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domenica 24 febbraio 2019

Arriverà la primavera


Penso spesso alle persone come fossero treni, mentre a quei pezzi di vita che su di loro prendono forma come fossero stazioni.
Come quelle in un piccolo paese di provincia, in cui ti tocca sostare su di una panchina, spesso più del dovuto. 
Come quelle in cui attenderai invano, prima di capire che il transito è stato sospeso, a data da destinarsi.
O come quelle di grandi metropoli, in cui i treni sono sempre puntuali ma sarai tu ad essere spesso in ritardo, così da dover correre sino a sudare la fronte mentre sgomiti i passanti.

Non sempre riesci a salire, perché il treno potrebbe non fermarsi in tempo, o perché, talvolta, avrai scelto tu di non farlo.
A volte avrai un posto a sedere riservato accanto al finestrino.
Altre, sarai in piedi tra la folla che si lamenta della carenza dei servizi.
Altre, invece, potrai accomodarti per caso, senza aver pianificato nulla in anticipo, rimanendo sorpreso da come, quasi sempre, la mancanza di piani è garanzia di un servizio migliore di quello che avevi previsto.

Pagherai sempre un prezzo per salire su uno di quei vagoni, che ti sembrerà tanto più alto quanto ad esserlo saranno le tue aspettative, le tue possibilità, i tuoi sogni.
Pagherai un pezzo del tuo tempo, delle tue energie, una porzione della vita che avevi vissuto sino a quel momento, di te stesso.

E arriverà il freddo invernale, che poi cederà il passo al vento primaverile, poi all’afa estiva, sino alle foglie ingiallite dell’autunno, per poi arrivare di nuovo l’inverno.
Così, proprio come passano le stagioni, passeranno nuovi treni, in diverse stazioni.
Passeranno le persone, proprio come passerai anche tu.

Pensavo di essermici quasi abituata.
Ai treni che passano, una volta soltanto.
Alle attese, vane o più lunghe del previsto.
Alle corse per salire in tempo.
A restare in piedi tra la folla o seduta ad un posto riservato accanto al finestrino.
Alle porte che ti si chiudono in faccia.

A salire su di un treno qualsiasi fermandomi in ogni stazione, prima di decidere quale fosse quella giusta dove sostare, segnandola come meta finale del viaggio che avevo scelto di fare.
A capire che le mete prefissate non saranno sempre quelle definitive, e nemmeno sempre quelle giuste, così da importi di rimettere lo zaino in spalla e salire su un nuovo treno che avrà una diversa destinazione.
Pensavo di essermi abituata, a saltare di stazione in stazione, guardando a ciò che sarà e non a ciò che è stato, anche ai saluti, lunghi, intensi, frenetici e di rito.
Alle persone che passano, e a me, che passo insieme a loro.

Ho capito che a tutto questo non ci si abitua mai abbastanza e che sarà questo il prezzo più alto da pagare, seppure il più bello, perché in fondo ci rispecchia.

Il nostro sarà sempre un biglietto di sola andata per un viaggio in cui sarà quasi irrilevante la comodità e quanto gli altri avranno da offrire, perché conta quello che ti porti dentro.
È un itinerario che stabiliremo noi, stazione dopo stazione, senza fretta di arrivare, ma godendo di ogni tappa come se fossero pezzi di un puzzle che in principio sembreranno non avere alcun punto di incontro, per poi congiungersi perfettamente, soltanto alla fine.

Credo ci si possa abituare solo quando guardi tutto dal finestrino, senza mai fermarti o porti domande, quando guardi ad un treno come un mezzo ed ad una stazione come un fine.
Ed invece, anche quando avevo giurato di smettere, ho capito che non smetterò mai, lo trovo più autentico.

Così mi camufferò sempre da esploratrice inesperta, guardando ogni treno come fosse un posto da scoprire ed il cancello di ogni stazione come fosse la porta di casa, o semplicemente di un luogo sicuro dove temporaneamente sostare.
Sbaglierò ma imparerò e forse, alla fine, sarò anche in grado di insegnare qualcosa.
Sentirò il rumore dei passanti ed il cigolio dei binari.
La brezza di un vento sottile che attraverso un finestrino aperto a metà ti scompiglia i capelli.
Avrò sempre la sensazione di aver gettato un pezzo di vita, ogni volta, prima di comprendere di averne guadagnato il doppio, con un cuore che man mano diventerà sempre più grande perché ci porterai dentro ogni luogo in cui avrai sostato ed ogni schienale su cui ti sarai poggiata.

