mercoledì 2 gennaio 2013

Preda dell'inevitabilità.

Eccomi qua, ancora una volta, con un sorriso ironico, tipico di chi deve mostrare una certa maturità che la faccia sentire più donna, mettendo ancora una volta in secondo piano l'esserci rimasta male per qualcosa che in fondo è indefinito. Eccomi qua ancora una volta, preda dell'inevitabilità, delle sue mille contraddizioni, del suo esprimersi a singhiozzo, preda dell'aver creduto in qualcosa di inesistente, preda dei suoi mille ripensamenti, della fiducia che spesso ripone nei rapporti che talvolta la tradiscono, preda dei non so dei ma e dei può darsi, preda dei ricordi, del pensiero inopportuno che tutto possa essere eterno senza mai mutare, preda delle sue tante fantasie che non hanno forma, preda delle distanze che inevitabilmente assottigliano e rimuovono, preda di chi ha l'esigenza di uscirne pulito volendo sporcarti per il semplice fatto che la tua mente si sia spostata troppo in là, verso un'isola che non c'era e non c'è mai stata, preda delle giustificazioni, preda del dovere di comprendere sempre l'altro senza che nessuno si sporga a comprendere anche te, preda di quel dovere morale di capire la naturalità degli eventi che in fondo considero i peggiori, dove nessuno è pulito ma nemmeno sporco, dove sembra che tutti abbiano colpe ma in realtà nessuno è colpevole, preda in fondo del tempo che lava asciuga e ripulisce, quel tempo che è maledetto perchè ti lascia sbigottito ed impotente, senza parole, puntando soltanto il dito contro di te, te che sei stata preda di qualcosa di cui in fondo conoscevi già l'epilogo ma che temevi arrivasse. Allora il tuo sentirti ferita non ha colpevoli, se non forse un po' te stessa, la tua ostinazione, la tua mancata predisposizione a voler circoscrivere qualcosa che doveva avere semplicemente il titolo "Lì ed allora", a cui invece hai dato l'etichetta "Lì ma anche un po' qui, allora ma anche oggi", aggrappandoti ai ricordi che riaffioravano e che speravi potessi ancora vivere, aggrappandoti a persone che contrariamente a te hanno continuato sulla loro strada, ed il loro non fermarsi ha portato alla logica conseguenza della "sostituzione", evento naturale e comprensibile, che non da però merito al tuo stato d'animo, alla domanda che spesso poni a te stessa: "Ma allora io alle persone cosa sono in grado di trasmettere per essere sostituita così presto?" Una domanda che non trova risposte, e che in effetti non dovrei nemmeno pormi perchè è priva di senso, perchè in fondo è normale, è logico, è naturale, si tratta di conseguenze. Quelle conseguenze che spesso conosco sin dall'inizio ma è come se provassi la masochistica voglia di sentirmele scaraventare in faccia, in modi non sempre pienamente condivisibili, come se pur conoscendo i probabili risultati ci voglia comunque provare, come se provassi a moltiplicare il due per il due sperando in un risultato diverso dal quattro. Soltanto dopo essere piombata nelle aspettate conseguenze rimetto la prima e riparto, è come se non volessi mai evitarle. Ma poi mi fermo e mi chiedo il perchè. Poi mi fermo e mi chiedo "Io dove vado a finire, ma soprattutto, le parole degli altri perchè continuo ostinatamente ad ascoltarle e soprattutto a crederci?" Alla fine forse anche il fatto che certi gesti, certe parole, certe persone vengano trascinate dalla forza del vento, anche questo fa parte del gioco, anche questo è un evento naturale dove il tuo restarci male trova uno spazio residuale, ove il tuo cuore deve continuare a battere senza far troppo rumore. Alla fine credo di esser troppo spesso preda anche della mia eccessiva rigida stupida coerenza.

Le persone: la più bella delle invenzioni.

