domenica 31 luglio 2016

Stanno tutti bene

Ho poggiato una tazzina di caffè bollente sul tavolo. 
La musica passava in sequenza, tra Life In Technicolor e Lovers in Japan.
Ho alzato gli occhi verso i due finestroni sul soffitto della cucina. 
Il cielo era pieno di nuvole ma a tratti i raggi di un sole tiepido quanto potente riuscivano a filtrare attraverso i vetri facendomi sentire quasi a casa. Quasi al caldo. Forse al sicuro.

E ho pensato che per tanto tempo ho fatto a meno di quell’altra parte di me.
Quella di cui avevo bisogno per sentirmi così. 
A stretto contatto con quella parte di me che non aveva bisogno di chiedere niente.
Quella che aveva l’esigenza di distruggere tutto in mille pezzi solo per l’innato bisogno di ricostruire tutto da capo. Di ricrearsi, in una forma diversa che avesse quella sostanza cui aveva imparato ad attribuire orecchie sorde ed una bocca che pur muovendo le labbra non riusciva ad emettere alcun suono.
Quella che ha la necessità di sentirsi, prima di sentire.
Che vuole.
Che scoppia dentro. Come dinamite.

Avevo dimenticato di come potesse essere la vita.
Così imprevedibile. 
Così attenta ad incastrare i momenti come pezzi di un puzzle, facendoci spesso sentire impotenti impartendoci lezioni di inerzia quando ci identificherà come figure incapaci di cambiare le cose.
Ma così magnanima nel darci la possibilità di scoprirne di nuovi, da incastrare tra loro a ritmi incostanti, modellandosi con la morbidezza che ci appartiene, quando tra una lezione e l’altra, riusciremo a capire che niente é dato per scontato. Nulla può essere già deciso, solo perché un percorso lineare possa sembrare più comodo da seguire. 

Perché un giorno ti sveglierai accorgendoti di non aver scelto fino in fondo tutto ciò che riempie la tua vita. Almeno non del tutto.

Ma se c’é stato un tempo in cui abbia concepito tutto questo come la più bizzarra delle maledizioni, oggi credo sia stato quasi un dono. Come quelle scatole chiuse che apri e scopri che dentro ci sono tante cose che un tempo ti erano appartenute, che avevi dimenticato, ma che in fondo, se lo vorrai, da quel momento potrebbero far parte di nuovo della tua vita, incrociando, per caso, il tuo stesso destino.

Perché le cose belle sono così. 
Capitano mentre pianificavi la tua vita, come fosse una strada dall’asfalto lineare privo di dossi.
Come fossi un treno in corsa che non potesse permettersi deragliamenti.
Come pezzi di un puzzle che avevi messo insieme perché andava bene così. O perché forse erano gli unici che avevi trovato. E ti eri adattato. A quella strada, a quel vagone, a quella andatura, a quel modo blando di mettere insieme le cose, come fosse una sequenza che lasciavi andare. Che seguiva te, mentre tu, in fondo, ti lasciavi abbindolare.

Poi un giorno comprendi che la tua priorità è di sentire.
Lo scricchiolio delle ruote su di un asfalto impervio.
Il rumore di un treno in corsa. Ma anche i colori dei paesaggi circostanti che attraversa.
L’entusiasmo e la fatica di scoprire tu quali siano i pezzi mancanti e di metterli insieme, come fosse un puzzle che alla fine sia in grado di rappresentare qualcosa di bello, come un dipinto d’olio su tela.

E scopri che le cose belle sono così.
Capiteranno sempre nel momento sbagliato, ma sarà una prova per capire se tu sia diventato uomo o donna abbastanza. 
Per comprendere che i sensi di colpa seguono un processo naturale e fanno bene solo fin quando non ci si annulla.
E spetterà a te la maturità di comprendere che le cose belle vanno prese al volo, così come sono, a dispetto del tempo e di qualsivoglia circostanza.
Altrimenti il tempo le trasforma. 
E non significa che non doveva accadere.
Privarsene é sintomo di incapacità di riempire la vita di cose belle e continuare a vivere nei panni di qualcun altro che avrà sempre lo stesso rimpianto: quello di non averci provato abbastanza.