Il nostro privilegio sarà quello di iniziare un diario, diverso per ogni destinazione.
Perché in fondo la vita è come un quaderno dalle pagine bianche che inizia con l’incontro tra l’inchiostro e la carta. Forse non ci si sente mai pronti abbastanza, ma il lusso che possiamo concederci è quello di cominciare da zero, seguendo le righe che la nostra immaginazione avrà disegnato per noi, strappando quelle che non ci piacciono e ripartendo da capo: da una pagina bianca.

Il bianco sembra uno spazio da riempire, privo del necessario, come una stanza vuota senza mobili. Invece, alla fine, è il punto in cui convergono tutti i colori. È l’essenziale di cui abbiamo bisogno. È il punto di partenza che ci fa sentire nostalgici, ma pieni e vivi.

E alla fine arriverà di nuovo la primavera.
Avrà il colore dei tuoi occhi.
Il profumo della tua pelle.
La bellezza di un tramonto in riva al mare.
La semplicità di un arcobaleno.

domenica 29 luglio 2018

Come nelle migliori famiglie

Una pioggia sottile che non bagna l’asfalto si poggia sui vetri della finestra, come in una tipica giornata autunnale. Il ragù è sul fuoco ed il suo profumo é già nell’aria, in attesa del tipico pranzo domenicale. Quasi non me ricordavo più, eppure quel giorno da segnare in calendario è arrivato, anche quest’anno, puntuale come ogni anno.

Cinque anni fa ad accogliermi in terra d’Albione c’era un tiepido sole che ad intermittenza si nascondeva tra le nuvole.
A ricordarmi che nonostante fossimo nel bel mezzo della stagione estiva, quella non avrebbe assunto la parvenza di una località balneare.
Avevo uno zaino sulle spalle e due valigie che trascinavo a fatica, come se il mio percorso avesse già una destinazione, che invece non avevo nemmeno ancora disegnato.

Non sapevo se quella casa dai mattoncini rossi e dal tetto spiovente potesse diventare presto la mia casa. Ma ho impiegato poco a scoprire che nessuna di quelle in cui ho cercato di adattarmi lo sarebbe diventata, almeno non nel modo in cui ho imparato a concepirla, nutrendomi di dettagli da assemblare per costruire i primi mattoni, che avrei posto con cura uno sopra l’altro, concedendomi il lusso di rischiare, quando li gettavo via per ricominciare tutto da capo.

Così, quando ho scoperto che una casa, quella vera, sarebbe stata un posto da portare con me, per farvi ritorno ogni volta ne avessi sentito il bisogno, senza pareti, una cucina in comune e coinquilini con cui condividere la carta igienica, ho appurato che dovesse essere leggera, morbida, riempita solo dell’essenziale.

In questo, però, sono stata spesso una studentessa disattenta, poco scrupolosa, abbracciando ritmi caotici ed insensati che intanto mi conducevano ad un punto di non ritorno.
Ma tu, cara Londra, ti sei imposta come mia insegnante. 
Severa, esigente, pretestuosa.
Quasi mai benevola, ma alla lunga giusta nel tuo giudizio, prima che girassi l’angolo per trovarmi di fronte nuove sfide.
Mi hai presa per mano, sempre.
Quando ero per terra e di mani tese per tirarmi sù non ce ne erano.
Quando avrei potuto cercarne altre, ma ho scelto la tua.
Quando mi hai insegnato a camminare da sola, poco per volta.
Quando mi hai fatto comprendere che per farlo avrei dovuto inciampare più volte, senza per questo farmene una colpa.
Quando mi hai presa per mano e mi hai lasciato danzare.
Quando la musica era finita, ma tu mi dicevi che dovevo continuare.
Quando le tue mani mi hanno lasciato fluttuare nell’aria, come una piuma che poi si poggia sull’asfalto.
Quando mi hai insegnato che le prime volte mi avrebbe fatto tanto male, ma poi sarei guarita.
Quando mi hai fatto capire che, a poco poco, mi sarei abituata e l’impatto con l’asfalto per poi ricominciare sarebbe stato meno doloroso ogni volta.
Quando, tenendoci per mano, ci siamo odiate, ma amate, allo stesso tempo.
Come chiunque abbia imparato a scegliersi, come la prima volta, nonostante tutto.

Così, dopo il mio primo lustro, come fossimo giunti al termine di un lungo ciclo scolastico, ricordo quel timore reverenziale di chi, come me, era tra i banchi in un’aula gremita: ad ascoltare ed ad attendere il proprio turno.