Comincia un nuovo anno. Comincia ancora una volta senza di te. 
Comincia con un cielo nuvoloso e schizzi di pioggia che bagnano i vetri, iniziando così, proprio come è terminato. Un anno in cui dovrò solo ricordare senza mai più sentire il suono della tua voce, quella con cui mi chiamavi "Avvocato" ed io puntualmente ti rispondevo che quella non era l'ambizione della mia vita e allora tu mi chiedevi: "Allora cosa vuoi fare?Vuoi diventare un notaio, un magistrato oppure una giornalista?Cosa vuoi fare? Tu devi diventare qualcuno di importante, qualcuno che valga la pena ricordare, tu sei brava, ce la puoi fare!"
Era come se quelle parole, pur essendo apparentemente pesanti, non mi facessero mai sentire in dovere, ma mi allietavano, mi riscaldavano, mi ricordavano quanto potenzialmente potessi valere, che c'era qualcuno che non solo credeva in me ma me lo diceva, ogni volta che i nostri occhi si incrociavano mi inondava di una serie di domande e quando non davo risposte esaustive me ne rivolgeva ancora altre, mai per pura e sterile curiosità, ma per quell'indiscutibile scambio d'affetto che si instaurava, per il desiderio di instradarmi, di conoscere in fondo la mia vita. Quanto mi manca quel "brava" e il modo di pronunciare la parola "importante", scandendo lentamente le vocali, quasi come se tentasse di farmele entrare dentro, silenziosamente, gradatamente, in un cuore che all'ascolto di quelle frasi di dilatava, batteva ancora più forte.
Mancanze che anche quest'anno dovrò portarmi dietro, che si cerca di attutire confidando nell'inesorabilità del tempo che lava ogni cosa. Ma la verità è che sebbene questo tempo lavi, c'è sempre un alone che resta, che non va via, come quelle mancanze a cui necessariamente dovrai abituarti, che da vortici il tempo muterà in vuoti sempre più piccoli, che non si annulleranno mai del tutto ma che in certi momenti avvertirai addirittura più bui e profondi del solito. Perchè in fondo ti adatterai, ed adattarsi non appaga mai completamente. Ed è anche assurdo dire che le persone vanno via con il loro corpo ma ti resteranno accanto con il loro spirito, perchè in certe giornate sarà proprio la presenza carnale, il toccarsi, il parlarsi a mancare come l'aria che sarai costretta a respirare nonostante sia rarefatta. Le persone, il regalo più bello che la vita possa donare, l'invenzione più congeniale ed intramontabile, quelle persone che con la loro presenza fanno sentire il tuo cuore più grande e più caldo, ma che andando via ti lasciano spento, freddo, come se un pezzo del tuo cuore fosse andato via insieme a loro. Ed è per questo che ci si ripromette di non affezionarsi mai troppo alle persone, di mantenerci sempre in un equilibrio precario, in un'equidistanza strategica tra noi e loro per non entrare mai troppo nell'altro, perchè così crederemo di mantenere la nostra integrità, così quando i loro corpi si allontaneranno non avvertiremo mancanze. Ma forse quella mancanza non riusciremo a percepirla perchè in fondo non avremo mai avuto presenze, in fondo il nostro cuore non è mai stato grande nè caldo abbastanza, perchè quell'incredibile scambio tra le persone, l'unico in grado di riscaldare, non l'avremo in fondo mai conosciuto. Allora dovremo decidere tra una vita in cui ci rassegniamo ad essere ciechi, muti, sordi, freddi e spenti, una vita in cui non entreremo mai troppo nell'altro restando sempre sul nostro piedistallo in un'insoddisfacente incompletezza d'animo, senza mai vivere abbastanza, senza mai sperimentare la condivisione di emozioni che la vita ci dona ogni giorno rendendole speciali talvolta per il semplice fatto di poter stringere la mano di qualcuno e proseguire lungo il nostro tragitto, ed una vita in cui troveremo invece il coraggio di aprire gli occhi, di ascoltare, di esprimerci, di sbaragliare i confini dell'equidistanza e arrivare in fondo all'anima dell'altro, avvertendo una mancanza insostenibile a fronte di un loro allontanamento, ma solo perchè quelle persone quando hanno scelto di restarti accanto con la loro presenza hanno reso più calda, emozionante, piacevole la tua vita, ti hanno reso più caldo accendendo un fuoco in grado di riscaldare chi ti era attorno solo perchè in fondo eri tu stesso a sentir caldo, a sudare per tutto ciò che ti pullulava dentro e che non vedevi l'ora di trasmettere. Mancanze dure come blocchi di cemento, ma presenze leggere come una piuma, calde come abbracci senza un perchè, belle come arcobaleni che non credevi potessero apparire in un cielo offuscato da nuvoloni grigi come la cenere, presenze che ti ricordano quanto valga la pena prendersi cura dell'altro, mancanze che sono solo la logica conseguenza del tuo darti pienamente, del tuo vivere con intensità senza mai stancarti, mancanze che quanto più grandi e laceranti saranno più ti faranno capire quanto avrai in fondo vissuto. Abbiamo solo questa vita, allora va vissuta, con presenze roventi e mancanze laceranti, con un io che trabocca. Oppure esistere, con finte presenze e mancanze inesistenti, con un io che aleggia come fantasmi.

domenica 30 dicembre 2012

Dove tutti dicono grazie.