Sono strane, le cose belle.
Quando senti una morsa allo stomaco, quella sarà una cosa bella.
E ci si dovrà munire di occhi in grado di saper guardare.
Di un cuore nuovo mai pieno abbastanza.
Di un animo pronto a lasciarsi andare nella perlustrazione di orizzonti inesplorati.

E di mani grandi, per saperle raccogliere.

Perché le cose belle sono anche queste: la più meravigliosa delle scoperte di quella parte di te che riesce a sentirsi esattamente così, una cosa bella.
Così che tutti quei pezzi dentro di te, quelli che hai scoperto, o solo riverniciato, rimessi in fila, potranno dirlo: in fondo, stanno tutti bene.

venerdì 22 luglio 2016

Tutto quello che pensiamo non sia

Non so quando sia accaduto che abbia messo un punto fermo alla mia vita, senza riuscire a voltarmi,  a guardare oltre.
Sarebbe stato tutto più semplice, perchè mi sarei imposta di non sentire più nulla.
Né la fatica nel ricominciare, 
 l’entusiasmo di non smettere mai.
I profumi della primavera.
Il caldo tiepido delle giornate di mezz’estate.
Il rumore della pioggia.
E quello dei miei passi su di una distesa di foglie ingiallite.

Poi ho cominciato ad interrogarmi su quanto grande possa essere un nodo. Quanto stretto al punto da resistere per una vita intera. Quanto congeniale al punto da averne uno in ogni parte del corpo per trattenere tutto , per non sentire più niente. Né il battito cardiaco né il suono del tuo respiro.
Ed è stato allora che l’ho capito.

Che stavo riempiendo la mia vita di cose che non volevo, trascurandone altre.
Che stavo lasciando andare cose di cui avrei voluto riempire la mia vita al punto da farla scoppiare.
Cose che forse non mi sarebbero mai appartenute. Cose per cui ho deciso di tacere per paura di possedere. O cose per cui ho deciso di raccontarmi un’altra storia che potesse avere un inizio ed una fine pur perdendomi nel mezzo, senza alcuna ragionevole giustificazione che non fosse quella del lasciarsi andare alle cose belle.
Ma le voglio e le ho volute tutte. Quelle che non potrò avere, quelle che ho lasciato stramazzate sull’asfalto, ed anche quelle che forse non avrò.

Allora non so cosa sia l’amore.
Se guardarsi negli occhi e capirsi al primo battito di ciglia.
Se parlarne come fosse qualcosa che possa essere razionalmente spiegato mentre ci si perde l’uno nello sguardo dell’altro.
Se un bisogno, naturale, di sapere che c’è qualcuno accanto a te.
Se un volersi e non dirselo mai abbastanza.
Se sentire nello stomaco che sia lui o lei la persona che non stavamo cercando, ma che abbiamo trovato così, strada facendo, come una margherita in un campo di girasoli in una giornata di solleone.
Se sia come burro su marmellata.
O come una simbiosi che genera fuochi d’artificio. Dentro e fuori.

Qualsiasi sia la forma che gli si possa attribuire, gli opposti si attrarranno ma saranno i simili a restare insieme. 
Se riusciranno a riconoscersi.
Saranno quelli che si cercheranno anche quando si racconteranno di non volerlo.
E non so bene quali siano gli antidoti per creare tutto questo, ma ne conosco pochi che forse d'ora in poi riuscirò a farmi bastare.
Gli occhi.
Il sorriso.
Le parole, che non dovranno mai bastare.
Quella voce, dentro, che ti dice “lascia che sia”.
Sentirsi.
E sarà questo, forse, mentre ci affatichiamo pensando possa essere fatto d’altro.
Sarà forse tutto quello che pensiamo non sia.
E viviamo, spesso, tutto quello che non è e che non sarà mai.