Ed é in tutto questo tempo che ho imparato a lasciar perdere i giudizi approssimativi.
Ad ignorare chi prendeva parola solo per il gusto di interrompermi.
A guardare alla vita come un elastico, in attesa che tutto tornasse indietro, con pazienza.
Ad assumere il rischio di amare, ma anche la responsabilità nel non farlo.
Non ho ancora imparato ad offrire tutto il mio cuore soltanto ai più meritevoli, perché forse ho capito che non ce ne saranno mai abbastanza: alla fine conterà con quanto amore ti getti in questa vita e sarà allora che il tuo cuore, quanto più sarà pieno, tanto più ti farà sentire leggero.

Ho imparato a cucinare per un’intera famiglia, perché il senso della misura non fa per me.
A nascondere la carta igienica in segno di guerra, e a lasciarla in bagno in segno di resa.
Ad indossare i sandali anche con la pioggia, perché l’estate é uno stato d’animo, anche in Inghilterra.
Ad appurare che spesso le diversità ci accomunano, solo se si è disposti a cavalcarle con grazia, e che invece talvolta quelle che appaiono similitudini possono allontanarci, come una naturale conseguenza quando scegliamo da che parte stare.
E a non mettermi mai in cattedra quando voglio imparare, lasciandolo fare solo a chi ha una storia da raccontare.

Allora, allo scadere del mio quinto anno, non mi sento più quella ragazzina che per paura si camuffa tra la folla rosicchiandosi le unghie. 
Ho estinto ogni mio debito così come ogni mio credito, guardando a quanto perso, recuperato, costruito.

Abbiamo vinto, anche quest’anno, soprattutto quest’anno.
Lo abbiamo fatto insieme, quando tutto sembrava perso, soprattutto quando tutto sembrava perso.
Lo abbiamo fatto senza perderci in formalità, l’una tra le braccia dell’altra.
Ci siamo coccolate, così come respinte, per poi tornare a stringerci le mani.


Lo abbiamo fatto anche quest’anno, io e te, come nelle migliori famiglie.

domenica 7 maggio 2017

Per rinascere, ancora

A volte penso alla risposta da dare se qualcuno mi chiedesse a quanti anni sia iniziata la mia vita.
Non un numero che ci leghi ad una sfera anagrafica, piuttosto a quella emotiva.
Perché si può nascere a venti, a trenta o cinquanta. 
Lo si può fare tante volte.
O per qualcuno non capita mai.

Io credo di essere nata a 19 anni.
Una sera di gennaio dopo aver fatto la doccia, mentre pettinavo i capelli, allo squillo di un telefono. Dovevano essere circa le sei del pomeriggio.
È allora che sono nata.
Mentre lui se ne andava.
Come se ad una morte, inaspettata, avessi voluto far combaciare una vita, la mia.

Quando ho staccato il cordone ombelicale non credevo sarebbe stato così difficile. 
Non in quel momento, ma tutto quello che ci sarebbe stato dopo.
Cercare di stravolgere tutto quello che era stato e creare una nuova dimensione da stigmatizzare come fosse un credo cui poter apporre un'etichetta che tante volte ha cambiato nome, ma che in fondo avesse sempre il medesimo significato: sono questa. Adesso per allora, e non posso cambiarne i connotati.
Difficile immaginare il mondo che avrei voluto creare, dentro e fuori di me, negli occhi di qualcun altro.

Da allora sono nata tante altre volte.
Quasi come se non riuscissi a farne a meno. Ma ho pensato sempre, tutte le volte, a quel momento per ricordare quello che ho promesso di fare e dare un senso.
E che ci sarà sempre modo di migliorare, ma che indietro non posso tornare.

Come se avessi imparato, col tempo, a vivere non solo per una persona sola, ma per tante, troppe, tutte dentro di me. A dar voce ad ognuna di queste e ad accondiscere a ciascuno dei loro bisogni.

Allora, per esempio, ho imparato a non voltarmi dall'altra parte, anche quando l'amor proprio lo imporrebbe come condicio sine qua non per non farsi troppo male. A non abbandonarmi alle cose sterili, e nel voler ostinatamente trovare qualcosa di intimamente profondo anche quando un giorno ti svegli e scopri di averlo immaginato, ma che in fondo non é mai esistito. A fare tanti errori, uno dietro l'altro, da cui imparare che l'umanità é imperfetta e la sfida sta nel saper perdonare. Ad essere anima, prima che corpo. A mettere il cuore al centro di tutto e a dare cento anche quando avresti a mala pena dovuto concedere venti. A capire che non si vive a puntate e a scadenze, ma tutti i giorni, in ogni tempo, perché é questo che ci é dato. Domani chi lo dice che non possa essere tardi.

