sabato 21 settembre 2013

Learning and teaching.

C'è sempre qualcuno che mi ripete che è la vita cercando a suo modo di impartirne lezioni ed io forse ai loro occhi appaio come una studente ribelle che non vuole mai imparare. In realtà è che forse semplicemente non avevo chiesto di imparare da loro. In realtà forse sono semplicemente stanca di apprendere lezioni già sentite, che se un tempo mi trafiggevano come spine, ora quasi non le sento più, e non so quale delle due sensazioni sia la peggiore. Ma ciò che più mi stanca è il valore che ostinatamente tento di dare loro. Sarà forse vero che sono una studente ribelle, ma forse devo imparare a considerare anche l'eventualità opposta: che tutti questi si pongano forse come insegnanti senza possederne alcun titolo.
Perché forse nella vita si sceglie chi essere e talvolta i ruoli si confondono. Ma non sarà colpa di chi si porrà come insegnante pur potendo a mala pena assumere il ruolo di studente somaro. Sarà colpa di chi avrà tante cose da insegnare ma per colpa delle sue insicurezze le terrà per sé. Sarà colpa di chi si sentirà sempre su di un gradino inferiore, di chi pur potendo insegnare qualcosa si siederà tra i banchi e pur ascoltando lezioni sbagliate resterà in silenzio, talvolta auto-convincendosi dell'opposta realtà.
Ma la verità è che desidero essere insegnante nella stessa misura in cui io desideri mantenermi studente, come facce della stessa medaglia, imprescindibili. Voglio dare e ricevere, in un sano equilibrio che è umano. Non è possibile essere una cosa sola, per sé ma soprattutto quando ci si relaziona. E' questo il primo insegnamento che sento di dare, anche se non so bene da chi l'abbia appreso, forse da chi non mi ha mai dato nulla mentre io ci speravo.

There is always someone who tells me that's life trying to give lessons and maybe in their eyes I look like a rebel student who never wants to learn. But maybe I just did not ask to learn from them. Maybe I'm just tired of learning lessons already heard, that if one time pierced me as thorns, now almost do not feel them anymore, and I don't know which of the two sensations is worse. But what makes me tired is the value that stubbornly I try to give them. It could be true that I'm a rebel student, but maybe I have to learn to consider also the opposite possibility: that all of these ones will show themselves perhaps as teachers without possessing any title.
Because maybe in your life you choose who to be, and the roles are sometimes confused. But it will be the fault of those ones who will arise as teacher while barely being able to assume the role of dunce student. It will be the fault of those ones who have much to teach but because of his insecurities will keep them for him/herself. It will be the fault of those ones who always feel on a lower level, who although may teach something will sit in the classroom and even if they will listen to wrong lessons, they'll remain silent, sometimes self-evident to the opposite reality.
But the truth is that I want to be a teacher in the same measure that I want to keep the role of student, as the faces of the same coin, essential. I want to give and receive, in a healthy balance that is human. We can't be just one thing for ourselves but especially when we relate. And this is the first lesson that I feel to give, even if I don't know from who I have learned, perhaps from those ones who don't ever give me anything while I hoped it.

giovedì 19 settembre 2013

Wish of stopping.