domenica 17 luglio 2016

Io non ho paura

Ho fatto un gioco con la mia vita.
Le ho chiesto se io fossi abbastanza per lei.
Mi ha detto che non ero abbastanza.
Abbastanza onesta con me stessa.
Abbastanza sicura di me stessa.
Abbastanza audace nelle mie scelte.
Abbastanza serena da poter decidere da che parte remare.
Lei mi ha rivolto la stessa domanda.
Credevo di poterle rispondere a tono, dicendole che in fondo si stava sbagliando.
Invece ho capito che lei aveva ragione, e l'aveva sempre avuta.
Tutte le volte che ho avuto paura di scegliere, lei era lì a conservare il conto e a gettarmelo in faccia al primo momento utile.
Quando sarei stata pronta a non aver paura di leggerlo e a pagarlo. Tutto insieme.
Così ho capito quanto bene potessimo stare. Io e la mia vita.
Se solo l'avessimo saputo prima. Se solo ci fossimo interrogate più spesso. Se avessimo interpretato tutti i dettagli come segni del destino. Se solo non avessimo avuto timore di accoccolarci, l'una nelle braccia dell'altra, per capire che se non ci si ama abbastanza si riesce ad amare poco anche tutto il resto.
E se la paura é un sentimento che appartiene ai deboli, a chi non è in grado di scegliere, a chi non si ama fino in fondo, io scelgo di essere forte per amare ogni singola parte di me.
Perché io non ho paura.
Di scoprirmi donna.
Di sapere di essere forte.
Di conoscere tutte le mie debolezze ed attaccarmele al petto per non aver timore di affrontarle.
Di riconoscere chi sono riflettendomi nello sguardo di qualcun altro.
Io non ho paura.
Di sconfiggere quel male che come un cancro ti priva di sprigionare energia vitale.
Quello che ti priva del tuo essere donna, del riconoscerti forte, ma anche debole. Di conoscerti, in ogni tua sfumatura.
Io non ho paura.
Di ricominciare da un nuovo punto di partenza che abbia come prerogativa la consapevolezza che nella vita si sceglie. 
Questo é l'unico modo che conosco per assumere consapevolezza che possiamo scacciare via ciò che non ci è mai appartenuto fino in fondo, senza per questo sentirci colpevoli.
È l'unico modo che conosco per provare a riempire la propria vita di occhi in cui riusciremo invece a riconoscerci.
É l'unico modo per liberarci del superfluo e seguire la via dell'autenticità.
Quella che ci vede di fronte ad uno specchio in cui saremo in grado di riconoscerci.
Pieni di ferite, ma ancora lì a tifare per noi.
E capiremo che scegliamo ogni cosa. 
Così avremo anche scelto di essere felici.

domenica 10 luglio 2016

1,095 giorni e 26,280 ore, sempre insieme

Sono trascorsi quasi tre anni.
Poco più di 1,095 giorni. Pressappoco 26,280 ore.
Tanti giorni, troppe ore, minuti infiniti, attimi che non si contano.

Mi hai presa ragazza e mi hai fatto diventare una donna, forse.
Mi hai fatto indossare abiti che non mi si addicevano, ma che col tempo sono diventati parte della mia vita. Quella che man mano ho voluto costruire, insieme a te.
Mi hai fatto sentire piccola, inesperta, incosciente. Come tuffarsi nell’oceano e pretendere che qualcuno ti dia una mano per insegnarti a nuotare.
Mi hai fatto sentire parte di qualcosa, che metodicamente mi toglievi poco dopo.
Ma mi hai anche fatto capire che me lo toglievi perché non era destinato a me.
Ed io, insieme a te, col tempo l’ho capito: che dobbiamo imparare a lasciare, perché solo così impareremo a navigare ed approdare su altre sponde, sempre diverse. Solo così impareremo a trattenere ciò che conta, ciò che sembrerà scritto per noi e nessun altro, ciò che a noi sarà destinato. Solo così impareremo a non accontentarci.

Mi hai presa come fossi tanti pezzi di un puzzle da costruire.
Mi hai guidato, talvolta, per far sì che riuscissi ad incastrarne i pezzi.
Altre volte hai lasciato fare al mio istinto.
Perché anche se spesso non abbiamo mantenuto le promesse che ci siamo fatte, quando ne avevo bisogno tu eri sempre lì a dirmi che nonostante tutto ti fidavi di me.