Ho imparato a dare valore alle cose, ma non ancora a riconoscere quelle cui attribuire il valore che gli spetta. 
A trovare forme d'amore in ogni cosa.
A cercare di capire.

Una volta qualcuno mi ha chiesto perché tentassi di capire anche ciò che non é dato comprendere e che poi forse non avrei potuto capire comunque. Ho risposto che non lo sapevo ma che ero fatta così. 

Credo che abbia a che fare con il fatto che sia nata per la prima volta a 19 anni, e che ancora con l'ingenuità che caratterizza i bambini io ci provi comunque, nonostante tutto, come se avessi appena nove anni.

Ma come un credo che ci si sviluppa dentro, non si può pretendere da se stessi di spiegarlo, né che qualcuno lo comprenda. Dovrà possedere la sensibilità di leggercelo negli occhi, e ci dovrà accompagnare tenendoci per mano.

Ogni volta mi sorprendo ma poi lo ricordo.
Nove anni fa ho siglato un patto col sangue. 
Mai più personcina, ma persona.
Mai più solo testa, ma anche cuore.
Mai più silenzio, ma tante parole se possono aiutare.
Mai più ignorare telefoni che squillano, ma alzare, forse, la cornetta per primi.
Mai più giudicare, ma parlare per capire.
Mai più bugie, ma solo verità.
Mai più abbandonarsi a ciò che appare, ma scoprire ciò che é. 

Non so se ci sono riuscita, anzi sono certa ci sia ancora tanto da imparare.

E vorrei un mondo circostante così.
Dove si entra pagando il biglietto perché tutto ha un prezzo.
In cui si resta solo se non se ne può fare a meno.
Un mondo in cui si impara a costruire, con pazienza, cose belle. 
Ma a demolire, in egual misura, ciò che non lo é. Tutta la finzione che trasciniamo e che é destinata a restare tale: un pugno allo stomaco dato per svegliarci.


Per rinascere, ancora una volta.

martedì 6 dicembre 2016

Quella porzione di mondo

Qualcuno una volta mi ha detto che il mondo è come ce lo si mette in testa.
Ed io pensavo ad una prateria di cui non si scorge il confine, al punto da poter correre senza mai sentire la fatica.
Ad un prato fiorito, così da poter ammirare gli alberi in fiore e cogliere quelli che più catturino la nostra attenzione. I più belli, i più profumati. A piene mani.
Pensavo a qualcosa che non si riducesse ad uno sterile binomio.
Bianco o nero.
Tondo o quadrato.
Dentro o fuori.
Pensavo ad un mondo in cui ogni sfumatura potesse giocare il proprio ruolo.
In cui ciascuna intrecciandosi con altre potesse contribuire a farci girare, tra l'una e l'altra.
Pensavo ad un mondo colorato.
Ad un mondo appassionato.
Ad un mondo cui guardare come si guarda un cielo stellato in attesa di una stella cometa.
Ad uno in cui si è in grado di creare.
Anche le forme d'amore più disparate.
Per tenerle per sé, come per insegnarle ad altri cui avremmo deciso di donare il nostro pezzo di mondo.

Ma qualcuno una volta mi ha anche detto che non puoi salvare chi non vuole essere salvato.
Così ho capito che per una qualche strana ragione, sebbene il mondo è forse come ce lo si mette in testa, non è detto che tutti tendano verso le medesime scelte.
Non tutti vorranno correre su di una distesa prateria.
Non tutti avranno gli occhi per ammirare alberi in fiore.
Non tutti avranno l'accortezza nello sciogliere fiori, i più belli, i più profumati, e di coglierli a piene mani per annusarne il profumo.
Non tutti cederanno all'intreccio delle sfumature.
Nè guarderanno i colori come fosse l'attesa di una stella cometa.
Non tutti vorranno imparare.
A creare forme d'amore, come a riceverle.
Non tutti saranno coscienti dell'esistenza di queste porzioni di mondo, in cui non esisteranno metodi, schemi o regole che seguiranno una logica di merito.

Esisteranno loro che avranno avuto la fortuna di incontrare qualcuno disposto a concederglielo.
E noi, con il privilegio di custodirlo. 

