domenica 9 febbraio 2014

Una soffitta per biciclette.

Ieri, di ritorno da Amsterdam, ho avvertito la sensazione del tornare a casa dopo una vacanza, dove tutto é pateticamente sempre lo stesso, dove hai un affitto da pagare e spese varie che riducono drasticamente il tuo salario, dove esiste quella famigerata routine che ti costringe ad alzarti dal letto con gli occhi ancora gonfi per iniziare la tua corsa quotidiana contro il tempo, quella che ti fa rimbalzare come una pallina da ping pong tra scuola-lavoro-casa.
Ma la cosa che più mi ha fatto riflettere é stato il pensare, ormai, a Londra come casa. É stato pensarla come una di quelle case antiche, con pareti altissime, con un gran camino che riscalda un salone in cui ci si entra solo nelle grandi occasioni, e lí fa caldo, ma il resto della casa rimane sempre molto fredda, alcune stanze sono addirittura inutilizzate e la soffitta é solo per i ricordi, o per la solitudine. É per quella pace interiore che di tanto in tanto hai bisogno di sentire, lontano dai rumori degli elettrodomestici, dal vociare delle persone, pur mantenendoti in alto, in quella stanza dove nessuno vorrebbe entrare perché é presumibilmente sporca, fredda, piena di cianfrusaglie.
Ma a me le soffitte piacciono, perché c'é sempre una finestra nascosta da cui riesci a vedere tutto dall'alto, con maggior distacco, come se fossi, per un attimo, il padrone di un impero, standotene in silenzio in quel disordine che nasconde un ordine sublime: quello della mente.
Ad Amsterdam mi é sembrato di essere perennemente in una soffitta in cui la tua immaginazione prende forma, in cui una sola finestra non bastava per ammirare tutto, quasi come fosse straordinariamente a cielo aperto. É tutto più piccolo, le strade sono piccole, i marciapiedi sono ancora più piccoli, i coffee shops sono piccoli, i canali che l'attraversano sono piccoli ma tanti, ne puoi scorgere uno ad ogni angolo di strada, come quei sentieri nascosti della tua anima in cui l'acqua scorre timidamente, in una quiete quasi fittizia.
In casa non ho una soffitta, ma ogni tanto mi piace sentirmici, adoro costruirla dentro di me. E non perché io sia un'introversa fuori misura, ma compio un'azione importante: metto ordine.
Ho bisogno della calma di una soffitta per non sentire rumore, perché devo ascoltarmi.
Non tutte le mie domande trovano pronte risposte, ma anche quelle, le lascio scorrere lentamente insieme alle acque dei canali che avranno uno sbocco, o semplicemente cesseranno di esistere quando smetteremo di interrogarci, quando saremo stanchi di vivere di immaginazione, e allora torniamo a casa: quella dove c'é un lavoro che ti permette di pagare una scuola ed un affitto, dove hai costruito castelli di sabbia spazzati via dalle acque di canali che reclamavano verità, quella dove speri di mettere un mattone ogni giorno nonostante spesso la tua pazienza vacilli, quella in cui, in fondo, sei sola.

martedì 4 febbraio 2014

Prendiamoci del tempo.

" Il tempo é vostro nemico! "

É una delle frasi che uno dei docenti della London School of Journalism ha pronunciato nella sua prima lezione. In realtà non mi sono spaventata, anzi, avrei dovuto rispondergli che tra me ed il mio nemico costante non é mai scorso buon sangue. Avrei dovuto parlargli di quanto detesti gli orologi da braccio, ancor di più quelli appesi al muro, quelli che di solito piazzi in cucina, di cui non puoi non accorgerti, perché sono proprio sopra la porta, di quelli belli grandi, quadrati o circolari, che ti ricordano di quanto il tempo stia passando e quanto tu sia in ritardo. O avrei dovuto piuttosto ricordare a me stessa l'ansia inculcatami dai calendari, appesi rigorosamente al muro della cucina, quasi come se la cucina non fosse più un luogo di convivio e di un semplice riconciliarsi dopo una dura giornata, ma un posto in cui ansia e tensione danzano a braccetto, mentre stacchi i fogli di mesi oramai trascorsi, contando i giorni di quelli che ancora più frettolosamente passeranno. O di quanto detesti correre in metro insieme ad una folla impetuosa che non può perdere secondi preziosi. O di quanto detesti che un orologio sia uno dei simboli di una città come Londra, che ogni volta che scocca vorrei dirgli: "Sappiamo che sei lí, non c'é bisogno di far tanto rumore!"
O probabilmente a titolo esplicativo avrei potuto dirgli di quanto riesca a gestire male le scadenze, specialmente degli yogurts che compro in blocco dall'entusiasmo, ma che poi marciscono in frigo seppelliti da frutta e verdura, che in parte dopo un po' vedranno soltanto il fondo del secchio della spazzatura.