Molte volte non ci siamo capite.
Ci siamo afferrate per i capelli e a turno esprimevano i nostri dubbi, cercando negli occhi dell’altra qualcosa che ci dicesse che nello stare insieme stessimo facendo la cosa giusta per entrambe.
Mi hai sempre fatto tante domande. Tu conoscevi sempre le risposte, io un po’ meno.
Ci siamo fatte del male. E ci siamo amate sino ad impazzire.

Ma se c’è una cosa che mi hai insegnato, nonostante dondolassimo a ritmi incostanti ciascuna nelle braccia dell’altra, è quella di cacciare sempre tutto fuori e a non pentirsene mai.
Essere come un mulino, le cui pale continuano a girare ad un ritmo incessante, mosse dalla forza del vento che a loro volta trasformano in energia vitale.
É a quest’aspirazione che mi hai insegnato a tendere. Ed è questo limite che mi hai insegnato ad abbattere.

A girare, ad un ritmo incessante, sino a trovare la strada il cui selciato stesse attendendo proprio le mie scarpe che vi lasciassero il segno, passo dopo passo.
A muoversi, oscillando tra la leggerezza del lasciarsi trasportare dal vento e la forza di decidere da che parte stare, senza mai lasciare agli altri questo privilegio.
A trasformare. Noi e tutto il resto attorno.
Creare qualcosa che appartenga soltanto a noi, in ogni suo microscopico dettaglio.
Dargli una forma che sia la nostra.

E se anche un giorno deciderai di poter fare a meno di me, Londra, non credo che riuscirei a crederti.
Perché tu ti sei presa cura di me, come un’insegnante severa, ma una madre attenta.
Ed io ho fatto altrettanto. Come uno scolaro svogliato, ma una figlia premurosa.
Non c’è qualcosa che tu abbia fatto che non l’abbia fatto a te anche io, con gli strumenti che possedevo e nella misura in cui riuscissi a farlo.

Questi 1,095 giorni raccontano di noi, insieme.
Del come ci siamo presi cura l’una dell’altra.
Del come ci siamo amate ed odiate allo stesso tempo.
Del come siamo cresciute e diventate qualcosa di migliore, perché insieme abbiamo compensato tutte le nostre mancanze.
Del come, alla fine, ci siamo prese perché l’abbiamo voluto sin dal principio.
E del come abbiamo imparato a restare, l’una per l’altra.
Non perché non ci fossero altre strade, ma perché tutte le volte che ci costruivamo vie di fuga, non facevamo altro che incontrarci a metà strada, stringerci forte e continuare il nostro percorso.
Sempre insieme.

sabato 18 giugno 2016

L'ho chiamato semplicemente amore

Ogni volta che apro il frigorifero impiego circa una decina di minuti nel decidere se sia meglio consumare i cibi di prossima scadenza o quelli che invece desidererei maggiormente.
Lo faccio, tutte le volte, nonostante sappia benissimo sin dal principio quale sarà la mia scelta.
Perchè sceglieró sempre i primi a discapito dei secondi.

La considero una scelta obbligata ma intelligente. Non mi piace gettare via il cibo, mi dico. E con ogni probabilità, la volta successiva mangeró i secondi, che però al giro successivo saranno diventati come quelli per cui avevo optato la volta precedente. Quasi avariati.

L'altro giorno, mentre pensavo al mio modo di scegliere 'intelligentemente' cosa mettere nello stomaco, ho pensato che per una volta avrei potuto contravvenire alle regole.
Cosí, oltre a sentirmi meglio, mi sono saziata di più.
Una volta ogni tanto. Non capita quasi mai, ho pensato.
Ed è stato in quel momento che ho realizzato quanto riuscissi ad adottare questa modalità di scelta anche per tutto il resto, preferendo, quasi sempre, situazioni su cui attacco un adesivo con sù scritto 'da consumarsi preferibilmente entro il ...' a quelle che mi lasciano con il fiato sospeso ed il cuore in gola perchè si disperdono nell'universo come residui di esplosioni stellari che non riuscirai mai a toccare, ma a guardarne la scia da lontano, forse, molto tempo dopo, quando non esistono già più.
Preferendo, spesso, le vite degli altri. Pensando sia giusto cosí. Pensando che in fondo, possa trasformarsi anche nella propria.