Ma nonostante tutto, saremo noi i più forti.
Anche quando ne usciremo a brandelli.
Anche quando ci sentiremo fragili come schegge di vetro.
Anche allora, saremo quelli forti con la sola pretesa di insegnare loro le sfaccettature di un mondo inesplorato pur non volendo nulla in cambio, ma per quella bizzarra attitudine atta a voler proiettare all'esterno tutta la bellezza di quel mondo, a cercarla o crearla anche in chi ci circonda. Perché in fondo a se stessi ci si basta.

E così avremo imparato che la vita, in fondo, è una scommessa. 
Si può vincere quando credevamo non vi fossero possibilità.
Si può perdere, anche quando credevamo di avere la mano giusta.
Ma solo se si gioca.
Che ci saranno seconde possibilità, forse.
Ma solo se si ha il fiuto di coglierle.
Chi non lo fa, perde sempre, tutto.

Così avremo capito che quell'adrenalina non è per tutti. Solo per i coraggiosi, per quelli che un giorno sperano di uscirne vincenti.

E sarà naturale scegliere chi far entrare e chi escludere da quella porzione di mondo che qualcuno, forse dall'alto, ci ha offerto come un dono prezioso che si avrà sempre il privilegio di custodire.

Insieme a lui, non si perde mai.

domenica 28 agosto 2016

Sentire


Ci ho impiegato ventisette anni per capirlo.
Che non possiamo costruire ali di cartone a qualcosa che per sua natura non era destinato a decollare.
Che la paura d’innamorarsi è giá una forma d’amore, silenzioso.
Che non esistono momenti perfetti, ma ogni attimo può permetterci di raggiungere quella perfezione che, nonostante le sue sbavature, possa appartenerci.
Che la vita é troppo breve per non maturare il coraggio di tuffarvisi dentro, sino forse a rischiare di annegare. Ma avremo vissuto soltanto quando avremo imparato a lasciare le cose a noi non destinate. Ed anche a restare. Quando qualcosa ci fa sentire che potrebbe essere una cosa bella. Quando la sentiamo. Solo in quel caso.
Che la complicità é anch’essa una forma d’amore, eppure la più sottovalutata.
È un brivido. Un pugno allo stomaco. Succede e basta. Nessuno può evitarlo.
Non te lo puoi far venire nel tempo. Non puoi fartelo dare di proposito. E nemmeno affaticarti per porne le basi.
Che se avesse un suono sarebbe una risata fragorosa, di quelle che ricordi perchè intanto ti ci guardi negli occhi e capisci, prima di ogni cosa, che tu esisti, sei vivo, ci sei.
Ma che potrebbe averne anche un altro, che sentiremo a fatica o che avremo paura di sentire. Tipo tac. Sí proprio quello. Tac.
Che non si può evitare qualcosa che in noi si sia già insinuato.
Che quando un giorno, per caso, avrai imparato a scegliere, attorno a te tutti ti sembreranno immobili. Incapaci. Inutili. E tu non vorrai nè potrai impartire lezioni su come si faccia, perché lo saprai già: che non si può salvare chi non vuole essere salvato.
Cosí, a fatica, ti sforzerai di imparare un’altra cosa: cancellare, tutto quanto, nonostante dentro di te i giardini appaiano già in fiore.

Ma se c’è una cosa che mi sono sempre chiesta non riuscendo a venirne mai a capo è se tutti abbiano la stessa capacità di sentire.
Perchè ho sempre fatto lo stesso errore, io.
Pensare che tutti fossero in grado di sentire nello stesso modo.
Pensarlo, forse, anche soltanto perchè lo stessi facendo io.
Ma forse ho scoperto che anche quando te lo fanno credere, in realtà non lo stiano facendo.
Pensano di farlo, non ammettendo a se stessi che quello non è sentire, ma il bisogno di farsi accettare, per quello che non si è.

Cosí come quando penso alle forme infinite di comunicazione e quella che ognuno di noi pensa di scegliere, quando forse è invece lei a scegliere noi, quando hai bisogno di esprimere quello che senti.

Ed è forse per questo che abbia scelto di scrivere.
O forse è stata lei a scegliere me.
Come tutte le cose che devono appartenerci di diritto e farà di tutto per imporsi nella nostra vita, anche quando tenteremo di scacciarle via.
Come tutte le cose che potrebbero apparire pericolose, solo per la loro tendenza a distruggere piani precostituiti, rompere reti, aprire cancelli che avevamo chiuso con la doppia mandata.
Poi un giorno, per caso, capisci il motivo perchè tu e lei vi siate scelte.
Perchè gli ho sempre dato troppo valore.
A quelle parole che non riesco mai a dire.
A quelle che nascondo dietro altre.
Perchè forse mi sono sempre fatta bastare quello che sentivo.
Pensando lo potessimo fare tutti nello stesso modo.
Perchè ho sempre attribuito un significato ad ogni dettaglio.
Pensando che lo vedessero anche gli altri.
Lasciandomele bruciare dentro.