Ma forse il problema reale non é in sé il concetto del tempo, di quanto tempo ci resti, di quanto ne potremmo avere. Il punto é di come ad esso ci rapportiamo, sono gli obiettivi che ci poniamo, é il con chi scegliamo di condividerlo. Allora un domani può diventare un oggi, un ieri può essere un mai più, possiamo scegliere di trasformare un oggi in un per sempre. Possiamo scegliere di condividere il nostro tempo con qualcuno che sarà in grado di moltiplicarlo, o di dividerlo, sminuzzarlo, sino a farne poltiglia. Gli obiettivi di ieri possono servire per coltivare i sogni di oggi, che forse diventeranno i traguardi di domani. E niente di ieri é stato sbagliato se non ci sarà logica connessione con la strada che oggi si é scelto di intraprendere. Ieri non c'é più, domani forse non ci sarà, ma oggi ci siamo noi.
E forse questo non ha nulla a che fare con orologi, calendari e yogurts scaduti nel frigorifero.
Dobbiamo scegliere chi essere, considerando la vasta gamma dei colori che la vita ci offre, a qualsiasi condizione, contro ogni impedimento, e lo dobbiamo fare oggi, non ci é chiesto di farlo domani, ieri é oramai troppo lontano. C'é soltanto una cosa che dobbiamo evitare: ciò e chi vive di un passato che scombussola un presente che, per ovvie ragioni, ruba il nostro futuro prima ancora che abbia inizio.

Allora forse adesso sono pronta a riconciliarmi con il tempo, a non commettere ritardi, a fare pace con le scadenze.

I miei yogurts sono peró ancora in frigo in attesa di essere gettati.


giovedì 16 gennaio 2014

Ne vale la pena.

Ci sono giorni in cui mi capita di urlare "Next, please" almeno un centinaio di volte al giorno, duecento, trecento, oramai ne ho perso il conto.
Alla cassa arriva un cliente o anche più di uno che con fare, il più delle volte, non aggraziato ed un tono spesso da cavernicolo ordina da mangiare. Spesso é indeciso, talvolta ha già una lista, ed io sono lí ad aspettarlo, ad accontentarlo.
A volte mi chiedo se ne valga la pena, altre quando arriverà il mio turno, quando ci sarà qualcuno ad urlare "next, please" al mio posto, quando potrò dire la mia, urlando la mia lista di desideri.
Ma altre volte mi chiedo perché me lo chiedo. Perché in fondo ne vale sempre la pena. Ne vale la pena avere il coraggio di lasciare per seguire ciò che in fondo al tuo cuore credi che ti appartenga, ciò che in fondo ti é sempre appartenuto ma che non hai mai avuto il coraggio di urlare sino al momento in cui hai avvertito stanchezza nel seguire schemi preordinati ed inutili cliché da quattro soldi che un po' ti fanno sentire in trappola. Ne vale sempre la pena sacrificarsi per qualcosa che reputi più grande di te, ma non per questo così irraggiungibile se sei lí ad un passo dall'afferrarlo. Ne vale la pena perché l'essenza di vivere é avere coraggio di osare, di cambiare, é sentirsi ogni giorno vincitore di qualcosa. Non é necessariamente l'ottenere o meno qualcosa a far di noi il più grande dei vincitori o dei vinti. É il modo in cui tentiamo di afferrare il nostro bottino. Ed é l'adeguarsi ad un contesto a noi estraneo pur di rimanerci inghiottito sino al collo o dimenticarsi chi si é per compiacere qualcun altro la più grave ed irrimediabile sconfitta che un uomo possa riportare. Una sconfitta già scritta, oserei dire, quasi pianificata.
C'é chi pur non conoscendomi mi scrive, o per vie traverse chiede cosa sto facendo. E penso a quanto sia vuota la loro vita se si interessano alla vita di qualcuno che magari per strada a stento saluterebbero, mentre io sto vivendo la mia e basta.