Ma da quando ho gustato ció che preferivo nel momento esatto in cui non desideravo altro, disinteressandomi delle scadenze sovrapposte sulla confezione, ho capito che farò sempre cosí.
E non significa contravvenire alle regole.
Nè scegliere in modo poco intelligente.
Ma nutrire e cacciar fuori da ogni poro della propria pelle il rispetto per se stessi, per quello in cui si crede, per ció che in fondo si vuole.

Perchè non esistono regole che ti impongono quando scegliere qualcosa che ci sta a cuore, nè quale sia il modo più intelligente per dargli una forma.
E non esistono mali che ti perseguiteranno, se non il rancore di non averlo fatto.

Gli ho voluto dare un nome.
A questo modo di decidere e a quello che con questo poi si diventa.
A quello che si prova nel farlo.
Gli ho dato un nome banale.
L'ho chiamato semplicemente amore.
Qualsiasi sia la forma, la sostanza, il volto, il profumo ed il colore che gli si voglia attribuire.
Perché non ha scadenze contro le quali si possa combattere, né tempi, illusori, che possano farci credere che finisca, né regole da imporre se non quella che nessuna possa essere così forte rispetto il desiderio di gettarle all'aria.

Perché esistono infinite strade.
Ma sempre una che non riuscirai a non imboccare, anche quando sentirai di averla invece smarrita.

domenica 12 giugno 2016

Spalle sul mondo

Pensavo che il mondo si dividesse in due categorie: quelli che svestendosi di qualsiasi rimorso si sdraiano con la schiena nuda sulle possibilità del mondo, lasciandosele scorrere lungo tutto il corpo e dilatandosi, insieme a loro, ad ogni loro cenno di espansione. E quelli che inghiottono rimpianti, lasciando che questi annichiliscano l'anima rendendo sempre più freddo il pavimento ruvido su cui si sono imposti di rimanere.

Gli uni e gli altri.
Diversi nel loro approccio alla vita, ma simili nei loro desideri.

Ma è stato proprio quando ho constatato ambedue le dimensioni, quella che mi vedeva con la schiena nuda a fare a cazzotti col mondo purchè su di essa fosse dipinta anche solo una fetta dell'universo che immaginavo, e quella che invece mi vedeva ricurva ad accettare ogni cosa mi si presentasse, che ho invece scoperto l'esistenza di un'altra.
Una di quelle che si pone in bilico tra l'accettarsi e l'accettare.
Che rinuncia alle mezze misure per crearne di proprie, soltanto per sè.
Una di quelle che comprendere è una virtù, il perderle di vista un atto di vigliaccheria, verso se stessi.

La immagino come una spiaggia deserta.
O come un campo di girasoli su cui batte forte il sole.
Come quei luoghi in cui riconosci che non puoi prenderti tutto, ma solo quanto basta.
E se non ti basta non è che te lo fai bastare, ma ti approprierai di quello che ti spetta, lasciando il resto al caso.
Farai come chi, sdraiato con la schiena sul mondo, farà di quest'ultima una cartina, i cui contorni saranno disegnati da volti e da emozioni. Da circostanze e da bivi dinanzi i quali scegliere. Da strade da percorrere e da possibilità, colte o cedute.
Perchè alla fine non sarà importante quanto sia scritto lungo tutto il tuo corpo, ma con quanta passione tu abbia voluto dipingere tutto ciò che il tuo corpo racconta.
Ed è cosí che, ad un certo punto, saprai anche dire basta. Perchè ti sarai riempito di cosí tanta bellezza che non ci sarà più nulla da aggiungere, anche quando avresti immaginato contorni diversi da quelli raffigurati.