Poi ho immaginato che se ci si tiene sempre tutto dentro è come se non avessi niente.
E non per il bisogno di dimostrare ad altri quello che si è.
Ma perchè, forse, potrebbe farci sentire meglio.

Ed io voglio imparare un’altra cosa.
A non avere paura della felicità.
A non temere quando sento troppo.

Perchè comunque andrà a finire, me lo ricorderò per sempre: sono viva.

E se altri non riescono a sentirlo, devo ricordarmi anche questo: se lo sono è perchè ho scelto di esserlo. Fino in fondo.

domenica 14 agosto 2016

Come un pugno allo stomaco

Tutte le volte qualcuno mi ricorda quanto sia forte.
Ed io tutte le volte rido.
Perchè vorrei raccontargli una storia diversa. Ma forse come è vero che non puoi salvare chi non vuole essere salvato, è vero anche che non puoi regalare occhi diversi a chi ha deciso di essere cieco.
Cosí penso, tra me e me, che l'essere forte è un impegno che prevede, tra le tante, un' imprescindibile condizione: consapevolezza.

Delle proprie priorità.
Di quello che si è.
Di quello a cui non si é disposti a rinunciare perchè ci rende felici, o semplicemente migliori.
Di quello che desideriamo dalla nostra vita.
Di chi ci vogliamo circondare.
La consapevolezza che le cose belle ad un certo punto scompariranno ed allora converrà munirci di occhi belli, prima che sia tardi.
Solo se si vuole una vita bella però.

Cosí quando mi dicono che sono forte vorrei raccontargli di quando non lo ero.
Di quando ogni mattina mi alzo e sorseggiando il mio caffè bollente mi accorgo di non esserlo poi abbastanza.
Ma essere forte implica forse anche questo.
È come un viaggio con noi stessi in cui sperimenteremo l'intera tavolozza di colori in cui ci tufferemo con la stessa intensità.
Ce ne sporcheremo le mani, il viso, l'intero corpo, senza timore di mostrarci in pubblico.
Le persone forti lo sanno: che le emozioni, di qualsiasi natura siano, si esprimono attraverso il linguaggio del corpo ed è necessario buttarle fuori, cosí gli si attribuirà dignità.

Allora vorrei raccontare di quando il non essere forte abbastanza mi ha fatto perdere un amico per sempre.
Quando il non essere forte abbastanza mi ha fatto perdere in idealizzazioni consumate dall'idea di quanto riuscissi ad essere imprecisa nelle mie blande constatazioni in cui ci mettevo soltanto il cuore e mai la testa.
Quando il non essere forte abbastanza mi ha fatto perdere in calcoli approssimativi di cui sin dal principio immaginavo il risultato, ma ci volevo provare comunque.
Quando il non esserlo mi impediva di lasciare ciò che sentivo a me non destinato.
Ed anche quando il non esserlo mi ha fatto precipitare in labirinti che la mia mente aveva deciso di creare solo perchè avevo deciso di restare, anche quando l'altro aveva deciso di abbandonare già il campo.
E poi quando il non esserlo mi ha fatto credere che quel pugno allo stomaco di cui parlano tutti fosse un miracolo destinato a pochi, ed io probabilmente non ero destinata ad essere parte della cerchia.
Quando il non essere forte abbastanza mi ha dato l'illusione di poter trascinare situazioni in cui non riconoscevo nemmeno più chi fossi. Quando ho creduto di potercela fare, nonostante non fossi più in grado di sentire il mio battito cardiaco.
Quando ho creduto che questo mi potesse rendere forte ed invece ho realizzato di non aver mai scelto.

Talvolta ho pensato di collezionare fallimenti.
Ma poi ho scoperto di non poterli chiamare cosí.
È un privilegio. Un dono. Quasi un miracolo.
Il fatto che abbia deciso di pormi al centro tra il dire ed il fare ed applicare le mie consapevolezze nel quotidiano.
E non falliamo mai, anzi cresciamo.
E la crescita è sinonimo di vita.
Quella vera. Piena. Appassionata. Innamorata. Sorridente. Quella che sancisce una linea di demarcazione tra superficialità e leggerezza.