Oggi c'é il sole, fuori ed anche dentro, perché nonostante la fatica sento che ne vale la pena, sento che il mio turno, qualunque ne sia la forma, sta arrivando. Perché arriva solo quando vivi la tua di vita, quella che senti mentre il vento ti scompiglia i capelli, dentro le ossa, sulla tua pelle, come una delicata brezza mattutina.
Oggi mi sento così: vincitrice di coraggio, ambizione, di granelli di speranza, di mattoni di vita.

martedì 7 gennaio 2014

L'altra parte di me.

Oggi é uno di quei giorni in cui fa freddo, fuori e anche dentro. Sono stata svegliata da schizzi di pioggia che battevano sui vetri come il rumore di tamburi. Mi piace alzarmi dal letto quando piove, immaginare che quegli schizzi di pioggia siano come pennelli che si intingono in colori ad olio per realizzare un dipinto. Ma stamattina non ho visto nulla di tutto questo: solo rumore e confusione, anche nel modo in cui gli schizzi di pioggia scorrevano sui vetri. Fa sempre molto freddo nel silenzio di una stanza che sembra vuota nonostante si stia in due, in cui quando si sceglie di rompere il silenzio lo si fa in modo sgraziato, o almeno non nella maniera più appropriata.
Ma ad un certo punto é uscito il sole, tiepido, timido, tra cupi nubi che lo accerchiavano, tentando di nasconderlo. Allora ho pensato che oggi é così, domani andrà meglio. Ma forse andrà meglio quando riuscirò a domare quella che chiamo "l'altra parte di me". Quella che si sente sotto pressione per futilità, quella che non gode il presente perché pensa al futuro, che per la sua incertezza le fa spesso paura. Quella che preferisce sbattere i piedi per terra, proferire parola per dire la propria, anziché fare un passo indietro e dare qualche carezza in più. Quella che aspetta l'inaspettato, quella che crede nell'incredibile, quella che ancora, alla sua età, piange quando non si sente capita.
Sono come due poli, il bianco e il nero: il bianco che con la sua luce prova a ritagliarsi uno spazio, come il sole tra nuvole di pioggia, e il nero che incombe e che come di consueto lo neutralizza, come quando ad un certo punto comincia a piovere nonostante guardando il cielo non l'avessi previsto.
Una parte che esercita pressione, l'altra che chiede di non pensare. Una parte che vorrebbe una palla di cristallo per sapere come andrà a finire, l'altra che chiede di guardare solo a questo momento, quest'ora, questa vita, qui ed adesso. Una parte che urla, l'atra che chiede solo attenzione, carezze, amore.

Allora forse non vale la pena aspettare a domani, quando domani può essere adesso.

giovedì 2 gennaio 2014

A me, a voi, buon 2014!