"Cosa ci fai a Londra?" domandai distrattamente attendendo la classica risposta vaga che invece stranamente quella volta non ebbi.
" Volevo intraprendere una nuova esperienza, diversa da un'altra passata, in una metropoli cementificata dove le persone non fanno che correre, dove avrei potuto condurre una vita smodata, avrei potuto guadagnare qualche soldo da stringere nel palmo di una mano annusandone di tanto in tanto il profumo, sin quando mi sono accorta che il mio essere così estrema in fondo mi ha sporcato al punto da avvertire ancora una volta l'esigenza di ripulirmi."
"Perchè parli in questo modo? Di che esperienza passata parli?"
"Africa. Kenya per l'esattezza. Prima di allora non credevo che un Paese come quello potesse insegnarmi quasi tutto quello che attualmente conosco sulla vita. Prima di allora non credevo esistesse un posto nel mondo che potesse rappresentare allo stesso tempo vita e morte, disperazione ed allegria, in un connubio impensabile eppure possibile. Me lo ha insegnato l'Africa, nelle sue mille contraddizioni che si annullano in un'unica sconcertante verità, l'essere umano nella sua essenza, nella sua primordialità. Giuro che un uomo così non l'avevo mai visto, perchè in Occidente, qui a Londra come al mio Paese, in questo mondo dove le mie gambe hanno ricondotto il mio corpo ma non la mia mente nè il mio cuore, io l'essere umano non l'avevo mai incontrato. Ho incrociato solo maschere che hanno stratificato l'anima, in nome di un'apparenza da salvare a tutti i costi, sino a farci dimenticare chi siamo, da dove veniamo, cosa cerchiamo. Ma l'Africa è anche un'arma a doppio taglio, almeno per me ha rappresentato questo. Il mio corpo balzava dal letto ogni mattina, da sola, credendo di potercela fare, ma quando calava la notte avrei voluto altre dieci, cento, mille di me stessa perchè non era mai abbastanza. Ci sono state nottate in cui non riuscivo a prender sonno per un senso di colpa che mi ero cucita addosso, che quasi avrei vomitato per la sua cospicua consistenza, credendo che il mio corpo sempre più magro non sarebbe riuscito a contenerlo. Non so se sai cosa significa scappare per un senso di colpa che non esiste, che ti rende impotente, ma che nonostante tutto senti che un po' in fondo ti appartiene. " 
Ebbi soltanto il coraggio di sussurrare " So forse cosa intendi, pur non avendo vissuto la tua stessa esperienza", poi completamente immersa nei fiumi delle sue parole lasciai che continuasse il suo racconto.
" Allora sono scappata. Sono prima tornata a casa poi non avendo un titolo di studio adeguato sono venuta qui in cerca di fortuna. Sono fuggita da un senso di colpa che solo adesso, col tempo, ho capito quanto fosse fittizio, solo ora capisco che forse non sono mai tornata, ma credo di essere rimasta lì, seduta in un angolo della baracca ad ascoltare storie, ad osservare volti che parlano di un mondo che non immaginavo, talvolta penso ancora di camminare lungo strade che di una strada non hanno nulla, eppure ti guidano, perchè è la terra che sembra muovere i tuoi passi come ad invitarti a scoprire, a sapere. Percorsi tratteggiati di immondizia e calpestati da scarpe rotte e tanti, troppi piedi nudi, mentre il sudore scivola sui corpi ed il dolore ti imbarazza per la sua cruda dignità, dove fa da cornice un cielo che sembra avvolgerti, così vicino da poterlo toccare, ove le stelle sembrano restare lì in attesa di essere afferrate, quasi come se la natura avesse scelto di guardare a questo mondo, a questa gente da una posizione ravvicinata, quasi a volerli abbracciare tutti nella loro miseria, nella loro precarietà. 
Dopo questa esperienza mi sono lanciata in quest'altra, totalmente opposta. Ho creduto mi piacesse, ma spesso quando sono seduta in autobus guardo fuori dal finestrino e mi accorgo che quel Paese ha cambiato i miei occhi, a tal punto da immaginare l'Africa con i suoi paesaggi incontaminati ovunque mi trovi, al punto da pensare che è proprio lì, in quel Paese bistrattato e disgraziato, in quel Paese dove trovi occhi riconoscenti del nulla, dove talvolta dovevo indossare vestiti sporchi e spiegazzati per l'ansia di far presto, di risolvere tante situazioni, dove il dolore è oramai routine, è proprio lì che ho toccato l'apice della felicità, perchè nel dare tutta me stessa all'altro riempivo gradatamente anche me stessa, non mi sono mai sentita così impotente ma mai così piena. Qui invece mi accorgo di aver sporcato il mio spirito per l'esigenza di dover sperimentare qualcosa che in fondo mi sono imposta semplicemente per dimenticare i ventri gonfi, i volti straziati, una sofferenza che portata così dignitosamente non avevo mai visto. Mi volevo sporcare e ci sono riuscita. Ma tra un po' penso di ripartire, perchè ogni volta che mi sporco sento poi l'esigenza di ripulirmi, e nella mia Africa non mi sono mai sentita sporca, nonostante i cattivi odori, nonostante il sudore che grondava dalla mia fronte, mai, nemmeno un istante. Volevo dimenticare ma oramai fa parte di me. Volevo rimuovere il dolore che ha la forma dei ventri gonfi di centinaia di bambini denutriti, un odore acre che ti inonda le narici non appena varchi l'uscio di una baracca e che si mescola a quello delle fogne e ti rimane addosso, dentro, a ricordarti ciò che hai visto, come un invito a non dimenticare, nonostante ti farebbe comodo. Il dolore può avere un peso, quello dei bambini che ho sollevato tra le braccia, che ho stretto al mio petto e dei quali cercavo di immaginare un futuro difficile da intravedere. Può avere un colore, quello rosso della terra che alla stregua di tante madri che ho conosciuto non ha cibo per nutrire i figli partoriti, nè più lacrime da versare per dissetarli. E poi a fare da contrappeso a tutto questo c'è una gioia che scoppia all'improvviso, per nulla. Un'allegria che contagia per la sua semplicità. L'Africa ti insegna il piacere per le piccole cose, minuscole, insignificanti, che sono in grado di strappare ad un adulto o ad un bambino il sorriso più radioso in cui tu ti sia mai imbattuto. Lì dicono tutti sempre "grazie", come spesso fai tu, ecco perchè credo che l'Africa entrerebbe dentro anche te. All'inizio quel grazie mi innervosiva. Pensavo tra me e me perchè mai dovessero ringraziare non avendo un bel niente, poi ho capito che lì, dicono grazie per la vita, per un cuore che batte seppure a fatica, per l'ossigeno contaminato dai cattivi odori che nonostante tutto alberga nei loro polmoni, perchè lì, non hanno niente ma pensano che quel niente sia tutto ciò che basti per ringraziare di essere ancora vivi. Un modo di fare che da noi si è perso, offuscati da uno sterile materialismo che ha poco a che vedere con la vita vera. Ecco perchè credo di tornare. Tornare a ripulirmi, alla vita vera, quella vita che dimentichiamo di possedere ma che esiste. Non pensavo di averne il coraggio prima di partire, ma questa esperienza ha cambiato la mia mente, i miei occhi, il mio cuore, me stessa. Pensavo di non essere pronta ed in effetti non lo ero, non si è mai pronti quando si è così giovani ad affrontare la vita nella sua cruda realtà, ma poi ti ci abitui, diventi più forte, e capirai di non riuscire più a farne a meno, capirai che il tuo viaggio sarà a tua insaputa di sola andata. "
Rimasi nel silenzio di quella stanza ad ascoltare il suo racconto non so per quanto tempo. Non riuscii a risponderle in modo appropriato tanta la passione che mi aveva trasmesso nel suo minuzioso e dettagliato racconto. Pensai soltanto che anche dietro un'apparenza frivola a tratti si nasconde una storia, perchè in fondo ognuno ne possiede una. Basta solo rendersi piccoli ogni tanto e stare in silenzio ad ascoltare stralci di vita che era quasi come se avessi vissuto anch'io in prima persona, quasi come se attraverso il suo racconto mi fossi "ripulita", come sempre diceva, anche io, mentre ad occhi aperti sognavo quel posto nel mondo in cui c'è vita nella morte e morte in una vita, in cui si sperimenta quell'equilibrio sinallagmatico, quel dare ed avere avendo solo se stessi a disposizione.

