Visualizzazione post con etichetta partenze. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta partenze. Mostra tutti i post

venerdì 14 aprile 2017

48 ore

Tra poche ore avrò il solito volo last minute per raggiungere casa.

Quelle 48 ore in cui vorresti farti una scorta di abbracci che ti possano bastare sino al prossimo ritorno. Che poi, non basteranno mai. 
Quelle 48 ore in cui deciderai di fare cose, rinunciando inevitabilmente ad altre. Quelle cose, che anche se te le senti di fare, non basteranno comunque.
Quelle 48 ore in cui cercherai il tepore di casa, pur avendone in fondo costruito un'altra con grande sacrificio. Ma anche quella, molto spesso, non basta.
Quelle 48 ore in cui cercherai di inseguire gli sguardi, nonostante nella tua quotidianità abbia imparato a guardare altrove. Pure quello, quando ti ci fermi a pensare, non basta.

Ma quando quest'anno ho soffiato la mia 28esima candelina, ho pensato che dovessi cambiare qualcosa. Non le circostanze che ho creato, né i mattoni che con premura abbia messo l'uno sull'altro, continuando ostinatamente a farlo. Che non si può vivere, serenamente, pensando che manchi sempre qualcosa. 
Credendo, in fondo, che nulla basti.
E non perché dobbiamo imparare a bastarci. Dobbiamo imparare ad amarci, é un'altra cosa. 
Così cominceremo ad amare anche un volo last minute di soli due giorni.
L'attesa di un autobus notturno che ci conduca a destinazione.
La valigia semipiena che diventerà stracolma al tuo ritorno.
Gli sguardi che non fuggono, ma che puoi incamerare e portare con te.
Il tuo poco tempo a disposizione. Soprattutto quello.

E non perché, come qualcuno dice, le circostanze esterne non debbano influenzare lo stato d'animo. Noi siamo fatti anche tutte le persone che incontriamo e di tutto ciò che ci accade.
Andare oltre significare ottimizzare quel tempo e fartelo bastare.

Ci sarà sempre qualcosa in più che pretenderai da te stesso.
Qualcosa che vuoi ma che questo tempo non potrà offrirti.
Qualcosa di più dolce.
Qualcosa che possa appagarti di più.
Più presenze.
Più abbracci.
Più cuore.

Ma la verità é che talvolta ce l'abbiamo già, sotto forme ed intensità diverse.

Allora dovremmo pensare che non c'è più tempo per pensare a ciò che non basta.
Non dovremmo maturarne il desiderio.
Non dovremmo dargli spazio.
A lui, come a chiunque ce lo lasci pensare.


Perché in fondo, forse, anch'io vorrei bastare.

martedì 5 maggio 2015

I ritorni sono come una tazza di caffè

Mi dirigo verso uno dei tanti bar in prossimità dell'uscita dell'aeroporto per ordinare un caffè. Me lo serve un ragazzino dal riconoscibile accento di chi proviene dal tacco della penisola. Una barba poco diradata, un fisico asciutto e degli occhiali da vista dalla forma ovale. Lo bevo, caldo ed amaro, ringrazio e vado via.

Sembra si alluda a ciò che puntualmente accade, pur senza volerlo, ogni volta che torno. La metafora di chi vive in una città diversa da quella in cui è cresciuto. Ritorni almeno un paio di volte l'anno o anche di più. Ne assapori i gusti che custodisci sapientemente nella scatola dei piaceri da riprovare, ne annusi i profumi spesso dimenticati, godi gli attimi come chi ne ha appreso la modalità soltanto in quel momento, trasportandoli dalla cesta delle abitudini detestabili a quella dei dettagli cui dar peso per non commettere errori, scrivendo sul nastro adesivo "consumarli con cautela".

Ti prendi il dolce e l'amaro, ti rivedi negli occhi di chi ti aspetta con la stessa scadenza dell'arrivo di una nuova stagione, mandi giù dell'acqua fresca per preparare il palato. Che tu sia immobile ad aspettare al bancone due giorni, dieci o un mese non avrà importanza: percepirai la stessa sensazione come se quel lasso temporale abbia la stessa durata di quella in cui un infermiere ti infila un ago nel braccio e ti disinfetta: meno di trenta secondi.

Ingerisci tutto. È caldo e ti scotta l'esofago, lo stesso che si raffredda solo un attimo più tardi, pur lasciando una sensazione di calore sulle sue pareti. Così ringrazi e vai via.

In fondo una tazza di caffè non è così dissimile dai ritorni, così come dalle partenze che non sono altro che ritorni al contrario, che insomma se capovolgi o ti poni sul versante opposto diventano ritorni anche loro.

Ha quell'aroma dolciastro man mano che si arriva sul fondo della tazza e che si compensa con l'amaro che lascia all'incontro con le papille gustative. Crea dipendenza, e anche quando credi che tu ne possa fare a meno quando lo riprovi ne avverti la mancanza come chi l'ha soltanto accantonata per non pensarci, ma è un vizio che non riuscirai mai a lasciare del tutto. Uno di quelli sani, eccitanti, naturali.

