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mercoledì 30 agosto 2017

Qualcosa che riscalda e al contempo rinfresca

L’altro giorno, mentre i miei piedi nudi toccavano l’erba fresca sottostante ed i raggi del sole mi accarezzavano la pelle, pensavo che è così che dovrebbe essere.
Tutto quello che appartiene già alla nostra vita.
Tutto ciò che abbiamo scelto ne faccia parte o che abbia scelto di inserirsi nella lista della nostra quotidianità senza passare alcun criterio selettivo, bensì seguendo un processo naturale.
Tutto quello che desideriamo ardentemente che possa entrare nel circuito delle cose di cui prenderci cura, per il semplice fatto che ci rinfreschi e che al contempo ci riscaldi.

È stato in quel momento, in quella contrapposizione di sensazioni, avvertendo la delicatezza dell’erba umida e la prepotenza di quel calore, così forte da farti sudare, che ho immaginato che così come nella vita si possa scegliere tra il bianco ed il nero, è possibile, nel passaggio tra i due estremi, fermarsi a metà strada per godere di entrambi, trovando una sfumatura che non lasci alcuna ambiguità né che sia eccessivamente sbiadita, ma condita dell’uno e dell’altro.

Forte quando è necessario, e debole quanto basta.
Impetuosa da far sentire la propria presenza, ma con la delicatezza che sia in grado di stemperare gli eventi per non percepirla ingombrante. 
Calda. Come una giornata di solleone in cui l’afa sembra toglierti il fiato.
Fresca. Come un venticello di fine estate.

Ed è così che intendo sentirmi d’ora in avanti. All’indomani di qualsiasi decisione importante che richieda una risposta secca, tra il bianco ed il nero, dentro o fuori, prendere o lasciare, tondo o quadrato, con o senza. Come una partita a scacchi al termine della quale ogni pedina ritorna al proprio posto, seguendo ciascuna il proprio ordine, per ricominciarne un’altra sapendo che alla fine ciascuna tornerà nel quadrante che gli spetta.

È così che vorrei sentirmi, per me stessa, ed anche in relazione ad altri.
Sono queste le persone che voglio.
Quelle che mi fanno sentire il calore di una giornata d’estate in cui la brezza ad un certo punto comincia ad accarezzarti in maniera inaspettata.
Quelle che scottano, ma che ti danno modo e spazio per mantenere i piedi nel terreno umido e percepire che il calore dell’altro non è un bisogno, ma un’aggiunta ad un valore preesistente, perché tu ci sei, esisti, non finisci, anche quando i raggi smetteranno di riscaldarti.
Quelle che senti perché lasciano su di te un segno, come il terreno bagnato che ti sporca le ginocchia quando tenti di rialzarti.

Quelle che se fossero profumo sarebbero orchidee.
Quelle che se fossero un rumore sarebbero mare.
Quelle che se fossero un colore sarebbero una tonalità di verde intenso, come risultato della combinazione del giallo e del blu.
Quelle che se fossero un momento da fotografare sarebbero un’alba, perché faranno pensare sempre ad un inizio, mentre i colori tenui del primo mattino si uniscono per divenire via via sempre più decisi. 
Quelle che se fossero un sentimento sarebbero amore, perché se lo porteranno dentro, lasciando che penetri senza alcun filtro in qualsiasi cosa che rifletta bellezza e, talvolta, trasformando, cose o persone o circostanze, per quel modo inusuale ma potente di trasmettere amore, in tutte le sue sfaccettature, in ogni sua forma che richiami alla memoria bellezza.

È come un bilancio. Una sorta di equilibrio. Precario, solo fin quando non si scopre la posizione che più ci rispecchi.
Al centro di un filo di spago legato a due angoli opposti a due metri dall’asfalto.
A metà strada, tra il bianco ed il nero, al solo scopo di non perdere niente e lasciare andare solo ciò che non conta.

Ciò che conta lo riconosceremo perché sarà ciò che ci farà star bene, aggiungendo valore senza mai intaccare il nostro.
Sarà qualcosa che avrà a che fare con l’intensità del nero, ma anche con la delicatezza del bianco.

Sarà qualcosa che riscalda e che al contempo rinfresca.

giovedì 7 agosto 2014

Vivere di sfumature.

Stamattina nell'aprire il frigorifero i miei due scompartimenti sembravano sovraccarichi di roba.
Eppure c'erano solo tre yogurts, una confezione di fragole, un'altra di pomodori, un barattolo di sugo pronto, una bottiglia di succo alla mela, dei toasts e del formaggio.
Il frigo sembrava pieno, come quando in un piccolo spazio tenti di farci entrare il necessario che supera l'effettiva capienza, allineando tutte le bottiglie, riponendo i barattoli negli angoli e le confezioni di yogurts le une sopra le altre.

E ho pensato in quel momento al modo in cui si vive in una piccola città piuttosto che in una grande metropoli, dove gli spazi limitano i desideri facendoli sembrare però eterni e mai spenti, in cui ogni minuto sembra durare più di sessanta secondi, in cui i piccoli spazi fanno da alibi per tenersi stretti, in cui sembra all'apparenza non entrarci niente, eppure vi si può inserire tutto.

Perché quello che ho imparato vivendo in una grande città come Londra è questo: che non è vero che spazi enormi rendono giganteschi anche i tuoi desideri, ma spesso si rimpiccioliscono per far spazio a quelli degli altri, o addirittura per crearne tanti altri della stessa portata; che un minuto dura un secondo o forse anche meno e che i grandi spazi forniscono alibi per allontanarsi nonostante le distanze siano facilmente raggiungibili, in cui sembra che tu possa metterci dentro tutto ciò di cui hai bisogno, e forse ci riesci, pur mancando sempre qualcosa che vorresti tener stretto, a tuo modo, scegliendone la forma più appropriata che non si rivelerà però mai quella giusta.

E' che in una grande città come questa devi imparare a fare a meno delle persone. Quelle che vanno e vengono come onde che toccano il bagnasciuga per poi ritirarsi. Quelle che come schizzi di pioggia ti accarezzano la pelle, lasciandoti sentire un profumo di aria fresca che durerà esattamente quel minuto che percepirai come fosse un secondo. Quelle che vorresti tener strette pur essendo una strada vietata. 
Quelle con cui ti andrebbe di condividere semplicemente un po' di umanità, che ha lo stesso profumo del caffè appena svegli, la risata dei bambini in una piccola piazza di paese in un pieno pomeriggio d'estate, la voce di chi ti dice che resta con te perché le distanze, di qualsiasi forma si tratti, sono solo una creazione della mente, semplicemente bugie.

E' la terra in cui non c'è tempo, in cui tutto nasce e muore velocemente, in cui i rapporti durano quanto la vita delle farfalle. 
E puoi decidere di sottostare a questo insano principio che mette il tuo essere umano alla gogna, di vivere di solo bianco o solo nero, di cose che se non sono grandi allora è bene che divengano niente, o vivere di sfumature, sotto un cielo che vedi sereno anche quando vi sono poche nuvole che intiepidiscono i raggi di sole, al cospetto di un tramonto in cui la vasta gamma di colori si addiziona tramutandolo in un rosa inconsueto. 

Sarà che ho imparato a riparare piuttosto che a gettare, a trattenere piuttosto che respingere, a desiderare anche quando sembra sia proibito. 

Sarà che la leggenda racconta di un cielo londinese sempre grigio, mai solo bianco, mai solo nero.