Oggi sono entrata in un caffè vicino alla stazione della metro di Goodge Street. Ho bevuto una cioccolata calda seduta al tavolo, in cui ho tentato di affogare parte dei pensieri riscaldando intanto anche un po' me stessa, guardando fuori gli schizzi di pioggia che delicatamente bagnavano i vetri dei finestroni. Guardavo fuori perché aspettavo che la porta si aprisse perché aspettavo qualcuno. Ma quel qualcuno era in ritardo e alla fine non è arrivato. Probabilmente non ero l'unica ad aspettare. C'era una donna accanto a me il cui sguardo era rivolto alla porta ogni qual volta ne sentiva il cigolio. Quando sono uscita dal caffè non pioveva già più, e ho sostato per qualche minuto su di una panchina in una piazzola per fumare una sigaretta, bruciando il resto dei pensieri insieme alla cenere che cadeva giù e nemmeno l'avvertivo. Oggi avevo bisogno di fermarmi in una città che corre veloce, dove rapidi sono i rapporti, i sentimenti, le gioie, le opinioni, e forse per fortuna anche i dolori. Volevo afferrare il mio tempo, per forse farci entrare dentro soltanto ciò che occorre ed ancora una volta la vita mi ha fatto capire che devo metterci soltanto me stessa. E' come se la vita mi abbia fatto capire che non devo aspettare niente e nessuno, ma soltanto camminare e afferrare ciò che trovo per strada, sostando solo quanto basta, quel poco che non mi faccia mai sentire meno degli altri, quel poco che non mi faccia mai sentire colpevole, quel che occorre per sentirmi sempre integra ed in pace con ciò sento. Mi ha fatto capire che i buoni non vincono mai perché non hanno forse bisogno di vincere nulla. Non esiste nessuna partita, non c'è bisogno di dimostrare nulla, perché chi vorrà lo capirà da solo e sarà quello il nostro bottino. E se nessuno capirà rimarremo sempre noi con la nostra nobiltà d'animo che sarà più importante di qualsiasi uomo o donna in cui saremo maldestramente inciampati.
Dopo quasi due mesi è successo anche a me: sono caduta nel tunnel delle insicurezze e ho pianto.
Dopo quasi due mesi è successo anche a me: desideravo profondità, serietà, intimità. Volevo calore, quello umano, quello fatto di frasi di rassicurazione e di abbracci forti che ti fanno mancare il fiato, quelli che in silenzio ti dicono "ti voglio bene".
Ma non ho trovato nulla di tutto questo da nessuno, allora l'ho dovuto creare. Ho cercato il calore in una cioccolata bollente, ma non era abbastanza, allora ho comprato un piumone, delle lenzuola, dei calzini di spugna e delle babbucce a forma di koala. Ma non era abbastanza, allora ho preparato una zuppa calda per cena, fin quando ho capito che avrei potuto continuare all'infinito, non sarebbe mai stato abbastanza se non mi fossi guardata allo specchio ripetendo tra me e me che io posso essere abbastanza, io posso essere tutto quello che c'è nella mia testa, ma soprattutto nel cuore.


Today I've gone into a café near Goodge Street tube station. I've drunk hot chocolate sitting at the table , in which I attempted to drown part of my thoughts, while warming a bit myself too, looking out the splashes of rain that gently bathed the glass of the windows. I looked out because I was waiting that the door opened up because I was waiting for someone. But "someone" was late and in the end he hasn't arrived. Probably I was not the only one waiting. There was a woman next to me whose eyes were turned to the door whenever she heard the creak . When I left the coffee it wasn't raining, and I paused for a few minutes on a bench on a pitch for a cigarette , burning the rest of the thoughts with the ashes which fell down even if I didin't feel anything. Today I've needed to stop myself in a town that runs fast, where the relationships , feelings , joys , opinions, and perhaps fortunately even the pain are quick. I wanted to grab my time, in order to insert into just what you need , and once again life has made me realize that I have to put only myself. It's like if life has made me realize that I do not have to wait for anything or anyone, but only walk and grab what I find on the street, pausing only long enough , the little that I don't ever make me feel less of others, or guilty, the little that you always need to feel whole and in peace with what I feel . It made me realize that the good guys never win because they don't need to win anything. There is no game , no need to prove anything , because who wants really will do it alone and will understand what our loot. And if no one will understand, we will always be with our nobility that will be more important than any man or woman in whom we stumbled awkwardly .
Almost two months after it happened to me: I felt into the tunnel of insecurities and I cried.
Almost two months after it happened to me: I wanted depth , seriousness and intimacy. I wanted warmth, that human one, which consists of sentences for reassurance and strong hugs that make you short of breath , those which silently tell you " I love you" .
But I didn't find any of this from anyone, then I had to create. I found out the warm in a hot chocolate , but it was not enough, then I bought a duvet, bed linen , terry socks and slippers in the shape of koalas. But it was not enough, then I made a hot soup for dinner , until I realized that I could go on forever , it would never be enough if I didn't look myself in the mirror repeating to myself that I can be enough, I can be everything which is in my mind, firstly in my heart.

mercoledì 11 settembre 2013

Amici miei.