venerdì 28 dicembre 2012

Siamo come cerniere lampo.

Staccarsi da qualcuno è come quando non riesci più a chiudere il tuo maglione per la rottura della cerniera lampo che sembra scorrere in un'unica direzione. Sembri allora trasandato, il freddo si insinua sin nelle ossa irrigidendoti i muscoli, ma quel maglione continui ad indossarlo, perchè ti piace, è il tuo preferito, perchè nonostante si sia rotto non puoi fare a meno di indossarlo nonostante ti dia un tono malandato. Quando penso a due persone che sanno stare insieme in una sinergia simbiotica quasi imbarazzante, quelli che si riconoscono tra la folla per il loro modo di guardarsi attraverso timidi ma profondi sguardi, per il loro modo di capirsi accennando un lieve sorriso, penso ad una cerniera lampo che riesce a congiungere due opposti lembi, sino a combaciare perfettamente divenendo una cosa sola in grado di renderti a tratti più ordinato, al sicuro, al caldo. Quei gancetti metallici scorrono lentamente o con rapidità, ma sempre insieme, si apriranno o si chiuderanno in una perfetta sincronia. La loro direzione sarà la medesima e sarà bello vederli perchè non se ne renderanno nemmeno conto, come se fosse per loro quasi scontato muoversi nella stessa direzione, come se uno dovesse necessariamente aspettare l'altro perchè da solo non avrebbe alcuna utilità, perchè nel caso accadesse significherebbe che la cerniera lampo si è rotta. Track. Sì si è rotta. Cercheremo mille modi per ripararla ma nei momenti meno indicati nel chiudere il nostro maglione ci accorgeremo che la cerniera non è stata correttamente riparata, allora volendo chiudere il maglione ogni tanto invece si aprirà, i lembi non riusciranno più a combaciare, la sinergia si è persa, il maglione è in fondo da gettare. Ma a noi quel maglione piace troppo, allora proveremo ad indossarlo comunque, lo indosseremo senza provare a chiuderlo, lasciando che i due lembi siano in fondo sempre vicini senza mai più toccarsi, senza mai più scorrere insieme nella medesima direzione, nonostante tutto oltremodo distanti. Non riusciremo a sbarazzarcene, allora permetteremo al freddo di insinuarsi nelle ossa, di irrigidirci la muscolatura, sembreremo poco ordinati ma l'importante per noi sarà semplicemente indossarlo. Sbarazzarsi di qualcosa o qualcuno che per noi è stato importante, che ha costituito un pezzo della nostra vita, rendendolo magico, unico, sperando a tratti in una sua intramontabilità è umano, per questo è doloroso, a volte straziante. E' da uomini, molto più spesso da donne e forse è quello che la vita ci vuol far essere. E' umano anche provare a riparare una cerniera lampo che all'apparenza potrebbe sembrare inutilizzabile, perchè trovo abbia una profonda dignità prendersi cura di ciò che ci sta a cuore, non lasciare che l'orgoglio ci annebbi e ci disintegri, cercare di rimettere insieme dei cocci che hanno costituito parte della nostra vita senza andar via lasciandoli sul freddo asfalto. Ma è ancor più umano perchè appartiene a chi è vero uomo o vera donna capire il momento in cui è giusto andar via perchè non c'è più spazio, perchè riparare la cerniera lampo porterebbe solo ad un inutile dispendio di energie, rendendoci soltanto stanchi, malandati, poco presenti in noi stessi e troppo in chi in effetti non ci ama più, in chi ha scelto di seguire una direzione diversa, chi in quella sinergia ci ha creduto sino ad un certo punto per poi smettere di cercarla. Potremmo indossare ancora quel maglione ogni volta che ci va, nella vita reale, come nei sogni o nei ricordi ad occhi aperti, ma ogni volta si rischia di perdere un pezzo di umanità, un pezzo del nostro essere uomini o donne, e non perchè dovremmo dimostrare al mondo di esser forti perchè in fondo non c'è bisogno di ostentare il superfluo, è umano anche mostrarsi deboli, tristi, straziati per un amore perduto, ma perchè indossare un maglione vecchio, la cui cerniera lampo è oramai irreparabile, ci conduce al buio, nell'ombra di noi stessi, non permettendoci di brillare e di capire che attorno c'è tanto altro che attende solo un nostro passo, rischiando talvolta di perdere sinergie ancor più profonde di quelle che ci ostiniamo affannosamente a riparare. Spesso riusciremo ad accalorarci molto di più non indossando il maglione che quando l'avremo indossato senza riuscire a chiuderlo. Perchè noi siamo i soli in grado di trasmetterci calore, mai ad intermittenza, ma costantemente, nonostante spesso lo dimentichiamo colmando i nostri spazi di sagome destinate spesso a divenire fredde presenze. Ma noi necessitiamo di sinergie autentiche, di calore, di sagome più spiriti in grado di correre nella nostra stessa direzione. O forse semplicemente di un po' più di umanità.