Non saranno sempre tutti uguali. Spesso darai per scontato di trovare tutto com'era l'ultima volta. Non sarà sempre così, e non sarai sempre l'unico ad esser cambiato. Il tuo cambiamento sarà stato repentino ed amplificato dalla stasi di cui gli altri intorno a te si nutrivano. Ma anche gli altri cambiano, forse in modo progressivo e lento, ma definitivo.

Ed allora si sperimenta l'effetto collaterale del non esserci nelle passate abitudini: la mancanza di ciò che credevamo di trovare e quella relativa a ciò che in realtà non c'era più. E ci si appropria di una nuova verità: i ritorni sono come una tazza di caffè. Dolci ed amari. Caldi e momentanei. Una dipendenza il cui abbandono è fuori dalle regole del gioco. Quelli da bere con chi c'è sempre stato e che alla fine magari deciderà di pagare il conto, o chi per timore di farlo, nemmeno si presenterà al bancone.

Ma a prescindere da come sarà, ne vale sempre la pena. Un viaggio di cui conosci a memoria i sentieri ma da qualche insenatura sempre nascosta e che sa del profumo del caffè appena svegli: insostituibile.

mercoledì 25 marzo 2015

Una corsa dietro l'angolo

E così, senza che l'avessi progettato, ho cambiato le mie abitudini.
Sveglia molto presto, corsa per prendere il treno impigliando le braccia tra i fili degli auricolari mentre tento di infilare nelle tasche del cappotto tutto ciò che considero sia prioritario, nonostante ci impieghi puntualmente quindici minuti per afferrare qualcosa, facendo cascare tutte le altre. Posto accanto al finestrino, per aspettare quell'edificio che spunta in lontananza e che mi dice che sono arrivata, sempre nel momento in cui avrei voluto continuare la lettura del mio libro.

Condivido lo stress di uno ufficio ed un caffè, che non è come quello che prepara mia madre, ma è buono lo stesso. L'aroma mi penetra nelle narici e mi sveglia dal mio consueto assopimento mattutino. 
Ho abbandonato l'insana abitudine di procrastinare alla notte tutto ciò che non potevo fare di giorno, come rassettare, fare lavatrici, anche dedicarmi a me stessa. Adesso lo faccio dopo il lavoro, quando il sole non è alto, ma ancora emana luce, calando pian piano, rendendo il cielo rosa  e i primi fiori che sbocciano ancora più evidenti agli occhi dei passanti.

Ho preso l'abitudine di correre almeno un'ora al giorno, senza cianfrusaglie nelle tasche del cappotto, fili di auricolari che si intrecciano e borse pesanti. Lontana dai clacson, dalla frenesia della gente che spinge per prendere posto in un vagone, da quella parte di me che credeva di essere pigra e che non aveva mai ammesso che in realtà il non prendersi cura di sé costruendosi l'alibi del non aver tempo è la più alta forma di egoismo verso se stessi. Quando il sole sta per tramontare, le madri rincasano, i bambini tornano da scuola. Accanto al fiume, che riflette il rosa del cielo, pur essendo ancora coperto da un manto di foglie ingiallite.

Ogni tanto mi fermo su di una panchina per prendere fiato, mentre gli uomini del quartiere passeggiano con i propri cani ed i ragazzini giocano a calcetto in un campetto poco distante, riuscendone ad udire gli stramazzi. 

Ed è proprio l'altro giorno che ponendo lo sguardo in alto, perdendomi tra il rosa, il rosso e l'arancione di un cielo incredibilmente terso, ho realizzato quanto in fondo mi sia costata tutta questa normalità, ma quanto, in fondo, tutta quella vita precedente mi sia stata cara al punto da non farmi mai perdere l'entusiasmo e la voglia di proseguire, non essendomi mai lasciata andare al pensiero del non-ce-la-farò-mai. 

Ed è quella vita, che a tratti mi sembrava così ostinata nel suo tentativo di imporsi nonostante cercassi di scacciarla, quella che oggi sembra quasi appartenere ad un'altra persona tanto mi sembri distante, quella fatta di volti di plastica, di occhi che ogni tanto vorrei incrociare anche solo per capire se ne sia valsa la pena, di parole catturate dal vento e rese concimi per gli uccelli, di gesti che hai compiuto solo tu e che rifaresti, milioni di volte, perché giusti ora come allora, quella vita, proprio quella, mi ha  insegnato che le abitudini si distruggono, tutte.

Lo farai tu da sola, o sarà il tempo a farlo al tuo posto. 
E non è sempre detto che le precedenti siano state migliori o peggiori, ti abbiano resa una persona più o meno felice di quelle che seguiranno. 
Saranno uguali, nel momento della loro creazione, perché combaceranno esattamente al momento di vita e a quell'inevitabile passaggio di crescita, o piuttosto, a quello che sei diventata grazie a quelle che c'erano prima.

Ma c'è un'abitudine che è sempre attuale e non vorrò perdere mai: il dedicarmi a me stessa, sotto qualsiasi forma. 

Che significhi correre sotto un cielo rosa, leggere un libro accanto ai finestrini appannati di un vecchio vagone, smettere di pensare a come sarebbe andata a finire perchè se non inizia è già finita e decidere una nuova partenza. La tua.