Ho cominciato questo nuovo anno mangiando grappoli d'uva, dicono che qui sia di buon auspicio. Ho alzato gli occhi verso un cielo cupo ma illuminato da fuochi d'artificio che rendevano il London Eye qualcosa di incantevole. Per la prima volta ho lavorato, tanto. Ho servito del pollo a clienti che sembravano così lontani dalle nostre consuete tradizioni, quasi come se fosse un giorno qualunque. Ho sempre festeggiato queste feste in famiglia e a dire il vero non mi è mai sembrato una gran cosa. Minimizzavo il riunirsi attorno ad una tavola con bicchieri, posate e tovaglioli rossi da cui ci si alzava con almeno tre chili in più. Detestavo il pomeriggio del giorno di Natale: mi trasmetteva un'insolita malinconia, simile a quella di un'ordinaria domenica pomeriggio. Detestavo la scontata domanda nei giorni che precedevano il 31 "Cosa fai a Capodanno?" ed io che con aria annoiata rispondevo "Non lo so", per poi organizzarmi all'ultimo minuto perché l'importante era stare insieme. Come insieme alla mia famiglia sono stata per 23 anni a scartare i regali sotto l'albero, aspettando ciascuno il proprio turno. Quest'anno la mia famiglia non c'é stata, né un albero di Natale sotto il quale scartare i regali, nemmeno la consueta tavola imbandita, né la fastidiosissima domanda pre-Capodanno. 
Ed è in queste circostanze che capisci che forse stai crescendo, e crescere significa anche questo: dare valore a ciò che prima sembrava scontato quando scontato forse non lo è mai stato. 
Ma crescere significa anche abituarsi a nuove cose, allargare i propri orizzonti, aprirsi a nuove culture, modi di pensare, tracciare nuovi sentieri che possano farti gioire comunque, nonostante tu conosca sempre dentro di te il reale significato di "casa", pur tentando di costruirne un'altra, o più di una.
Nel mese di dicembre nel posto dove lavoro sono state arrestate tre persone senza regolare permesso di soggiorno, due del Pakistan ed un ragazzo dello Sri Lanka. Quest'ultimo si trova ancora in prigione, con una vita spezzata, i cui pezzi sono appesi ad un filo sottilissimo, in attesa di conoscere il suo futuro, se restare, o più presumibilmente tornare nel suo Paese, dove non esistono leggi né forse morale, dove se sei macchiato lo sarai per la vita, come un portatore di peste, relegato agli ultimi posti di una società già retrograda di per sé.  Ma nonostante tutto, la sua fidanzata va a trovarlo ogni lunedì, con la disperazione negli occhi, ma con un'invidiabile costanza, che fa crescere la sua speranza ogni giorno nonostante l'esito di questa triste storia sia quasi certo, in uno Stato, come questo, in cui leggi di ferro sotterrano ogni traccia di sentimentalismo. Ma lui, in uno dei loro incontri, le ha chiesto: "Se devo andare via, tu vieni con me?" E lei, senza alcuna esitazione, con la voce rotta dal pianto, ma con un amore che avrebbe sciolto anche la legge più ferrea, gli ha detto: "Ovvio, vengo con te!"


Non ho propositi per questo nuovo anno, per voi, né per me stessa, ho sempre odiato le solite liste della spesa che divengono dopo poco carta straccia. 

Ma se dovessi dare nomi a questo nuovo anno vorrei si chiamasse: crescita, costanza, amore.
Vorrei si chiamasse "trasformare-disperazione-in-speranza", "amare-senza-timore-perché-si-é-piú-forti-del-ferro", "pazientare-in-attesa-di-successi-piú-propizi", "porre-un-mattone-su-di-una-superficie-fangosa-per-costruire-una-casa-dalle-pareti-indistruttibili".
Vorrei che quest'anno si coniugasse con il verbo "restare".

Perché é vero che gli anni passano, ma noi possiamo scegliere di restare, sempre, ovunque e con chiunque ci capiti di trovarci.

A voi, a me, buon 2014!


domenica 24 novembre 2013

Come una macchia d'olio.