giovedì 27 dicembre 2012

Avere una mentalità aperta ...

Nell'immaginario collettivo avere una mentalità aperta equivale a condurre una vita sfrenata, all'insegna delle pazzie più disparate, delle trasgressioni più indicibili, quasi uno stile di vita che "scandalizza i borghesi". 
Credo che però sia sintomo di una mentalità aperta fare cose che nessuno oramai è più in grado di fare, parlare e credere in cose di cui nessuno più oramai parla perchè troppo lontano dal crederci ancora. 
Credo per questo che abbia una mentalità aperta chi anzitutto sia in grado di ascoltare, perchè in fondo soltanto pochi ne saranno in grado, tanti altri si ergeranno sul piedistallo con la presunzione di giudicare la tua vita senza mai aver posto domande o nel caso senza mai ascoltarne le risposte. E' l'ascolto dell'altro che dilata la mente più di qualsivoglia altra trasgressione, perchè la nostra mente si espande arricchendosi di nuove informazioni quasi come fosse una spugna. La mente così si dilata e noi ci arricchiremo sulla base di un semplice confronto ove lo scambio di informazioni servirà a noi e all'altro, riuscendo ad aprire la nostra mente e spesso anche quella dell'altro, talvolta sarà addirittura anche il cuore ad aprirsi, compiendo uno dei miracoli più belli che la vita possa mai donare. 
Ha una mentalità aperta chi sa ascoltare, chi dopo averlo fatto sarà in grado di porre domande pertinenti, cogliendo le risposte nonostante parole confuse o interminabili silenzi.
Ha una mentalità aperta chi ha ancora il coraggio di innamorarsi, perchè oggi troppo pochi mostrano questo coraggio. Ha una mentalità aperta chi se ne infischia del fantomatico orgoglio che offusca la mente sino a chiuderla e si mostra per ciò che è, con le proprie paure, le proprie fragilità, i propri scheletri nell'armadio. Chi non teme di soffrire per amore, di sbattere porte o vedere porte chiuse in faccia, chi sa chiedere scusa, chi sa perdonare, chi fa un passo avanti mostrando il groviglio di emozioni che prova, la propria passione senza lasciarsi incatenare da falsi stereotipi e luoghi comuni che poco hanno a che vedere con l'apertura della mente, ed anche del cuore.
Ha una mentalità aperta non soltanto chi avrà una lista lunghissima di posti che avrà visitato, ma chi avrà immagazzinato qualcosa di importante da ogni viaggio, che sia servito alla fioritura del proprio spirito, chi parte con una valigia mai troppo piena per tornare con una che invece trabocca di esperienze, di passione, di amore, di emozioni, di un se stesso diverso ma sempre uguale. 
Allora sarà inutile la conduzione di una vita sfrenata, di nottate all'insegna di tanta droga, sesso e rock and roll asserendo un'apertura mentale quando oramai questa è indubbiamente la strada più semplice per averne una. Aprire la mente non è così semplice e così potrebbero farlo tutti, chiunque a modo proprio. 
La verità è che se non riuscirai a godere di una parte di te anche nel silenzio della tua solitudine, se non riuscirai ad ascoltare te e chi ti sta intorno prima di esprimere giudizi, se non troverai mai il coraggio di palesarti, il coraggio di innamorarti sciogliendo le catene a cui ti sarai aggrappato, se agirai sempre e solo in virtù di una forma per compiacere gli altri e mai in forza di una sostanza che nutra anzitutto te stesso, la tua mente sarà sempre chiusa, perchè si apre anche quando scoverai le chiavi giuste per aprire il tuo cuore, non necessariamente in prossimità dell'altro ma soprattutto per te stesso. Sono forse queste persone che dovremmo avere il coraggio di seguire, staccandoci dal gregge, proponendoci con qualcosa di profondamente diverso in un mondo dove nessuno ascolta, si innamora, un mondo creato per codardi.

mercoledì 26 dicembre 2012

Ubriacatevi di vita!

