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giovedì 3 luglio 2014

339 giorni, 8136 ore di Londra, la mia.

Sono trascorsi 339 giorni. Pressappoco 8136 ore.
Eppure da quando ho chiuso la porta di casa, con la mia valigia rossa, ed una mente spoglia di ogni aspettativa, sembra ieri.
Ma adesso sento che sia arrivato il mio turno. Sento di dover fare un resoconto di questi 339 giorni, 8136 ore di Londra, la mia.

L'ho capito quando uscendo di casa, avrei voluto svoltare l'angolo ed imbattermi nel mare. Vederne anche uno scorcio tra un blocco di cemento ed un altro. L'ho capito quando avrei voluto gridare, ed invece dovevo sorridere. L'ho capito quando ho avuto paura, ed ho dovuto creare un'altra parte di me, quella che non conoscevo, che si è anteposta a quello che ero. L'ho capito quando avrei voluto lasciare, ed invece sono restata, come incastrata tra due cabine telefoniche. L'ho capito quando avrei voluto pronunciare parole diverse da quelle che il suono della mia voce emetteva. L'ho capito quando sono tornata al quel 29 luglio del 2013 e guardandomi allo specchio mi sono vista diversa.

Sono partita come tanti, con la prima low cost disponibile.
 L'affluenza dei giovani, in maggioranza italiani e spagnoli, che ogni mese scelgono Londra con slancio ascetico, è notevole.  Non è chiaro se stiano fuggendo dall’Italia o se è irresistibile il richiamo della metropoli con tutte le sue leggende. Non lo sanno neppure loro. Si mimetizzano alla dogana con definizioni di circostanza. Studente. Ragazza alla pari. Turista. Artista. Sembra quasi paragonabile allo sbarco dei clandestini a Lampedusa. Solo che qui al posto dei gommoni, ci sono i voli low cost. Ma il costo del biglietto non costa quanto tutto ciò che dovrai affrontare, sudare, costruire, forse ottenere, una volta atterrato in terra d'Albione.

Dire che quando sono arrivata non avevo niente, è errato. Avevo me stessa, ed è da qui che ho cominciato. Dopo 14 giorni sono riuscita ad avere una prova nel ristorante in cui tuttora lavoro: il mio mezzo di finanziamento, per l'affitto, ma soprattutto per l'obiettivo su cui ho scelto di puntare solo dopo due mesi che ero a Londra, dandomi il tempo di capire chi ero e dove volevo andare. Come dice Shakespeare: "Sappiamo chi noi siamo, ma non sappiamo chi potremmo essere". E la mia fantasia ha di gran lunga superato la mia aspettativa.

Ma Londra non è il Paese dei Balocchi, né la terra promessa. E' una città grande in cui noi immigrati ci culliamo in una solidarietà sottile, sottesa alla condivisione di aspettative importanti, tra cui quella un giorno o l'altro anche di tornare.
E' una città che ti vuole pronto, in cui sono ammessi sbagli solo se avrai la modestia di perdere e la costanza di ricominciare. E' una città che ti vuole coraggioso, astuto e caparbio. E' una città in grado di deluderti come nemmeno il peggior uomo sulla faccia della terra, ma di regalarti tanto se avrai pazienza e generosità nel darti completamente, anche oltre quello che sapevi di possedere.

Pensavo a quanto sia una città in grado di disumanizzare. Non riuscirai a capire quando sia avvenuto, ma diventi un numero, utile ma mai indispensabile. Lo sarai quando aprirai la porta di casa e ti camufferai tra la gente che corre in metropolitana o per strada consumando il proprio panino, scansando i passanti, ed anche te. Lo sarai quando andrai a lavorare, perché la tua forza fisica basterà lì ed allora perché utile, ma mai per il tuo nome, il tuo viso, il tuo modo di fare. Sarà paragonabile a quella di chiunque altro. Come una cesta con tanti numeretti da pescare: l'uno o l'altro è indifferente. Lo sarai per autodifesa perché prima o poi dovrai dire "arrivederci", perché in una città che corre, a correre sono gli istanti così come le persone che scelgono di andare via.

Questi 339 giorni e 8136 ore racchiudono il bello ed il cattivo tempo. Il dolce e l'amaro. La delusione e la soddisfazione. I saluti e gli abbracci. Il desiderare ed il rinnegare. Il volere esattamente il contrario delle proprie azioni ed il tentare di scardinare muri che non si riveleranno altro che tali. Il sudore e le aspettative. Il guardare avanti ed il restare con un piede accanto alla porta per lasciare un piccolo spiraglio di riapertura. Le persone ed i fuochi di paglia. I rapporti e quelli che chiamo solo numeri. Solitudine. Paura e voglia di vincere.

Questi 339 giorni e 8136 ore raccolgono me stessa, a Londra, la mia.