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domenica 10 luglio 2016

1,095 giorni e 26,280 ore, sempre insieme

Sono trascorsi quasi tre anni.
Poco più di 1,095 giorni. Pressappoco 26,280 ore.
Tanti giorni, troppe ore, minuti infiniti, attimi che non si contano.

Mi hai presa ragazza e mi hai fatto diventare una donna, forse.
Mi hai fatto indossare abiti che non mi si addicevano, ma che col tempo sono diventati parte della mia vita. Quella che man mano ho voluto costruire, insieme a te.
Mi hai fatto sentire piccola, inesperta, incosciente. Come tuffarsi nell’oceano e pretendere che qualcuno ti dia una mano per insegnarti a nuotare.
Mi hai fatto sentire parte di qualcosa, che metodicamente mi toglievi poco dopo.
Ma mi hai anche fatto capire che me lo toglievi perché non era destinato a me.
Ed io, insieme a te, col tempo l’ho capito: che dobbiamo imparare a lasciare, perché solo così impareremo a navigare ed approdare su altre sponde, sempre diverse. Solo così impareremo a trattenere ciò che conta, ciò che sembrerà scritto per noi e nessun altro, ciò che a noi sarà destinato. Solo così impareremo a non accontentarci.

Mi hai presa come fossi tanti pezzi di un puzzle da costruire.
Mi hai guidato, talvolta, per far sì che riuscissi ad incastrarne i pezzi.
Altre volte hai lasciato fare al mio istinto.
Perché anche se spesso non abbiamo mantenuto le promesse che ci siamo fatte, quando ne avevo bisogno tu eri sempre lì a dirmi che nonostante tutto ti fidavi di me.

Molte volte non ci siamo capite.
Ci siamo afferrate per i capelli e a turno esprimevano i nostri dubbi, cercando negli occhi dell’altra qualcosa che ci dicesse che nello stare insieme stessimo facendo la cosa giusta per entrambe.
Mi hai sempre fatto tante domande. Tu conoscevi sempre le risposte, io un po’ meno.
Ci siamo fatte del male. E ci siamo amate sino ad impazzire.

Ma se c’è una cosa che mi hai insegnato, nonostante dondolassimo a ritmi incostanti ciascuna nelle braccia dell’altra, è quella di cacciare sempre tutto fuori e a non pentirsene mai.
Essere come un mulino, le cui pale continuano a girare ad un ritmo incessante, mosse dalla forza del vento che a loro volta trasformano in energia vitale.
É a quest’aspirazione che mi hai insegnato a tendere. Ed è questo limite che mi hai insegnato ad abbattere.

A girare, ad un ritmo incessante, sino a trovare la strada il cui selciato stesse attendendo proprio le mie scarpe che vi lasciassero il segno, passo dopo passo.
A muoversi, oscillando tra la leggerezza del lasciarsi trasportare dal vento e la forza di decidere da che parte stare, senza mai lasciare agli altri questo privilegio.
A trasformare. Noi e tutto il resto attorno.
Creare qualcosa che appartenga soltanto a noi, in ogni suo microscopico dettaglio.
Dargli una forma che sia la nostra.

E se anche un giorno deciderai di poter fare a meno di me, Londra, non credo che riuscirei a crederti.
Perché tu ti sei presa cura di me, come un’insegnante severa, ma una madre attenta.
Ed io ho fatto altrettanto. Come uno scolaro svogliato, ma una figlia premurosa.
Non c’è qualcosa che tu abbia fatto che non l’abbia fatto a te anche io, con gli strumenti che possedevo e nella misura in cui riuscissi a farlo.

Questi 1,095 giorni raccontano di noi, insieme.
Del come ci siamo presi cura l’una dell’altra.
Del come ci siamo amate ed odiate allo stesso tempo.
Del come siamo cresciute e diventate qualcosa di migliore, perché insieme abbiamo compensato tutte le nostre mancanze.
Del come, alla fine, ci siamo prese perché l’abbiamo voluto sin dal principio.
E del come abbiamo imparato a restare, l’una per l’altra.
Non perché non ci fossero altre strade, ma perché tutte le volte che ci costruivamo vie di fuga, non facevamo altro che incontrarci a metà strada, stringerci forte e continuare il nostro percorso.
Sempre insieme.

sabato 18 giugno 2016

L'ho chiamato semplicemente amore

Ogni volta che apro il frigorifero impiego circa una decina di minuti nel decidere se sia meglio consumare i cibi di prossima scadenza o quelli che invece desidererei maggiormente.
Lo faccio, tutte le volte, nonostante sappia benissimo sin dal principio quale sarà la mia scelta.
Perchè sceglieró sempre i primi a discapito dei secondi.

La considero una scelta obbligata ma intelligente. Non mi piace gettare via il cibo, mi dico. E con ogni probabilità, la volta successiva mangeró i secondi, che però al giro successivo saranno diventati come quelli per cui avevo optato la volta precedente. Quasi avariati.

L'altro giorno, mentre pensavo al mio modo di scegliere 'intelligentemente' cosa mettere nello stomaco, ho pensato che per una volta avrei potuto contravvenire alle regole.
Cosí, oltre a sentirmi meglio, mi sono saziata di più.
Una volta ogni tanto. Non capita quasi mai, ho pensato.
Ed è stato in quel momento che ho realizzato quanto riuscissi ad adottare questa modalità di scelta anche per tutto il resto, preferendo, quasi sempre, situazioni su cui attacco un adesivo con sù scritto 'da consumarsi preferibilmente entro il ...' a quelle che mi lasciano con il fiato sospeso ed il cuore in gola perchè si disperdono nell'universo come residui di esplosioni stellari che non riuscirai mai a toccare, ma a guardarne la scia da lontano, forse, molto tempo dopo, quando non esistono già più.
Preferendo, spesso, le vite degli altri. Pensando sia giusto cosí. Pensando che in fondo, possa trasformarsi anche nella propria.