Il 31 dicembre quasi allo scadere della mezzanotte che augura il nuovo anno esprimo un desiderio. Generalmente penso a qualcosa che desidero ardentemente sperando che nel nuovo anno possa prendere forma. Lo faccio ogni anno nonostante ciò che ho desiderato non si realizza mai, trovando però per strada nel corso dell'anno cose nuove, cose che non mi aspettavo accadessero, speranze che non nutrivo ad inizio anno, cose che non desideravo ma che hanno poi arricchito la mia vita molto più di quelle che ad inizio anno speravo si realizzassero. Quasi allo scadere del nuovo anno generalmente faccio un bilancio cercando di dare un titolo all'anno che sta per terminare tra il vociare di chi puntualmente afferma che l'anno è volato in un batter d'occhio. Non so se quest'anno sia effettivamente volato come dicono, so solo che è stato ricco, così tanto da non riuscire a dargli un unico titolo, così ricco da pensare a tanti titoli diversi, uno per ogni mese, quasi come fosse un calendario. Gennaio avrà allora questo titolo: "Fare un passo avanti per non avere rimpianti". Per non averne mi sono data solo la possibilità di esprimermi, senza provare vergogna per delle sensazioni che custodivo gelosamente, per ciò che ero in quel dato frangente temporale, un passo avanti che avrebbe portato ad un no o ad un sì, molto meglio di un forse che mi avrebbe soltanto trascinato nel tunnel del rimpianto, che avrebbe solo procrastinato in fondo il momento del "no" che è arrivato comunque, appesantendo in un primo momento quell'ombra del fallimento che ho creduto mi seguisse ogni volta tentassi di instaurare un rapporto personale. Poi ho capito che se almeno ci hai provato non puoi dire di aver fallito, perchè fallisce solo chi non ci ha mai provato, chi prova un'inutile vergogna nell'accingersi a muovere un passo che serve solo a definire ciò che si sente, ciò che si è in un dato momento. Allora febbraio avrà quest'altro titolo: "Ci ho provato, non ci sono riuscita, non ho fallito, ho vinto lo stesso", perchè in fondo non ho perso nulla, ma recuperato una parte di me che se fosse rimasta nascosta avrebbe vissuto in un insoddisfacente rimpianto. I rapporti falliscono, alcuni non riescono nemmeno a decollare, ma noi no. Se abbiamo dato voce al nostro io interiore abbiamo preso il volo comunque, abbiamo vinto al di là del risultato che spesso può non dar merito al nostro palesarci. Il mese del mio compleanno è sempre stranamente confuso. Forse perchè sapere di compiere gli anni mi incute una strana sensazione di ansia, quasi come se temessi di crescere. Ma per quest'anno lo intitolerei "E' solo un anno in più, ma le esperienze sono state ancor di più". Non ho creduto che compiere 23 anni fosse sintomo di maggiore saggezza o maturità. Forse le posseggo nonostante la mia famiglia sia sempre dietro l'angolo a ricordarmi il contrario, forse queste doti non mi appartengono, probabilmente nemmeno le desidero. Ho avvertito soltanto la sensazione di essere diventata più umana rispetto l'anno precedente, ecco perchè forse il mese di marzo merita un secondo titolo: "Umanità". Ad aprile mi sono sentita stranamente leggera, il suo titolo inevitabilmente sarà : "Libertà, scoperte, viaggi ". Una sensazione quest'ultima che ha dato il titolo al mese di maggio, che intitolerei appunto "Leggerezza". Una leggerezza che a giugno mi ha trascinato in qualcosa di sorprendentemente inaspettato, a cui darei il titolo "Apri il cuore, provaci ancora". E' come se dopo quasi sei mesi la vita mi mettesse ancora una volta alla prova, nonostante la diversità delle circostanze. Mi sono tuffata, ho vinto le paure, ho idealizzato qualcosa che in realtà non c'era, ho sperimentato circostanze che da tanto non provavo, non cercavo, nè forse desideravo. Ci ho provato, non ci sono riuscita, di nuovo. Per giorni ho avvertito il peso dell'ombra del fallimento, di nuovo, ingiustamente. Ma poi senza alcun rimpianto, con un cuore che attendeva solamente di riempirsi e traboccare di me stessa e non più per volontà di qualcun'altro, ho spiccato il volo, mi sono data la possibilità ricrearmi, di vincere ancora, credendo che quando forse qualcosa va perso si vince sempre qualcosa di molto più forte ed importante. A luglio sono partita per Londra con un biglietto di sola andata ed una valigia non troppo piena che avrei voluto riempire strada facendo, una valigia che effettivamente al ritorno pesava di 60 vite, o di molte di più. Avevo perso, non fallito, capita, ma alla fine avevo anche stravinto, così tanto che i mesi di luglio agosto e parte di settembre hanno tanti, troppi titoli. Si intitoleranno: basta, ancora, ci provo, mi tuffo, emozioni, perdite, conquiste, scoperte di persone incredibilmente sorprendenti, scoperta di una me stessa che in fondo non è poi così debole, solitudine, divertimento, leggerezza, grasse risate, lacrime, non ce la faccio, ce la posso fare, andrà meglio la prossima volta, speranze, non voglio perdere nessuno, ho perso tutti e me ne infischio, ciò che conta non ci lascia mai, i cervelli vuoti sono sempre quelli che danno più aria alla bocca, lascia che le critiche ti scivolino addosso rendendoti solo più luminosa, il rintocco del Big Ben che ti dice che il tuo cuore ancora