Mi piacciono le donne che osservano in silenzio, raccogliendo idee e dettagli come fossero semi da cui germogliano fiori di campo, che staranno attente a non calpestare quando i loro piedi saranno inumiditi dall'erba fresca su cui la rugiada si sarà posata di primo mattino.
Mi piacciono le donne che sanno piangere. Sí perché non tutte lo sanno fare. Quando piangi il viso deve essere bagnato, completamente, le lacrime devono corrugare le gote sino al collo. Mi piacciono quelle donne che non si preoccupano se il loro make-up sarà sbavato, perché ogni lacrima avrà pian piano lavato parte del dolore che le avrà ridotte in quello stato, ogni macchia sarà cicatrizzata ovunque sul loro corpo, e sí poi andranno avanti, come sempre.
Mi piacciono le donne che sanno ridere, non quelle che starnazzano, ma quelle che ridono con gli occhi illuminando il viso al punto da eliminare ogni ruga, al punto da rendere perfetta ogni minuziosa imperfezione.
Mi piacciono le donne che non si arrendono, ma che al contempo hanno paura di non farcela, allora non dormono, se ne stanno in silenzio, corrono per sentirsi più veloci di un tempo che le consuma, scrivono, urlano, si mettono a dieta.
Mi piacciono quelle donne che se vogliono qualcosa fanno di tutto per prenderselo, quelle che scendono dal loro piedistallo per rincorrere qualcuno nonostante appaia troppo distante da afferrare.
Mi piacciono le donne che leggono, che si informano, che vanno al cinema o al teatro, che sposano una causa portandola avanti con ineguagliabile passione, quelle che fanno della mente la più irresistibile arma di seduzione, un'arma a doppio taglio, ove l'ultimo taglio sarà sempre riservato a chi avranno di fronte.
Mi piacciono quelle donne che sanno aspettare e che in egual misura saranno capaci di restare, quelle che guardano un aereo decollare sperando non lo faccia, o un treno partire sperando deceleri per dare loro la possibilità di raggiungerlo. Ma mi piacciono quelle donne che non si ingannano, quelle che con egual costanza vanno via quando apprenderanno che per loro non c'é più spazio.
Mi piacciono le donne così, quelle che non hanno bisogno di trasformarsi in uomini per sentirsi più forti, quelle che faranno della loro sensibilità la loro più grande forza, quelle che cadono in tunnel bui e silenziosi per poi risalire gradatamente, senza far troppo rumore. Mi piacciono quelle donne che profumano di libertà, che trasudano passione, verità, umanità.
Mi piacciono le donne che sono così, come un'araba fenice, un caffè caldo di buon mattino, una candela profumata accesa sul comodino, una macchia d'olio, piccola, che si camuffa con la tinta scura dei pantaloni: capaci di risorgere, di reinventare e ricrearsi dalle ceneri, capaci di scottare ma di riscaldare al punto da diventare qualcosa di cui non riuscirai a fare a meno, capaci di inebriare ogni stanza in cui saranno entrate, per restare sempre lí, nascoste ma indelebili, come una macchia d'olio.

martedì 12 novembre 2013

L'amore é una cosa semplice.

Qualcuno una volta, intonando una canzone, ha detto che l'amore é una cosa semplice, e forse é davvero così.
Tra le sue molteplici ed enigmatiche facce la più semplice e delicata é lo stare bene, per questo motivo forse la più importante, perché é con il tempo che ho imparato a capire che sono le cose più semplici quelle più importanti, le uniche forse in grado di dare un valore inestimabile a qualsiasi cosa si tratti.
Allora forse l'amore é soprattutto stare bene. É stare seduti a pensare fermando il tempo in uno spazio piccolo, fatto di pareti tappezzate di posters, di una luce fioca sul comodino e di un letto scomposto, troppo piccolo per contenere emozioni che tingerebbero di rosa tutto ciò che ci circonda. É tremare quando i nostri sogni cedono il passo ad un incubo che ci vedrebbe lontano, é sentirsi al sicuro al nostro risveglio, realizzando che si é ancora lí, nel nostro soffice nido. É sentire il respiro dell'altro nelle nostre orecchie, quello che riesce ad insinuarsi sin dentro la nostra pelle. É trascorrere giornate, ma soprattutto vivere attimi, perché come le cose più semplici, sono questi ad ingigantire intere esistenze, spesso apparentemente grandi anche se fatte di niente, perché mancanti della sostanza primigenia, quella che si può cogliere in un semplice gesto, sguardo o parola, così, semplicemente.
É pianificare perché si ha desiderio di stare insieme, senza mettere paletti, senza paura di affondare nell'enigmatico mare delle domande che non trovano risposta, dei "se-ma-forse-é troppo tardi", perché laddove succedesse, lo si farebbe insieme, ed in due non occorre avere paura.
Molti si interrogano su quale possa essere il celato significato dell'amore, che spesso ci avvolge in un'aurea maledetta senza appiglio alcuno. Ed anche io, dall'alto della mia inesperienza l'ho fatto, e di tanto in tanto inciampo nello stesso errore, ponendomi domande che non trovano risposte, polverizzandosi come sabbia tra le dita trascinata dalla forza del vento.
Ma se é vero che l'amore é una cosa semplice, significa che lo si può anche comprendere nonostante la sua latente imperfezione, lo si può gustare nonostante sia dolce quanto amare, sentire anche nel silenzio e riconoscere nonostante il frastuono, persino annusare come il profumo delle viole che preannunciano l'arrivo della primavera. E forse nella sua forma più fresca e delicata é lo stare insieme, lo stare bene, così, semplicemente.