentre in quell'angolo nemmeno ci pensavi, sai da dove cominciare ma no se possa bastare. Quelle in cui vorresti un po' di pioggia che ti bagni la schiena per lasciare che tutto scivoli via.

Questa collezione la tengo per me, perché sono certa che nessuno la terrebbe con sé, sarebbe forse un inutile spreco di spazio.

E' che a volte dovremmo abbandonare certe abitudini per sentire il rumore dei pensieri che ci conducono esattamente dove vorremmo essere. Ma questa è un'altra storia.