batte, un cuore che batte troppo forte, un cuore che può fermarsi ma non sarà mai la fine, io ci sono e basta questo, le anime perdute sono destinate ad incontrarsi, pazzie, nottate che si riempiono di silenzi, parole come versi delle poesie più belle, il lavoro è duro ma tu intanto sei leggera come una piuma, abbracci che riscaldano, persone idiote e persone tremendamente affascinanti, specialità, addii che speri siano arrivederci. Quante vite ci sono in tutti questi titoli? Forse infinite, perchè infinita mi ci sono sentita anch'io quando mi sono tuffata nel tunnel dell'incertezza da sola, recuperando da sola o grazie a qualcuno la certezza di ciò che sono, il destino che per me vorrei costruire, ciò che in fondo da sempre voglio essere ma che tentennavo ad esprimere. I mesi di ottobre e novembre sono stati però incredibilmente pesanti. "Pesantezza, malinconia, nostalgia, senso del dovere" saranno i loro titoli. Ma stavolta aggiungerei un sottotitolo: "nei periodi più bui ascolta il tuo cuore ed assecondalo". Ho assecondato le richieste del cuore che mi diceva di alleggerirlo dal peso del dovere con un velato ma profondo piacere. Questo piacere ha preso il nome di "Flying Swallow", che non è soltanto il titolo di un blog. Flying Swallow è una passione eterna che aspettava di rifiorire come boccioli in primavera, per lungo tempo seppelliti dalla neve di rigidi inverni, è esprimersi nel modo per me più congeniale, è amore, sono in fondo semplicemente io. E me ne accorgo ogni volta che rileggo qualcosa che ho scritto, specchio di uno stato d'animo del momento, di quello che in quel momento mi andava di raccontare parlando talvolta di qualcosa di esteriore, improntato sul mio punto di vista, in grado di racchiudere sempre, in ogni parola anche parte di me. Sembrerà per molti un'assurdità, ma in tanti momenti in cui avrei voluto dire basta, non ce la faccio, sono stanca di tutto è stato proprio questo che mi ha dato la spinta per dire invece ancora, ce la posso fare, sono stanca di tutto ma non posso esserlo di me stessa. Tutto questo mi ha condotto al mese di dicembre con qualche consapevolezza in più su me stessa, con un pizzico di coraggio e profonda volontà senza le quali non avrei finito gli esami, giungendo ad un traguardo in fondo non completamente ultimato, in fondo piccolo, ma per me immenso, perchè è stata la conferma che quando pensi che tutto stia per crollare da un momento all'altro, se tu ci sei, se tu non crolli insieme al resto, sei in grado di reggere anche una montagna che frana. "Traguardo" è il titolo del mese di dicembre. Per la prima volta sono triste che quest'anno sia già quasi terminato, perchè voltandomi mi sono accorta di aver lasciato alle spalle troppa vita, ma al contempo spero di ripercorrere i prossimi dodici mesi che verranno nella stessa maniera, lasciando che sia, cogliendo le possibilità che la vita regala ogni giorno di cui a volte preferiamo ingiustamente farne meno o nemmeno ce ne accorgiamo, sperando di imparare ancora e di avere sempre nuove conferme, sperando di avere ancora una volta numerose ricchissime vite. Ed è questo l'augurio che faccio a tutti voi lettori. E' oltremodo scontato augurare amore, pace e serenità. E' bello ma irreale. La vita può esserlo come non. Credo che in 365 giorni sia impossibile essere sempre felici, innamorati, con pace e serenità nei cuori. La vita spesso ti porta a rifiorire solo se prima ti sarai appassito. Il mio non è un augurio cinico, ma vuole essere un augurio vero, reale, semplice, autentico, come la strada che ho scelto di seguire. Allora il mio augurio più sincero non può essere che augurare 12 vite, o anche molte di più, anche 365 vite se necessario, vite la cui prerogativa è una soltanto: esserci con tutto ciò che si è, nel bene e nel male. Svegliarsi sempre come fosse un nuovo inizio e addormentarsi come fosse sempre la fine, vivere nella semplicità dei gesti quotidiani, non disdegnando gesti estremi, nutrirsi di tutto ciò che troverete lungo il tragitto, cogliere una forma di vita ovunque e con chiunque vi troviate, calpestare erba fresca senza mai dimenticare il ruvido asfalto delle strade già percorse, non aver timore di rimanere delusi, di piangere, di sbattere porte, di urlare, di rischiare, di tuffarsi in ciò che è incerto, di dar voce ai propri sogni senza lasciare che sia la notte ad alimentarli ed il mattino seguente a portarli via, amare nonostante non si abbia un compagno o una compagna che ci renda il letto più caldo, amare significa anche ascoltare ciò che il cuore vorrà sussurrarci, riuscire a contemplare il silenzio, riuscire ad intravedere una timida luce nonostante il buio, e questo è anzitutto il risultato di amarsi, cogliendo spesso nelle proprie fragilità il proprio punto di forza. 
Solo a fine anno, al momento del mio puntuale bilancio credo che in fondo io mi sia ubriacata della sostanza più letale di tutte: mi sono ubriacata di vita ed è stato semplicemente meraviglioso, soprattutto strappare sorrisi dietro lacrime di malinconia, strappare un ancora, ce la posso fare da un basta, non potrò mai farcela. Allora è questo che auguro a voi tutti: UBRIACATEVI DI VITA, non di una soltanto, ma di tante, troppe, infinite vite.