La prima sa bene che non conosci a fondo te stesso. O gioca sul fatto che continuerai inerme a non farti domande, per timore di conoscerne le risposte. Allora andrai avanti, per inerzia, collezionando momenti in cui sarai cieco, sordo e muto. Non per scelta, ma per tacita sottomissione. Non sentirai niente. Lascerai scorrere i dettagli su cui avresti potuto soffermarti se solo avessi scelto invece di sentire. Proprio quel pugno allo stomaco. Quel pugno lì.

La leggerezza è invece un percorso incidentato, dove quello che senti non lo scegli tu ma il tuo destino, che accompagnerai per mano in una danza che non credevi potesse essere cosí ritmata, vivace, viva, bella. Non ti farai domande perchè sarai troppo impegnato a vivere quelle risposte in cui ti sarai tuffato, e non per pura follia, ma perchè sarai stanco di vivere una vita che non ti appartiene, che hai il dovere di portare a termine seguendone le tappe con metodica precisione.
Capirai che la vita è un pugno allo stomaco.
Un brivido.
Certe cose succedono e basta.
Che puoi evitare qualsiasi cosa.
Poi verrà a prenderti.
Dunque tanto vale abbandonarsi.
A quei dettagli che meriteranno occhi profondi, orecchie in grado di sentire, bocche che riusciranno a trasmettere qualcosa anche quando resteranno chiuse.

Ed è cosí che ho scelto.
Di essere forte, come le radici di una quercia.
Ma anche debole, come le schegge di un cristallo.
Di essere leggera, come un soffio di vento.
Perchè la vita è una e dobbiamo vivere la nostra.
La vita è bella solo se fatta di cose belle che non scanseremo per il becero timore di deviare traiettorie già consumate.
Ed è questo tutto quello che alla mia età mi basta sapere.
Che ci sarà sempre qualcuno o qualcosa che ci farà riscoprire migliori di quello che credevamo.
E saranno le sole per cui varrà la pena tentare.

Ecco. Questa è la vita secondo me.

domenica 7 agosto 2016

Creatrice di momenti

Ho creduto per un attimo che questa città stesse diventando troppo grande.
Troppo per trattenermi senza che mi sgretolassi.
Troppo per le mie aspettative.
Troppo per ricostruire una dimensione dalle pareti morbide e schizzi di pittura colorata versati a caso.

L'ho pensato quando gli ero seduta di fronte, portandomi le dita alla bocca, come una bambina inesperta che si chiedeva come e da cosa potesse cominciare.

Ho per un attimo avallato una tesi che non mi è mai appartenuta fino in fondo.
Quella secondo cui le cose giuste arriveranno sempre al momento sbagliato, mentre le sbagliate sempre nel momento più propizio che ci renderà pronti ad afferrarle e a trattenerle, chi lo sa poi per quanto altro tempo ancora.

Poi mi sono ricordata di quanto fosse importante la parte che si svolge nella creazione di un momento.
Come un attore sul palcoscenico che dimentica il copione e deve andare avanti sperimentando l'arte dell'improvvisazione.
Quella intelligente, che stimoli, che mantenga l'attenzione di tutti. Quella in cui se sarai bravo abbastanza troverai un filo logico che metta in fila una serie di battute che ad un ritmo incalzante condurranno alla fine della storia, così come all'inizio di scoperte importanti: qualsiasi siano le condizioni, basta volerlo.

Ed è stato allora che l'ho capito.
Che avrei potuto scegliere di diventare una persona che non sente più niente.
Che si ciba di decisioni altrui per timore di prenderne di proprie.
Che di fronte ad un bivio si domanda quale sia la strada più comoda da seguire.
Che si racconterà un'altra storia.
Che fingerà di non ascoltare il rumore che ha dentro.

Ma ho scelto di diventare una creatrice di momenti.
Una di quelle che in un giorno di sole i cui raggi, filtrando attraverso i vetri della finestra, riescono a riscaldare l'ambiente, decide di spazzare via le foglie ingiallite per piantare nuovi semi.
Quando nessuno se lo sarebbe mai aspettato.
Quando tutti credevano non potesse mai accadere.

Perché quando lasci che un pensiero si insinui con prepotenza nella tua mente, sarà già fatta e toccherà a te porre rimedio, creando un momento.
Perché quando inizi, non potrai tornare indietro. Dovrai creare momenti che ti spingano in avanti.
E se avrai dei dubbi su quale sia la strada giusta da seguire, ascolta il rumore che hai dentro.
Sarà la via segnata dal tuo destino, forse.