Riuscirai a fermarti, ma lo farai per te stesso.
E per quella voglia matta di non annichilirti lasciando che le tue guance restino schiacchiate su di un pavimento freddo.
Ma per incidere su di te altre storie.
Altre strade.
Altri paesaggi.
Altri volti.
Altre emozioni.
Per cercare altri corpi, forse, che sapranno sdraiarsi con te, dando le spalle a quel mondo in cui avevi sempre immaginato ci fossero soltanto due possibilità: espandersi con forza e passione o guardare dal basso.
Per poi scoprire o lasciarti insegnare che talvolta bisogna anche alzarsi ed andare.
Il bilico tra l'accettare e l'accettarsi consiste proprio in questo: avere occhi profondi da poter cogliere tutto, e spalle possenti abbastanza da poterti voltare e disegnare altre vie.

giovedì 2 giugno 2016

La vita é cosí: una serie infinita di calcoli in cui non esistono risultati perfetti


Molto spesso mi sono imposta delle scadenze al termine delle quali tiravo delle somme.
Questo lo facevo, e tuttora lo faccio, per capire se stia proseguendo nella direzione giusta, dove per giusto non pongo come condizione una serie di equazioni che diano tutte lo stesso risultato, ma numeri messi lì, anche a caso, che nel loro continuo addizionarsi e sottrarsi, moltiplicandosi per poi dividersi, diano un risultato modesto, che possa essere solo il primo di tanti altri.
Come mattone su mattone, un passo dopo l'altro.

Ci sono stati dei momenti in cui il sottrarre mi sembrava la strada più comoda da seguire.
Altri in cui quest'azione proseguiva in modo inarrestabile e non ero io a gestirla.
Momenti in cui invece ho aggiunto numeri aspettando si moltiplicassero con altri.
Momenti in cui questo è accaduto, altri in cui ho capito che l'attesa doveva essere colmata da altro prima che questo accadesse.
Momenti in cui pensavo di condividere, e invece poi ci hanno diviso.

Ma se oggi dovessi dare un nome a tutto questo, non ce ne sarebbe uno appropriato.

Nè momenti, né lezioni di vita.

Perché i momenti fanno pensare a qualcosa di temporaneo, a quegli scatoloni chiusi con il nastro adesivo perché sono fragilissimi e non vogliamo toccarli, né tanto meno aprirli. 
Quelle bolle di sapone in cui soffiamo pochi istanti dopo averle create per annusarne solo il profumo nell'aria, che man mano sfuma, che odora già di passato.
Ed invece questi si collocano in una dimensione senza tempo ed in scatoloni rigidi e tutti aperti, in cui non si annusa la puzza di stantio delle soffitte in cui si nascondono cianfrusaglie inutilizzate.
Sono come numeri che nel loro continuo addizionarsi e sottrarsi, moltiplicandosi per poi dividersi, non abbiano ancora portato ad un risultato esatto e definitivo, nonostante sembri tutto già accaduto.

Nè lezioni di vita, perché tutte le volte che pensavo di aver appreso la lezione, scoprivo che ci sarebbe stato ancora tanto altro da imparare o che, forse, non sarei mai riuscita ad imparare una sola pagina a menadito. 

Ma se c'è una cosa che ho imparato man mano che i momenti si susseguivano e che ricevevo pagelle al termine di ogni lezione, è che non si deve necessariamente dare un nome alle cose, perché non tutte le emozioni, gli attimi, le esperienze ed i bagagli che ci portiamo dietro ne hanno bisogno.

Perché esistono cose che possono avere un metro di paragone, di cui si possono descrivere i contorni, indicare le gradazioni di colori, per cui addirittura immaginare un suono o un profumo.
Ed altre che invece nascono così, prive di connotazione.
E non attendono che tu ne possa trovare una.
Si addizionano perché tu possa credere nella loro esistenza.
Si sottraggono perché tu non possa pensare di poterle possedere per sempre.
Si moltiplicano perché tu possa crederci.
Si dividono, come strade.

Perché la vita é cosí: una serie infinita di calcoli in cui non esistono risultati perfetti.
Una serie infinita di tappe in cui ciascuna sarà come un ponte per l'altra.
Quella in cui non ti sentirai forse mai arrivato abbastanza, fin quando non ti volti e contando i passi che ti separano da dove sei a dove hai cominciato, capisci l'unica cosa che conta: ne è valsa la pena.


Antonia Di Lorenzo - autrice del romanzo Quando torni? disponibile in versione cartacea ed ebook su Amazon, ITunes, Kobo, Scribd, Smashwords, Barnes&Noble e Lulu.