lunedì 24 dicembre 2012

... Si deve pur sempre credere in qualcosa.

Credo negli incontri, in quell'inatteso perdersi per poi ritrovarsi di persone destinate semplicemente ad intrecciare i fili delle loro vite. Credo in spalle che si scontrano, in occhi che si incrociano, in parole che si mischiano in maniera caotica, perchè a me talvolta è accaduto di aver toccato delle spalle per caso che sono poi in seguito inaspettatamente divenute il mio sostegno, di aver incrociato degli occhi la cui luce si è presto tramutata in un faro durante le notti più buie, parole confuse che divenivano via via sempre più nitide e che silenziosamente prendevano la strada del cuore. Credo che nulla accada per caso e che ogni persona incrociata lungo il sentiero della vita serva a trasmetterci qualcosa, che si tratti di una semplice informazione o di un qualcosa che solo col tempo fungerà da insegnamento di vita. Persone incrociate per caso, anche solo per pochi minuti, che sarebbero stati solo dei semplici passanti se il destino non si fosse offerto di donarci una seconda possibilità, o anche una terza, ricongiungendo le nostre strade, rendendo spesso quel cammino sorprendentemente meraviglioso. Credo negli incontri come nei luoghi silenziosi, come quei caffè in cui non entra nessuno in giornate piovose dove gli schizzi di pioggia sui vetri sembrano comporre dei dipinti ad olio, non permettendoti di osservare cosa c'è fuori l'ingresso. E' come se entrassi e ti riparassi nell'attesa di qualcuno o semplicemente per startene seduto ad un tavolino nell'angolo a leggere un libro mentre hai davanti una tazza di thea fumante che attendi si raffreddi, nell'attesa di nessuno in particolare, potendo restare lì per ore nel tuo nostalgico quanto poetico silenzio, nell'attesa forse di recuperare un po' di te o di far sedere al tavolo qualcuno che riuscirà come te a contemplare il silenzio ove poter cogliere risposte, o penetrarti con lo sguardo mentre ti rivolge domande e alle tue risposte starle ad ascoltare pazientemente. 
Credo che gli incontri veri si svolgano qui. In posti dove non c'è musica assordante, non affollati, dove la gente entra per desiderio di starsene in silenzio con se stesso o con qualcuno che avrà naturalmente la premura di stare ad ascoltare. Un po' come ripararsi dalla pioggia per rinchiudersi in un ambiente ovattato.
Ma purtroppo non tutti ci credono e allora sprecano occasioni. Non tutti credono in occhi che avrai incrociato per qualche minuto per poi ritrovarli dopo giorni, mesi o anni fuori la tua porta mentre ti chiedono di entrare. Non tutti sanno che la vita regala possibilità, che saremo noi a dover sfruttare una volta individuate. Certe persone lasciano che la vita gli passi accanto senza mai afferrarla per la gola, capovolgerla e racimolare ciò che contiene. Alla fine non tutti gli incontri saranno frutto del destino, nè tutti i caffè vuoti saranno il luogo perfetto per conversare o contemplare un religioso silenzio. Ho trovato spesso banali degli incontri al punto da sperare di perderli e non ritrovarli mai più, mi sono ancor più spesso trovata a sedere al tavolo e fingere di ascoltare discorsi poco stimolanti, che non reputavo interessanti, non introducendomi mai ma standomene lì, in quel silenzio che in certe occasioni mi ha creato una morsa allo stomaco, mi ha fatto quasi dimenticare di avere ossigeno nei polmoni. Ma nel dubbio credo che tutti lo siano, in modo da non rischiare che le infinite possibilità offerte dalla vita mi passino accanto senza esser colte, perchè è sempre meglio un'amara delusione che un irrecuperabile rimpianto. 
Allora ci credo, forse perchè in fondo in questa vita si deve pur sempre credere in qualcosa.