Qualcuno può credere che sia tutto semplice: alzarsi una mattina, prendere i bagagli e partire. Abbracciare i propri cari e sussurrare come di consueto "Torno presto". E' semplice, è pazzo, è bello, in fondo vivi in una delle città più ambite d'Europa, dove sembra che per le mancanze non ci sia spazio. In realtà non ce ne sarebbe ma tu ce le fai stare comunque, in un angolo impolverato che ad ogni momento utile rispolveri per sentire il battito del tuo cuore più forte, come se ti stesse urlando "casa".
Ma nonostante tutto a casa non vuoi tornare. E non perchè non avverta mancanze, non ami abbastanza chi a casa intanto mi aspetta, è proprio questo il punto: l'amore per gli altri non è mai stato equiparabile a quello per me stessa. Amavo sempre troppo gli altri, meno me stessa, rilegandomi in un angolo della casa nascosta tra cose che credevo dovessero avere la priorità anche su me stessa. Ed ora sono in bilico tra ciò che vorrei dalla mia vita e ciò che ho. Ma qualcuno mi ha spesso ripetuto che a volte nella vita bisogna essere egoisti, ed io vorrei imparare ad esserlo per la mia porzione di felicità, quella che sogno, per cui lotto tutti i giorni, quella che forse oggi mi spetta.
Qualcuno si aspetta forse di trovarmi a breve sull'uscio della porta, con i miei bagagli svuotati di ogni sogno, dalle cui cerniere si vedono cadere sul pavimento goccioloni di passione che dovrei con premura raccogliere in un bicchiere per continuare la mia vita di sempre, con voi che siete la mia casa, il mio cuore, la fetta di vita più importante. Mi dispiace amici miei, ma questa volta non lo farò. Questa volta indietro non guardo più. Questa volta voglio credere che qualcosa di straordinario sia ancora possibile, perché se pensiamo cose straordinarie e ci muoviamo per realizzarle, i nostri sogni non saranno poi così distanti dalla realtà. E solo quando tutte le possibilità saranno esaurite, solo quando realizzerò che per me non c'è spazio se non in soffitta tra gli oggetti dimenticati, solo quando avvertirò che questa città si è impossessata della mia anima riconsegnandomi briciole, rendendosi ladra dei miei sogni, succhiando passione giorno dopo giorno, solo allora lascerò tutto. Solo allora farò un passo più lungo per tornare, ma mai per ripartire dallo stesso punto in cui ho lasciato brandelli di cuore e castelli di sabbia, perchè quelli non esistono più. Ma fino ad allora voglio sognare. Voglio svegliarmi la mattina per andare a lavorare per pagare l'affitto e pagare la scuola. Fino ad allora voglio tornare a casa sfinita ma felice, perché i progetti di certo non sono questi attuali ma è con il sacrificio che i sogni si realizzano, con il sudore che è umano, vero, che solo alla fine farà sorridere, forse. Fino ad allora voglio sentirmi libera di decidere e cercare di raggiungere ciò che desidero compiendo un passo alla volta, per varcare l'uscio di un edificio che per tanto tempo ho visto su internet solo attraverso lo schermo del mio pc. Fino ad allora vorrei scrivere di notte, l'unico momento della giornata in cui mi fermo ed i pensieri prendono vita sulla poltrona blu della mia living room, con il rumore della lavatrice in sottofondo che sa di certo ben poco della melodia della vié en rose ma mi piace lo stesso, perché mi fa pensare alla vita quotidiana che è pazienza e fatica, quella che ti fa diventare grande. Fino ad allora vorrei continuare a perdermi nelle persone come ho sempre fatto, mantenendo però integra me stessa, ciò che in fondo conta più di tutto, così da poter aprire un nuovo capitolo della mia vita che avrà il mio nome a caratteri cubitali.

martedì 3 settembre 2013

Costruire.