Così, mentre ero intenta ad immaginarmi ancora troppo piccola ed inesperta, ho scoperto che questa città mi volesse far capire quanto grande fossi diventata e quanto ancora potessi esserlo.
Altrove.
Con un carillon sul comodino e le valigie sotto il letto.
Con delle tende retrò ed un lampadario improvvisato alla carlona.
Con delle candele aromatiche riposte sulle mensole.
Con tutta quella vita che mi porto sulle spalle.
E con quella che ancora riesco ad immaginare.
Con una casa da dover ricostruire, mattone su mattone.
Una di quelle meravigliose perché ci sarà dentro tutto quello che sento, che sono diventata e a cui non vorrò più rinunciare: il mio cuore.



mercoledì 3 agosto 2016

Scatole di cartone

Circondatevi di persone che conoscano non soltanto l'odore del mare, ma che sappiano meravigliarsi al suono di ogni sua onda.
Che sappiano guardarlo ed ascoltarlo come fosse una creatura da ammirare, la più meravigliosa mai incontrata prima. Che con cosciente onnipotenza ne constateranno la grandezza, ma sempre ad un passo dal sentirsi della sua stessa portata: infiniti.

Circondatevi di persone che sappiano ridere.
Che amino danzare a pieni nudi sotto la pioggia.
Che indichino col dito l'arcobaleno come fanno i bambini.

Circondatevi di persone che parlino il vostro stesso linguaggio.
Del corpo.
Della mente.
Del cuore.
Lasciatevi trascinare in questa danza, ammaliante tanto quanto pericolosa.
Perché quando oramai avrete imparato a ballare, non riuscirete più ad uscirne.
Ma vi concederete la più bella delle melodie mai ascoltate prima in cui i vostri piedi non saranno mai stanchi di battere il selciato.

Circondatevi di persone che abbiano degli occhi in cui sarete in grado di riconoscervi.
Bocche che sembreranno fatte apposta per toccarsi.
Orecchie che non vorranno sentire altro che il suono della vostra voce.

Circondatevi di persone che spruzzino libertà da ogni poro della pelle, cosí da raccoglierla a piene mani.
Circondatevi di quelle che sprigionano un'energia tale da generare una continua espansione, dentro e fuori.
Di quelle cui non avrete mai paura di mentire, perché sarete sempre così come siete, senza alcun freno. Senza nessuna paura.

Circondatevi di persone che sappiano sentire, così come sentite voi.
Di quelle che sentono cose che la vostra mente ha sempre creduto di tacere.
Di quelle da cui potrete imparare a sentire cose nuove o semplicemente in un modo diverso, così da metterle insieme alle proprie e produrre la melodia più dolce ed autentica mai suonata.

Circondatevi di persone che entrano un giorno nella vostra vita senza mai chiedere nulla.
Né di restare.
Nemmeno di andare via.
Di quelle che con la morbidezza di un vento primaverile spazzano via le foglie d'autunno senza che voi l'abbiate mai chiesto, per far germogliare boccioli cui sarà vostra premura innaffiare per far nascere nuove rose.
Di quelle che ad un certo punto non riuscirete più ad evitare.
Perché anche se lo farete, non lo vorrete mai abbastanza.

Circondatevi di persone che ricorderanno ogni smorfia del vostro volto, ma ne ameranno particolarmente soltanto una.
Di quelle che vi vogliono, anche quando sono in silenzio.
Circondatevi di quelle che vi bruciano dentro, prima di esplodere come dinamite.

Circondatevi delle scoperte più belle che vi offre la vita.
Imparate a guardare, anche quando credete non ve ne siano.
Circondatevi di pezzi di vita.
Imparate a riconoscerli.
Raccoglieteli.
Tratteneteli a piene mani.
Lasciateli andare soltanto quando vi accorgerete che per voi non ci sarà spazio.
Ma continuate a cercarne altri.

Imparate a lasciare tutto il resto.
Quelle sono scatole di cartone in cui abbiamo rinchiuso tutte le nostre cianfrusaglie per timore di deviare percorsi, di restare soli, di volere ed amare come non pensavamo fossimo capaci.

Quelle non saranno mai pesanti, perché portano soltanto tutto il vuoto che ci portiamo dentro.

Scopritelo in fretta, prima che sia troppo tardi.
Prima che quei pezzi di vita volino nell'aria, come soffioni che nessuno riuscirà a raccogliere.