Ma da quando ho gustato ció che preferivo nel momento esatto in cui non desideravo altro, disinteressandomi delle scadenze sovrapposte sulla confezione, ho capito che farò sempre cosí.
E non significa contravvenire alle regole.
Nè scegliere in modo poco intelligente.
Ma nutrire e cacciar fuori da ogni poro della propria pelle il rispetto per se stessi, per quello in cui si crede, per ció che in fondo si vuole.

Perchè non esistono regole che ti impongono quando scegliere qualcosa che ci sta a cuore, nè quale sia il modo più intelligente per dargli una forma.
E non esistono mali che ti perseguiteranno, se non il rancore di non averlo fatto.

Gli ho voluto dare un nome.
A questo modo di decidere e a quello che con questo poi si diventa.
A quello che si prova nel farlo.
Gli ho dato un nome banale.
L'ho chiamato semplicemente amore.
Qualsiasi sia la forma, la sostanza, il volto, il profumo ed il colore che gli si voglia attribuire.
Perché non ha scadenze contro le quali si possa combattere, né tempi, illusori, che possano farci credere che finisca, né regole da imporre se non quella che nessuna possa essere così forte rispetto il desiderio di gettarle all'aria.

Perché esistono infinite strade.
Ma sempre una che non riuscirai a non imboccare, anche quando sentirai di averla invece smarrita.

giovedì 2 giugno 2016

La vita é cosí: una serie infinita di calcoli in cui non esistono risultati perfetti


Molto spesso mi sono imposta delle scadenze al termine delle quali tiravo delle somme.
Questo lo facevo, e tuttora lo faccio, per capire se stia proseguendo nella direzione giusta, dove per giusto non pongo come condizione una serie di equazioni che diano tutte lo stesso risultato, ma numeri messi lì, anche a caso, che nel loro continuo addizionarsi e sottrarsi, moltiplicandosi per poi dividersi, diano un risultato modesto, che possa essere solo il primo di tanti altri.
Come mattone su mattone, un passo dopo l'altro.

Ci sono stati dei momenti in cui il sottrarre mi sembrava la strada più comoda da seguire.
Altri in cui quest'azione proseguiva in modo inarrestabile e non ero io a gestirla.
Momenti in cui invece ho aggiunto numeri aspettando si moltiplicassero con altri.
Momenti in cui questo è accaduto, altri in cui ho capito che l'attesa doveva essere colmata da altro prima che questo accadesse.
Momenti in cui pensavo di condividere, e invece poi ci hanno diviso.

Ma se oggi dovessi dare un nome a tutto questo, non ce ne sarebbe uno appropriato.

Nè momenti, né lezioni di vita.

Perché i momenti fanno pensare a qualcosa di temporaneo, a quegli scatoloni chiusi con il nastro adesivo perché sono fragilissimi e non vogliamo toccarli, né tanto meno aprirli. 
Quelle bolle di sapone in cui soffiamo pochi istanti dopo averle create per annusarne solo il profumo nell'aria, che man mano sfuma, che odora già di passato.
Ed invece questi si collocano in una dimensione senza tempo ed in scatoloni rigidi e tutti aperti, in cui non si annusa la puzza di stantio delle soffitte in cui si nascondono cianfrusaglie inutilizzate.
Sono come numeri che nel loro continuo addizionarsi e sottrarsi, moltiplicandosi per poi dividersi, non abbiano ancora portato ad un risultato esatto e definitivo, nonostante sembri tutto già accaduto.

Nè lezioni di vita, perché tutte le volte che pensavo di aver appreso la lezione, scoprivo che ci sarebbe stato ancora tanto altro da imparare o che, forse, non sarei mai riuscita ad imparare una sola pagina a menadito. 

Ma se c'è una cosa che ho imparato man mano che i momenti si susseguivano e che ricevevo pagelle al termine di ogni lezione, è che non si deve necessariamente dare un nome alle cose, perché non tutte le emozioni, gli attimi, le esperienze ed i bagagli che ci portiamo dietro ne hanno bisogno.

Perché esistono cose che possono avere un metro di paragone, di cui si possono descrivere i contorni, indicare le gradazioni di colori, per cui addirittura immaginare un suono o un profumo.
Ed altre che invece nascono così, prive di connotazione.
E non attendono che tu ne possa trovare una.
Si addizionano perché tu possa credere nella loro esistenza.
Si sottraggono perché tu non possa pensare di poterle possedere per sempre.
Si moltiplicano perché tu possa crederci.
Si dividono, come strade.

Perché la vita é cosí: una serie infinita di calcoli in cui non esistono risultati perfetti.
Una serie infinita di tappe in cui ciascuna sarà come un ponte per l'altra.
Quella in cui non ti sentirai forse mai arrivato abbastanza, fin quando non ti volti e contando i passi che ti separano da dove sei a dove hai cominciato, capisci l'unica cosa che conta: ne è valsa la pena.


Antonia Di Lorenzo - autrice del romanzo Quando torni? disponibile in versione cartacea ed ebook su Amazon, ITunes, Kobo, Scribd, Smashwords, Barnes&Noble e Lulu.