Sono a Londra da circa 37 giorni, ottocentonovanta ore, 53280 minuti.
Giorni allegri altri più tristi in cui la malinconia ha preso il sopravvento. Giorni in cui sentivo tutti distanti, altri in cui è bastata una chiacchierata per sentire il calore delle persone a me più care. Giorni stressanti, altri totalmente rilassanti. Giorni in cui si usciva per una birra in centro ripromettendosi di tornare a casa presto ma misteriosamente si rincasava alle otto del mattino per poi trovarsi a lavoro a mezzogiorno. Giorni in cui i pensieri mi hanno divorato, altri in cui man mano, da sola, ho imparato a scioglierli e a sentirmi libera e leggera. Giorni in cui mi sono lasciata andare, in cui la follia più arguta ne diveniva il motore. Giorni in cui avrei desiderato abbracci, di quelli forti che ti fanno mancare il respiro, di quelli che puoi ricevere solo da chi è parte del tuo cuore, da chi per te si chiamerà per sempre "Casa" ovunque tu sia, di quelli che puoi forse ricevere solo da chi conosce il come ed il perché tu sia finita lì, di nuovo, in quella parte del mondo in cui tutto cambia rapidamente nonostante l'aria che si respiri sia in fondo sempre la stessa, perché in fondo conoscono il tuo obiettivo forse: cambiare pur restando te stessa, o meglio forse, cambiare cercando di essere finalmente te stessa. Giorni di caos, fumi e ceneri, altri in cui ho spazzato via le ceneri per seminare nuove idee che mi avrebbero portato verso strade diverse, verso forse ciò che ho da sempre desiderato, cercando di mettere ordine e partorendo un pensiero: tutto è possibile, se solo lo si vuole abbastanza, se solo ci si crede.
Allora forse non importa il come, il quando ed il perché delle cose.
Non importa il silenzio alla domanda "cosa farai?quando torni?"
Non conta il restare o andare via.
Non conta il programmare strade "obbligate" dal cervello ma "vietate" dal cuore.
Contano le possibilità che il caso può offrire, ma molto più spesso quelle che noi dovremmo costruire, pagando talvolta il prezzo del sacrificio e della solitudine.
Conta il sentirsi pienamente se stessi, pagando talvolta il prezzo del coraggio di lasciare andare per guadagnarne la freschezza del vento, la libertà di scelta.
Così forse si può provare ad essere felici: demolisco e dal niente costruisco.


martedì 27 agosto 2013

Una torta e due cucchiaini.

L'altro giorno ero nel ristorante dove lavoro quando sono stata affascinata da una coppia che si stringeva le mani con invidiabile tenerezza. La stessa dopo un po' mi ha ordinato una cheesecake e la donna mi ha chiesto di portare loro due cucchiaini. Non si tratta di aggiungere un piatto in cui ciascuno riporrà il proprio pezzo, ma di attingere dalla stessa fonte lasciandola allo stesso posto, attraverso due canali di diversa provenienza, sebbene si scopriranno in fondo uguali. Era da un po' che non avvertivo quel bisogno, offuscato forse dal fascino di una città che corre velocemente, disturbato dal rumore di piatti e bicchieri in cui la routine si insinua silenziosamente: condividere con qualcuno la stessa cosa, lasciandola al centro, ad una equa distanza affinché la si possa osservare con le giuste lenti, senza necessariamente provarne a trascinare una metà dal proprio lato. Allora forse è vero che si può andare con tutti senza mai stare per davvero con qualcuno. Si possono condividere letti e lenzuola ma alzarsi poco riposati comunque, mai in fondo completi. La parola "insieme" riusciremo a sperimentarla soltanto poche volte nella nostra vita. Perché insieme significa mettere al centro una parte di se e lasciare che l'altro ne attinga senza riserve, lasciando che l'altro faccia lo stesso con noi. Significa attingere da una stessa fonte, allo stesso momento, con gli stessi strumenti, non dividendo ciò che si ha, ma lasciandolo al centro, in quel punto di sano equilibrio in cui due corpi si attrarranno e due anime si scioglieranno. 
Ed è questo forse che mi manca. Una torta per due servita al centro di un tavolo, cui attingere allungando il braccio, lasciando che la torta divenga sempre più piccola finché rimarrà quell'ultimo pezzo per cui ciascuno dirà "Finiscila tu". Ma quell'ultimo pezzo resterà lì, al centro del tavolo, perché sarà abbastanza, ci sentiremo già saziati. Ed è forse questo quello che mi manca, ciò che rinnego da sempre, che in fondo sono stanca di cercare, e troppo cieca per accorgermene quando, per caso, mi si è presentato.
A volte mi è capitato che la torta fosse lasciata al centro senza che nessuno cominciasse a mangiarla, altre che chi avevo di fronte ne mangiasse una porzione esageratamente più grande della mia, altre ancora mi sono trovata a mangiarla da sola e avrei potuto mangiarne a quintali, perché in fondo, non sarei mai stata sazia.

domenica 18 agosto 2013

Pensieri in metropolitana.

Stamattina ero in metropolitana quando ad un certo punto rimango incantata dal sorriso di un uomo che chiede cortesemente ad un passante di scattare una fotografia, avvicinando a se la moglie in un caloroso abbraccio. Ed è stato in quel momento che ho capito che questa giornata avrebbe preso una piega diversa. Un giorno in fondo come gli altri, in cui però ti trovi a mischiare la tua felicità che è fresca e leggera, ad una malinconia che risulta a tratti pesante ed umida, come quando ti bagni e ti sei appiccicosa.
E ho pensato che avrei voluto essere guardata anche io con quegli occhi pieni di amore con cui quell'uomo guardava sua moglie, avrei anch'io desiderato che degli occhi con la loro luce mi offuscassero la vista. O forse quello di cui ho avvertito la mancanza è stato sentire l'odore della pelle di chi ti stringe a se sulla tua, l'essere stretta, mai troppo, ma quanto in fondo basta per sentirsi protetti.
Stamattina, alla visione di quell'immagine, ho avvertito un magone che ho cercato di colmare quasi a fine giornata con l'acquisto di cosmetici a metà prezzo. Ma oggi forse era uno di quei giorni in cui ti svegli e desidereresti essere abbracciata, sentire una voce amica tra le tue mille cose da fare. 
O forse avrei voluto essere semplicemente come quell'uomo: riuscire a stringere ciò a cui tengo e lasciare andare il superfluo, nonostante spesso mi capiti di fare esattamente il contrario. Riuscire a sorridere all'amore senza timore. Riuscire a trasmettere luce viva che non si spegne, perché non è riflessa ma ci appartiene.

Quell'uomo mi ha fatto pensare anche alle persone care che adesso mi sono lontane a cui non so se debba o meno spiegazioni, ma ciò che posso dire è soltanto che sto bene, che i pensieri sono tanti e confusi come un gomitolo di lana i cui fili si sciolgono a fatica, che cerco di costruire anche se non so ancora bene cosa sto facendo, a volte ho pianto, altre ho starnazzato come un'oca per l'eccessiva contentezza. Vivo tra la routine e la follia, tra un up e un down, tra super down e super up. Vivo sognando ad occhi aperti, e quando li chiudo cerco di pensare a cosa potrò vivere. Cerco soltanto di essere felice, anche se oggi volevo degli occhi che mi guardassero, delle braccia che mi tenessero strette, un sorriso che mi riscaldasse.

giovedì 15 agosto 2013

Brave ragazze.

Io sono stata per tutti sempre la "brava ragazza", quella personcina ingenua a cui rifilare al momento utile la frase "Non voglio prenderti in giro". Quella con cui si parte già a carte scoperte per timore di deludere, o perché il mistero sa di un proibito che incute timore. Non ho mai capito che meccanismo scatti né perché accade costantemente, eppure leggo copioni già scritti, guardo vecchie pellicole dalla trama poco originale e dal finale scontato, che in fondo non emozionano non tanto perché sembra sia già nota la fine, ma proprio perché sin dal principio il contenuto appare scarno, senza colpi di scena che ne invertirebbero la traiettoria. Eppure anche le "brave ragazze", come voi uomini comunemente definite una certa categoria di donne, hanno bisogno di leggerezza che porti a non pensare al domani ma al vivere solo oggi. Anche loro necessitano di bruciarsi e spegnersi come fiammiferi, anche soltanto una volta, o più di una. Forse loro non hanno bisogno di leggere copioni già scritti da qualcun'altro, né di guardare vecchie pellicole scontate, ma di scrivere storie, ed è forse proprio attraverso questa lenta concatenazione di parole che prende forma grazie al riflusso di pensieri confusi che pian piano fuoriescono come cascate, che le loro storie si proietteranno su di uno schermo, storie che lasceranno a bocca aperta per l'originalità del contenuto, e per la bellezza che sarà trasmessa. E non importa se il finale non sarà il colpo di scena che tutti si sarebbero aspettati, la storia piacerà lo stesso, perché sarà diversa, perché nel corso della sua visione avrà emozionato.
Ed è questo che voglio per me: emozioni. Persone che sono come una boccata d'aria fresca, che incantano per il loro modo di vivere la vita come se un domani non fosse alle porte, quelle che lasciano dietro di sé una scia che profuma della libertà più disincantata. Persone che non resteranno inermi a guadare te che scrivi, ma che forse lo faranno con te, perché avranno la penna stracolma di inchiostro, ed occhi in grado di guardare oltre, senza pensare a come andrà a finire.
Ma questo modo di vivere non è per tutti, non lo si apprende, non lo si emula da qualcun'altro. E' forse innato. Le matite non saranno mai penne, e soltanto occhi colmi di esperienza saranno in grado di guardare al di là delle proprie tasche, allora il cuore sarà in grado di riempirsi ed il cervello si fermerà dando spazio ad un unico pensiero: vivere per ciò che si sente, come se un domani non ci fosse, perché pensare alla fine impedisce di godere di un inizio, impedisce in fondo di vivere emozionandosi.